La Dnaa (Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo) la sua sentenza sull’indagine “Mondo di mezzo” della Procura di Roma l’ha già emessa. Scrive infatti il consigliere Diana De Martino da pagina 908 della relazione 2015 appena diffusa, «che si tratta dunque di un’organizzazione mafiosa, del tutto peculiare». Più chiaro di cosi si muore.
Emesso il verdetto, la Dnaa si addentra nelle motivazioni, fino a che non si legge (pagina 909) che quelle motivazioni altro non sono che quelle già ribadite da altri soggetti istituzionali: «La qualificazione dell’associazione capeggiata da Carminati come mafiosa, ha trovato conferma nelle pronunce del Tribunale in sede di riesame e di giudizio abbreviato e della Cassazione in sede cautelare. Proprio la suprema Corte ha tenuto a chiarire come la forza intimidatrice sia stata esercitata dal gruppo di Carminati non sui pubblici amministratori per condizionarne le scelte (posto che gli stessi sono stati essenzialmente indotti a favorire il sodalizio grazie agli accordi corruttivi raggiunti), ma piuttosto nei confronti delle imprese estranee al circuito criminale, potenziali concorrenti delle cooperative di Buzzi, che si sono invece determinate ad abbandonare ogni forma di partecipazione agli appalti quando erano oggetto degli interessi delle imprese da lui controllate. La Corte ha poi chiarito che la forza intimidatrice che caratterizza l’associazione mafiosa non è soltanto quella diretta a minacciare la vita o l’incolumità personale, ma anche quella che mette a rischio le condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Conseguentemente, la Cassazione ha riconosciuto la connotazione mafiosa all’associazione capeggiata da Buzzi e Carminati».
A questo punto la Dnaa ricorda a se stessa e a tutti noi che una sentenza – sul filone che vede proprio Buzzi e Carminati – deve ancora esserci, così come deve esserci un eventuale appello e un eventuale ricorso in Cassazione e scrive che non c’è dubbio alcuno che proprio intorno a questa imputazione (e alle conseguenze che ne derivano sia in termini di pena, sia per quanto concerne il regime penitenziario fino all’applicazione del regime di cui all’articolo 41 bis) si incentra il contrasto tra accusa e difese. Ed è lo stesso pm De Martino a ricordare che il dibattimento è appena iniziato ma gli avvocati hanno già parlato di processo “dopato” montato da una campagna mediatica, di forzatura giudiziaria in un’indagine che avrebbe dovuto chiamarsi, al più, “corruzione capitale” senza alcun riferimento alla mafia.
Per ora mi fermo qui ma domani torno con un altro approfondimento sul tema
1 – to be continued
(si leggano anche