Excusatio non petita, accusatio manifesta dicevano i latini che poi, tradotto terra terra, in italiano suona cosi: se non hai nulla di cui scusarti, non scusarti. Nel caso di specie, mi sembra che questa traduzione vesta meglio che non il proverbiale “chi si scusa si accusa”.
Qual è il caso di specie? Presto detto.
Ieri il Gran maestro della Gran loggia d’Italia degli Antichi liberi accettati muratori (in acronimo: Alam) Antonio Binni ha sentito l’esigenza – in vero non avvertita perché si era già espresso a botta calda il 1° marzo dopo il sequestro degli elenchi dei fratelli siciliani e calabresi da parte della Gdf, su ordine della Commissione parlamentare antimafia – di tornare sul tema.
«Ci sono momenti per manifestare la propria correttezza e la propria lealtà verso lo Stato – ha infatti detto ieri con un lunghissimo comunicato stampa – e momenti per riflettere ed esprimere le valutazioni necessarie per tutelare i propri diritti. La Gran loggia d’Italia degli Alam ha ottemperato gli obblighi che le derivano dall’ordine di consegna degli elenchi dei propri iscritti calabri e siciliani emesso dalla Commissione antimafia con grande correttezza, nel rispetto delle leggi dello Stato che la massoneria pone fra i suoi valori fondanti e fondativi».
Ora – sia ben chiaro – nemmeno sotto tortura Binni spiegherà il vero motivo che lo ha mosso ad emettere un nuovo comunicato stampa che nulla aggiunge alla logica e al buon senso. La correttezza e il rispetto delle leggi – richiamate nella penultima riga – sono scontate. Cos altro avrebbero potuto fare? Essere scorretti e irrispettosi?
Ecco allora che, proseguendo con la lettura del comunicato, si capisce (almeno questo intuiscono le mie limitate capacità intellettive) che c’era bisogno di spiegare bene (all’interno e tra le obbedienze massoniche di rango e peso) le ragioni di quello «spirito collaborativo» con la Commissione, che non andava scambiato per accondiscendenza. «Rispettare l’ordine non significa condividerlo» ha detto infatti ieri Binni e questo suona tanto come un messaggio a chi, innanzitutto tra gli 8 mila fratelli della sua obbedienza massonica, si aspettava ferrea determinazione. Accontentati.
LO SGUARDO ALTROVE
C’è però un’altra e distinta parte del comunicato della Gran loggia d’Italia che apre uno scorcio interessantissimo e condivisibile. E’ la parte in cui, dopo aver ovviamente difeso i diritti di associazione e riservatezza dei suoi associati, invita la Commissione antimafia a «rivolgere lo sguardo altrove», vale a dire sui «gruppuscoli sedicenti massonici definiti nel tempo dalla stessa magistratura come massoneria deviata».
Qui – a modesto avviso di questo umile e umido blog – il tema è centratissimo, anche se di «sedicente» a volta non c’è nulla anche perché nella galassia massonica ciascuno rivendica primazia e supremazia.
So infatti per certo – me lo dice la logica, me lo insegna l’esperienza e me lo suggeriscono le indagini attuali e passate della magistratura – che è in quel pulviscolo massonico deviato e fuori dai parametri, che si annida il potere marcio di questo Paese. La storia della P2 ha insegnato a chi vuole delinquere con maggiore raffinatezza anche questo: oltre a provare o riuscire ad infiltrare le obbedienze massoniche, come fu proprio il caso Propaganda 2 con il Grande oriente d’Italia, è ancor più redditizio costruire ex novo (o sulle rovine) centri di potere massonici deviati.
Di più – al momento – non posso scrivere ma in Sicilia il quadro (con le cosiddette “logge selvagge” di cui ho scritto nel passato) che sta emergendo è devastante, come del resto in Calabria. Cosa diversa è dunque il potere esercitato come pressione politica lobbistica e come esercizio di mutuo soccorso – checché ne dicano le obbedienze massoniche che anzi le negano ad ogni piè sospinto – dalle stesse obbedienze massoniche. Se non si infrange la legge, nulla questio. Cosa ancora diversa, infine, sono quei fili sottilissimi – che anche in questo caso sembrano emergere da diverse indagini delle Dda – tra singoli fratelli iscritti alle principali obbedienze massoniche e logge segrete di ben altra natura.
Non so invece (e di conseguenza), quali e quanti nomi (in tutte le obbedienze massoniche sottoposte a sequestro, sia chiaro) la Commissione antimafia troverà di interesse in quello che è lo scopo dichiarato, vale a dire il «rischio di infiltrazione da parte di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta di settori della massoneria», a seguito dei preoccupanti elementi emersi «nel corso di missioni in Calabria e Sicilia, di documentazione acquisita ed audizioni finora svolte» (cito testualmente il comunicato stampa della Commissione antimafia).
E se li troveranno anche solo parzialmente (e ne dubito per 1001 motivi come ho già scritto nel passato), che usano possano farne, con una legislatura traballante che non ha tempo per inseguire i grembiulini. Anzi! Esattamente il contrario. Visto mai che dalle parti di Arezzo e Firenze si adirino! Tra l’altro – a modesto avviso di questo umile e umido blog – alla luce della probabile scarsa aderenza tra ciò che si cerca e ciò che forse si troverà, molto interessante sarebbe invece vedere quanti e quali dipendenti pubblici e servitori dello Stato sono iscritti alle logge e non lo hanno mai denunciato ai superiori (contrariamente a quanto previsto per legge, checché ne dicano anche in questo caso le Obbedienze stesse e ribadito anche dalla Commissione antimafia).
Di questo secondo filone, però, non c’è traccia alcuna negli impegni proclamati il 1° marzo dalla Commissione antimafia, mentre erano in corso i sequestri degli elenchi. Ma se di quegli elenchi sequestrati (solo di due regioni, e anche questo è a dir poco grottesco), obbligatoriamente per legge, non si può rivelare nulla all’esterno (dunque restano segretati nei cassetti della Commissione antimafia), quale scopo potranno mai soddisfare?
Domande legittime di una situazione che si sta fantozzianamente aggrovigliando e che, ribadisco anche questo, vedrà prima o poi le obbedienze (come avvenuto nel caso della documentazione sequestrata dal pm Agostino Cordova negli anni Novanta) risarcite con le scuse.
Ora non credo, come scrive Binni, che «la richiesta indiscriminata degli elenchi dei nostri iscritti è il segno evidente della vaghezza degli “elementi” di cui dispone la Commissione». Credo, invece, purtroppo, che sia il frutto di una “mescolanza” indotta da un filo della matassa perso nonostante fosse lì a disposizione, sotto gli occhi dei commissari.
Proprio le missioni a Trapani e a Reggio Calabria in primis, e a seguire le audizioni di magistrati delle regioni Sicilia e Calabria, avrebbero dovuto far capire che, alla luce della premessa dalla quale la Commissione si è mossa (condivisibile o meno), la mossa sulla scacchiera era una e una sola: la Commissione doveva sequestrare tutti gli elenchi e di tutte le Obbedienze non solo senza annunciarlo (che più o meno è come dire al sorcio che sta per arrivare il gatto affamato) ma tenendolo doverosamente segreto. Poi avrebbe potuto cercare all’interno degli elenchi stessi e d’intesa con la Dnaa e le Dda quelle tracce che, al di là della responsabilità penale che è sempre personale, rivelano eventuali aspetti giuridici e penali di diversa e più profonda natura. Questa unica e obbligata mossa avrebbe permesso di tener fede alla premessa della Commissione, vale a dire ricercare quelle «relazioni e convergenze tra uomini delle cosche ed esponenti delle classi dirigenti e imprenditoriali appartenenti a logge massoniche finalizzati al perseguimento di comuni interessi illeciti» (cito ancora testualmente il comunicato stampa dell’organismo presieduto da Rosy Bindi).
Così non è stato, così non sarà più. Ergo, hanno e avranno gioco facile le obbedienze – e cito ancora Binni di ieri – a ritenere «che il provvedimento della Commissione Antimafia sia, nella sua consistenza, ingiustificato e vessatorio e che vada ad alimentare il clima persecutorio che sta nuovamente montando nei confronti della massoneria. In passato, quando ciò è avvenuto, si sono vissuti momenti cupi per il Paese».
Insomma se tra i massoni ci sono crepe, la Commissione parlamentare antimafia rischia di vorticare intorno ad un profondo buco nell’acqua.
(si leggano anche