I canoni di concessione pagati da chi cava sono, secondo Legambiente, “scandalosi”. Definizione rigettata con nettezza da chi cavando vive. Soprattutto in un periodo, come quello attuale, caratterizzato da una grave crisi.
In media nelle regioni italiane si paga il 4% del prezzo di vendita degli inerti. Ancora più incredibile è la situazione delle regioni dove si cava gratis: Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Ma anche Valle d’Aosta e Lazio dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare metri cubi di inerti.
Le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono ridicole in confronto al volume d’affari del settore. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, arriva a 36 milioni rispetto a 1 miliardo e 115 milioni all’anno ricavato dai cavatori dalla vendita.
In Puglia si cavano ogni anno di soli inerti 7,3 milioni di metri cubi che fruttano 91,5 milioni ai cavatori che nulla dovevano fino a poche settimane fa al territorio. Ma anche dove si paga, come nel Lazio il rapporto tra le entrate regionali e quelle delle aziende è di 1 a 42: 4,7 milioni contro quasi 200.
“In particolare ciò avviene nelle regioni del Sud – afferma Legambiente nel Rapporto – dove l’attività di cava è ancora gratuita e dove il peso delle ecomafie nell’intero ciclo del cemento, che proprio dalle attività estrattive vede l’inizio, è particolarmente preoccupante e si rafforza proprio in assenza di regole chiare, certe e di controlli e sanzioni ancor più urgenti”.
Un passo in avanti è stato fatto in Puglia dove recentemente è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale la tabella che stabilisce gli oneri che i cavatori dovranno versare per il momento in base alla superficie occupata dalle attività estrattive, mentre dal 2012 le tariffe saranno proporzionali alla quantità di materiale estratto. Ma è l’ Emilia-Romagna la Regione dove si sta facendo di più, non solo rispetto al recupero delle aree dismesse ed alla pianificazione, ma anche in relazione ad i possibili aumenti dei canoni proposti in una risoluzione approvata dall’assemblea legislativa regionale.
I CANONI DI CONCESSIONE
Per uscire finalmente da una situazione di grandi guadagni privati e di rilevanti impatti nel paesaggio, a fronte di canoni irrisori, secondo la proposta di Legambiente occorre introdurre in ogni regione canoni di concessione come quelli in vigore in Gran Bretagna, al 20% del prezzo di vendita.
Nonostante il sensibile calo di materiale prelevato dalle cave, risulta evidente quanto in Italia si incassi pochissimo dalle attività estrattive. Se si applicassero, a esempio, i criteri inglesi, gli introiti nelle Regioni, che risultano di 36 milioni, passerebbero a 267 milioni. Un incremento pari a sette volte i livelli attuali. Un divario enorme e che risulta ancor più evidente nelle Regioni dove cavare è gratuito. Ad esempio in Sardegna potrebbero entrare nelle casse regionali quasi 17 milioni o ancora si può dire che in Calabria vengono persi ogni anno 4,2 milioni e in Sicilia quasi 6 milioni.
“Con oneri di concessione per l’attività estrattiva così bassi l’Italia continuerà a essere devastata dalle cave – si legge nel Rapporto di giugno di Legambiente – senza considerare che si rinuncia a promuovere un settore innovativo come quello del recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia che può sostituire quelli di cava – come sta avvenendo in molti Paesi europei – e che consente di avere molti più occupati (per una cava da 100mila metri cubi l’anno gli addetti in media sono 9 mentre per un impianto di riciclaggio di inerti gli occupati sono più di 12) e di risparmiare il paesaggio”.
I cavatori potrebbero rispondere: così aumenterebbe il costo del cemento e si avrebbe un effetto a catena in un periodo di crisi del settore edilizia.
Quel che è certo è che su una cosa dovremmo essere tutti d’accordi come testimonia il caso della capitale che racconterò nei prossimi giorni: amministratori e cavatori, ciascuno per il proprio ruolo, potrebbero avere maggiore interesse a orientare e riconvertire l’attività economica verso il settore del recupero degli inerti in edilizia. La Danimarca, ad esempio, da oltre 20 anni si è posta il problema di come ridurre le estrazioni da cava e promuovere il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione, con una politica di tassazione che arriva a far pagare 50 € a tonnellata per il conferimento in discarica degli inerti. Un risultato che ha premiato visto che oggi la Danimarca fa ricorso per il 90% ad inerti riciclati invece che di cava.
Per ora stop. A domani con una nuova puntata.
4 – to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicata il 22, 25 e 26 luglio)
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