Oggi scrivo di Antonio Ingroia, l’ex magistrato che ha lavorato fianco a fianco nella Procura di Marsala con Paolo Borsellino e da quest’ultimo espressamente voluto ancora al suo fianco nel 1992 nella Procura di Palermo.
Ingroia – tanto per dirne alcune tra le tante – si è occupato di alcuni tra i più importanti processi sui rapporti tra la mafia e il mondo della politica, dell’imprenditoria, dell’economia, dei professionisti e della massoneria.
Sia ben chiaro: stiamo parlando (nel migliore dei casi) di politica collusa, economia e imprenditoria connivente, professionisti al soldo e massoneria deviata. Robetta da niente, dalla quale è uscito spesso vincitore nel corso del procedimento. Ne sarebbe uscito incenerito un mucchio di suoi colleghi.
Così, tanto per dirne un’altra, l’indagine Sistemi criminali (abortita per stessa richiesta della Procura di Palermo che si era resa conto con grande onestà intellettuale di non poter sostenere l’accusa in un’aula di Tribunale) è stata curata da Ingroia e nel suo iter anche da un altro dei rari fuoriclasse della magistratura, Roberto Scarpinato. In quell’indagine massoneria deviata, politica nascente, ‘ndrangheta (ah quanto è stato sottovalutato per decenni questo aspetto che ora sta riemergendo con forza dirompente con il processo Gotha a Reggio Calabria!) e Cosa nostra erano un tutt’uno. Una Cosa sola.
Per dirne un’altra, Ingroia trattò e affrontò un caso che avrebbe fatto tremare le vene a chiunque, come quello che riguardò Bruno Contrada, numero tre del Sisde, per non parlare dell’indagine che coinvolse l’ex onnipotente pluri-presidente del Consiglio dei ministri Giulio Andreotti iniziato nel 1993 e concluso nel 2004. Il processo accerterà una sciocchezzuola: Andreotti ebbe rapporti di reciproca convenienza con la mafia fino al 1980. Il reato risultò estinto per prescrizione mentre per i fatti successivi al 1980 venne assolto.
Infine, affrontò la madre di tutte le battaglie: il processo sulla trattativa tra Stato (rectius: Stato marcio) e Cosa nostra. Quando avrebbe potuto (e dovuto, a modesto e fallace avviso di questo umile e umido blog) affrontare la pubblica accusa, ha lasciato il cerino in mano ad un altro Servitore dello Stato, Nino Di Matteo e al suo pool.
Tutto questo lo racconto perché Ingroia – che non ho mai incontrato in vita mia ma che più e più volte ho sentito e intervistato – ha avuto due palle grosse come due mongolfiere (scusate il francesismo) e ha avuto nella sua vita di magistrato il coraggio di fare quello che una percentuale enorme di suoi colleghi non aveva, non ha e non avrà mai il coraggio di fare. È chiaro stu fatto?
E allora perché non ha continuato a fare il magistrato e si è buttato in agoni diversi dalle aule giudiziarie, direte voi?
Semplice e al tempo stesso disarmante: perché colto da delirio di onnipotenza è stato così ingenuo da credere che davvero la maggioranza (o almeno un’ampia fetta) degli italiani ha voglia di legalità, pulizia, trasparenza, rispetto delle regole, eticità e meritocrazia. E non potendole trovare neppure con il lanternino in uno di quei partiti che ha avuto il disgusto di conoscere dall’interno delle sue indagini, ha pensato di diventare lui stesso “La” politica, inventando dal nulla un partito dello “0,” replicato recentemente da un altro microbo dello “00,”. Debbo dire che, alla luce della prima cocente sconfitta politica, non riuscirò mai a capire cosa gli abbia detto il cervello nel continuare a credere che la maggioranza degli italiani avesse voglia di Costituzione e non di costituenti (corruttivi), di onestà e non di disonestà, di azione invece che di passività. Bah!
Alla gran parte degli italiani della Costituzione fotte solo lo “00,”. È chiaro stu fatto?
Attenzione: lo stesso delirio di onnipotenza ha colpito e purtroppo colpirà altri magistrati-Servitori dello Stato (merce rara come un errore sul campo da gioco di Francesco Totti) che si ostineranno a credere che il loro ingresso in politica (dentro coalizioni esistenti o ex novo) sia in grado di eccitare le masse ed evitare la folle corsa degli italiani verso il precipizio morale o se, preferite, il dirupo dell’autodistruzione. Oltre che a moralizzare e bonificare gli apparati burocratici che, in generale, sono più marci di una mela marcia.
Racconto tutto ciò che avete letto finora perché, come probabilmente sapete, Ingroia ha subito un sequestro per circa 150mila euro ed è indagato per peculato dalla procura di Palermo nella sua veste prima di commissario liquidatore e poi amministratore di una società partecipata regionale, infine divenuta interamente proprietà della regione Sicilia e addetta ai servizi informatici dell’ente locale. Un’indagine che è tutta da seguire perché Ingroia per un filone è stato già indagato e prosciolto. Anche questo secondo filone farà la stessa fine? Non mi permetto di prevedere nulla ma sono pronto a giocarmi tutto che Ingroia saprà far valere e bene le proprie ragioni sui premi di produzione incassati e sulle spese di rappresentanza sostenute.
Non vorrei, dunque, soffermarmi più di tanto sulle vicende giudiziarie e contabili (visto che è entrata in campo anche la Corte dei conti) che sono di competenza altrui ma vorrei continuare a dire la mia (non richiesto ma me ne frego) su alcuni aspetti essenziali.
Primo aspetto. Come riconosce sul Foglio della scorsa settimana anche Massimo Bordin, «l’azienda cambia nome e con un miracolo contabile si affranca da un pesante passivo. Ingroia lo ritiene un successo della sua sagace conduzione e si assegna, divenuto amministratore, un corposo premio di produttività».
Il che, tradotto per tutti e al netto dell’ironia tipica dei giornalisti che camminano tre metri sopra il cielo, vuol dire: un inutile carrozzone in perdita è diventato almeno un rubinetto che non perde più. Poi, personalmente, credo che come amministratore di un ente morente io non sarei andato a dormire come ha fatto Ingroia in un hotel a 5 stelle ma mi sarei accontentato del minimo di decenza. Ognuno però fa scelte delle quali poi risponde e sono certo che Ingroia saprà rispondere.
Secondo aspetto. Era difficile prevedere ciò che è successo? No. Per tanti motivi. Innanzitutto per le ragioni di cui sopra: Ingroia ha lasciato che la sua veste antica da Servitore dello Stato rimanesse invischiata e strappata dal tritacarne di un incarico di sottogoverno politico-amministrativo che, mai come in Sicilia e al sud, deve sempre fare i conti con mille lacciuoli legislativi e labirinti regolamentari dai quali uscire vivi è praticamente impossibile anche se sei Madre Teresa di Calcutta. Ergo: in Sicilia e al sud ha più probabilità un cammello di entrare nella cruna di un ago che un ex magistrato di razza di attraversare indenne il terreno normativo minato della pubblica amministrazione.
Terzo aspetto. Ingroia è tra i pochi Servitori dello Stato che, da una parte ha pestato a destra e a manca senza guardare in faccia a nessuno e dall’altra ha avuto la sfiga di essere portato da certa stampa in processione civile come una Madonna Pellegrina. Morale: in Sicilia un certo mondo trasversale paludoso, melmoso e mafiomassonico non vede l’ora di fargliela pagare e toglierselo dai coglioni e dunque, oggi, quel mondo sta brindando (la stessa cosa, quella cupola, spera che accada anche per Di Matteo). Quanto alla stampa che l’ha leccato come un cono gelato, è stato per molti versi più un danno che un aiuto ma purtroppo essere lodati piace a tutti e a tutto si può resistere tranne che alle tentazioni (mediatiche).
Quarto e ultimo aspetto. Ho scritto della stampa che l’ha incensato, dicendo chiaro e tondo che la degenerazione di questo atteggiamento adulatorio è stato un danno ed un incentivo a fargli credere di essere un potenziale leader politico a capo di un potenziale esercito di elettori. Vomito, invece, di fronte alla nullità distruttiva di quella stampa che ora gode nel vederlo in difficoltà (momentanea), dopo aver fatto di tutto per strillare negli anni che la mafia è stata sconfitta e la magistratura è diventata un partito senza freni. Questa stampa da vomito ha purtroppo gioco facile nel distruggere ciò che da Servitore dello Stato Ingroia ha fatto negli anni.
E’ come se Totti dopo 25 anni da leggenda sui campi di calcio venisse massacrato dalla stampa avversa per un liscio fatto mentre giocava in doppio a tennis.
La verità, per questo umile e umido blog, è che abbiamo perso un grande Servitore dello Stato e acquisito un politico che ha creduto alla favola degli italiani brava gente.
r.galullo@ilsole24ore.com