C’é vita criminale oltre la mafia/2: Quelle bastarde di cellule “bastarde” che non si riconoscono nella ‘ndrangheta unitaria

Amati lettori di questo umile e umido blog, da ieri sono tornato a scrivere della telenovela sull’unitarietà della ‘ndrangheta, che titilla la mia papilla più di una caramella rinfrescante.

Lo faccio – come avete potuto leggere ieri – perché, di qui a poche ore, assisteremo alle battute iniziali di un processo – denominato Gotha – che per molti appare un eresia.

L’eresia, come scrivevo ieri, è che c’è vita criminale oltre la ‘ndrangheta unitaria. Così, come e da sempre, c’è vita criminale oltre la mafia siciliana. C’è una vita criminale che si poggia su quella base ‘ndranghetista (unitaria anche per principio della Cassazione, come abbiamo cominciato ieri a scoprire) ma che va molto ma molto oltre, occupando uno spazio criminale in grado di incidere sulla società e l’economia non certo solo calabrese, di cui fanno parte servitori infedeli dello Stato e delle sue istituzioni centrali e locali, imprenditori e professionisti al soldo, politici allevati a vangelo mafioso, massoni deviati, Chiesa marcia e giornalismo colluso.

Una vita criminale oltre la ‘ndrangheta di cui sì è occupata, appunto, come abbiamo visto ieri, anche la prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidentessa Maria Cristina Siotto, consiglieri Aldo Cavallo, Monica Boni, Raffaello Magi e Antonio Cairo) nell’udienza pubblica del 17 giugno 2016. La sentenza n. 830/2016, registro generale n. 39799/2015, è stata depositata il 30 dicembre 2016.

Ebbene, quando da pagina 310 delle motivazioni, i giudici si calano nelle considerazioni di diritto e, in particolare, da pagina 302, analizzano l’esistenza di un organismo sovraordinato chiamato “Provincia” o “Crimine”, scrivono testualmente (da pagina 309), che è «del tutto immune da vizi la selezione, operata nei due giudizi di merito, degli indicatori fattuali relativi sia all’esistenza pregressa dell’organismo criminoso che alle sue attuali caratteristiche operative, per come descritte nell’atto di accusa.

Ciò, ovviamente, non significa che l’intera, frastagliata, galassia della ‘ndrangheta calabrese sia stata oggetto del presente giudizio – come evidenziato in sede di merito – ma, più semplicemente che lo spaccato storico raffigurato dalle fonti dimostrative qui utilizzate ha consentito di ritenere “vera” l ‘affermazione di partenza, ossia il ricorso, quantomeno nell’ambito delle cellule operative qui in rilievo, a formali riti di affiliazione, all’utilizzo di una nomenclatura specifica per l’indicazione della progressione interna, così come all’esistenza di una struttura di vertice con compiti di promozione dell’osservanza delle regole ‘statutarie’, come in ogni organismo collettivo – che ambisce a regolamentare le condotte degli aderenti – si tende a realizzare».

Ora se la mia modestissima capacità cognitiva e di sintesi funziona anche solo a scarto ridottissimo, si può riassumere così ciò che dice la Cassazione e non il vostro umile e umido scriba:

  • l’organismo di vertice esiste ed esisteva (certificato, anche senza sentenza, almeno dal ’69 dico io);
  • lottava insieme a loro (vale a dire con le ‘ndrine censite nell’inchiesta e in quelle con loro in collegamento) ;
  • serviva per affiliare e per promuovere e far rispettare le regole dell’organismo stesso.

Del resto, senza regole, vige l’anarchia e – nel nome degli affari – le mafie, tutte le mafie (con o senza una sentenza passata in giudicato che ne certifichi la progressione unitaria del vertice e ne specifichi il suo ruolo e la sua funzione) non possono tollerare l’anarchia.

Se così non fosse – vi invito a riflettere – non si chiamerebbe criminalità “organizzata”. Credetemi (se volete) ma in Italia (e non certo da ieri ma da sempre) non c’è nulla di più “organizzato” delle mafie.

A dire ancora che c’è vita criminale oltre la ‘ndrangheta unitaria è, subito dopo quel passaggio, la stessa sezione penale della Cassazione, la quale scrive (pagina 209): «Ciò, si badi bene, non esclude che agglomerati ulteriori – appartenenti alla medesima matrice ‘ndranghetista – pur radicati sul territorio calabrese o in altre zone del Paese esistano e non si riconoscano nella struttura emersa dal presente giudizio (fatto in parte emerso dalle stesse fonti processuali, lì dove si identifica con il nome bastarda la cellula di ndrangheta non sottoposta alla autorità della Provincia), non essendo stata realizzata una contestazione assolutamente generalista, quanto fotografata una realtà che – nel periodo storico in esame – ha fatto emergere un effettivo funzionamento di una struttura – di certo con ampio raggio di azione – tesa a rendere unitaria e omogenea l’azione di un consistente numero di locali e società ubicate principalmente nella Calabria meridionale».

Mi permetto di riassumere ancora, conscio dei rischi che mi assumo: nessuno esclude – tantomeno i giudici della Suprema Corte – che esistano in Calabria o nel Paese organizzazioni criminali di matrice ‘ndranghetista che non si riconoscano nella ‘ndrangheta unitaria emersa da quell’indagine, perché Crimine/Infinito fotografa una realtà di un determinato periodo, di un circoscritto ambito geografico (la Calabria meridionale) e con riferimento ad un consistente numero di “locali” (vale a dire cellule strutturate con almeno 49 affiliati) di quell’ambito.

La Cassazione dice poi, entrando nel merito delle famiglie (apparentemente) assenti da questa indagine cose che si possono condividere o meno (tutto nella vita è opinabile, anche quando ha il sigillo della Suprema Corte): «…sono prive di pregio le obiezioni relative alla “assenza” in detto organismo di alcune tra le famiglie storiche della ‘ndrangheta, essendo del tutto logiche e coerenti le spiegazioni fornite, sul tema, dai giudici del merito (presenza di alcuni soggetti che per talune cosche assicuravano il collegamento funzionale, osservazione di un arco temporale necessariamente limitato) e potendosi aggiungere che, sul piano del metodo dimostrativo, il fatto che talune ‘presenze’ non siano state constatate non risulta essere un reale elemento di smentita dell’ipotesi di accusa, essendo il tema del giudizio posto dalla imputazione (diverso sarebbe stato, evidentemente, il caso di presenze ipotizzate dall’accusa e non rinvenute sul piano dimostrativo durante l’istruttoria)».

A me, personalmente, sembra una conclusione molto molto forzata e con alcune argomentazioni tautologiche ma, ovviamente, sono le considerazioni di un giornalista che pensa con la testa propria nel massimo rispetto (come è sempre stato) della magistratura requirente e giudicante.

Ora mi fermo ma domani continuo su questa scia.

r.galullo@ilsole24ore.com

2 – to be continued

(si legga anche

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/02/28/ce-vita-criminale-oltre-la-mafia1-unitarieta-della-ndrangheta-cassazione-mico-oppedisano-e-processo-gotha/)