Cari amici di blog come sapete da alcuni giorni sto affrontando il tema delle cave, spesso brodo di coltura per interessi mafiosi, soprattutto nelle regioni del Sud. “Quello delle cave – si legge nel Rapporto dato alle stampe a giugno da Legambiente e straignorato dalla stampa e dai media – è un argomento che non solo deve essere messo in evidenza in ogni discussione di pianificazione, ma deve diventare uno dei punti chiave su cui capire e ragionare delle trasformazioni complessive che si stanno verificando nel nostro Paese, in particolare per alcune aree d’Italia dove rappresentano una fonte di reddito per le attività illegali, ma che potenzialmente possono diventare un volano economico e di sostenibilità ambientale”.
La fotografia aggiornata della situazione italiana è, ancora una volta, impressionante. Le cave attive sono 5.736 mentre sono 13.016 quelle dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio. A queste ultime si dovrebbero sommare le cave abbandonate in Calabria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia, il che porterebbe il dato a superare di gran lunga le 15 mila cave dismesse.
Nel 2010 la crisi economica e in particolare quella, gravissima, del settore edilizio hanno ridotto i dati delle quantità estratte di tutti i materiali lapidei, ma i numeri rimangono comunque impressionanti. Sono infatti 90 i milioni di metri cubi estratti nel 2010 solo per sabbia e ghiaia, materiali fondamentali nelle costruzioni, ma altrettanto elevati sono i quantitativi di calcare (41,7 milioni di metri cubi anche in questo caso utilizzati nel ciclo del cemento) e di pietre ornamentali (12 milioni di metri cubi). L’estrazione di sabbia e ghiaia rappresenta il 59% di tutti i materiali cavati in Italia; ai primi posti Lombardia, Lazio e Piemonte, che da sole raggiungono il 50% del totale estratto ogni anno con 43 milioni di metri cubi.
FERMI AL REGIO DECRETO
Rispetto a un quadro così rilevante, e a interessi forti e organizzati nei territori, il quadro normativo è ancora fermo al regio decreto del 1927, con un approccio che non tiene in alcun modo conto, denuncia Legambiente nel Rapporto, degli impatti provocati sul territorio.
Occorre aggiungere che ancora in molte Regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si verificano situazioni di grave arretratezza e rilevanti problemi. Al centro-nord almeno il quadro delle regole è completo: i piani cava sono periodicamente aggiornati per rispondere alle richieste di una lobby dei cavatori organizzata. Mentre particolarmente preoccupanti sono le situazioni di Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia e Piemonte, tutte Regioni che non hanno un piano cava in vigore. L’assenza dei piani è particolarmente grave perché in pratica si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione senza alcun riferimento su quanto, dove e come cavare. E se si considera il peso che le ecomafie hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree di estrazione è particolarmente preoccupante una situazione priva di regole.
Delicata è poi la situazione quando si progettano e realizzano infrastrutture perché, anche nelle regioni provviste di Piani, si esce dalle previsioni per cercare siti di cava ulteriori e l’esito è quasi sempre quello cui siamo abituati a vedere intorno alle principali strade e ferrovie italiane, con ai margini enormi buchi nelle colline. “In generale tutte le leggi regionali risultano indietro rispetto a una idea di moderna gestione del settore compatibile con il paesaggio e l’ambiente – si legge nel Rapporto di Legambiente – in particolare per quanto riguarda le aree da escludere per l’attività, il recupero delle aree, la spinta al riuso di inerti provenienti dalle demolizioni edili”.
SANZIONI
Ancor più imbarazzanti sono le sanzioni previste dalle leggi regionali nei casi di coltivazione illegale, abusivismo ed inosservanza delle prescrizioni previste dalle leggi. Per l’apertura non autorizzata di una cava infatti si passa dal range previsto in Piemonte (una multa compresa tra 500 e 25.000 euro) a quello dell’Abruzzo (da 102 a 10.329 euro) per arrivare a sanzioni più elevate come quelle della Valle d’Aosta (che ha raddoppiato recentemente queste cifre portando le multe ad essere comprese tra i 3.000 ed i 18.000 euro) fino ad arrivare agli importi richiesti in caso di coltivazione illegale in Umbria (tra 30.000 e 300.000 euro) e Lazio (tra 35.000 e 350.000 euro).
Per le altre illegalità riscontrabili la situazione non varia e le ammende comminate rimangono estremamente basse rispetto ai guadagni possibili e al danno ambientale che ne scaturisce. Per fare un esempio è imbarazzante pensare che, come avviene in Provincia di Trento, per il mancato rispetto delle norme autorizzative vengano applicate multe tra i 400 ed i 2.400 euro, a maggior ragione nei casi di maggiore gravità dove la sanzione “sale” tra i 1.000 ed i 6.000 euro!
Inquietante, scrive testualmente Legambiente nel Rapporto, è la situazione della Sicilia, dove addirittura per spingere il settore sono previsti crediti agevolati in favore degli operatori del settore dei materiali lapidei di pregio. I mutui agevolati hanno durata massima di quindici anni con un tasso di interesse del 5% comprensivo di ogni onere e spesa, i finanziamenti sono concessi in una misura compresa tra il 40% e il 50% della quota di investimento globale. In una regione che non prevede canoni di concessione!
A domani con una nuova e sfolgorante puntata su “cave & affari”!
3 – to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicata il 22 e 25 luglio)
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