Sarà ma ho la strana sensazione che intorno al processo cosiddetto “mafia Capitale” in corso a Roma con le sue varie articolazioni, tiri (non certo da oggi) una brutta aria.
Mi riferisco al silenzio (molto più rumoroso del vociare) o al tifo da stadio (aizzato dietro le quinte) che si sollevano ogni qualvolta un pezzo di quel processo rotola verso lo smantellamento dei capi di accusa e, di conseguenza, dell’impianto accusatorio. Un caduta rovinosa accompagnata da articolesse ed editoriali (verba volant ma scripta manent nell’opinione pubblica).
Ecco, questo è il punto, per quel che mi riguarda: ogni tessera del mosaico della Procura di Roma che va in frantumi – in attesa di conoscere il primo grado del troncone di maggior rilievo – viene esaltato dai presunti custodi del sapere capitolino per affermare: “Visto, l’avevamo detto, quella di Roma non è mafia, al massimo è corruzione”. Al “massimo”, come a dire: non è manco corruzione ma quattro amici al bar che delinquono cor cecato.
I protagonisti di questo accanimento che – con fine sapienza romana totalmente sconosciuta a chi romano non è – non è terapeutico ma alla bisogna (ogni qualvolta cioè i pezzi dell’inchiesta crollano a terra con fragore) sono quelli che ti aspetti e quelli che non ti aspetti.
Il Foglio che da anni nega perfino l’esistenza della mafia tout court è uno di quei protagonisti che ti aspetti. Lo sai come la pensa l’Elefantino e con lui i seguaci fogliani o foglisti. Se non si fanno specie di distruggere Nino Di Matteo volete che si impressionino nel massacrare Giuseppe Pignatone e la sua indagine? In una Roma che tutto tritura, dai Papi ai Presidenti del Consiglio, cosa volete che sia un capo della Procura ? Se Il Foglio esalta il lavoro degli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno volete che abbia remore a spacchettare, ridicolizzandolo, il lavoro dei Ros e della Gdf di Roma che hanno condotto su delega l’indagine “Mondo di mezzo”?
Roma – dove «quando voi eravate ancora a dipingervi sugli alberi, noi eravamo già froci» come rispose quel principe romano al diplomatico statunitense che lo infastidiva sull’amoralità ai tempi della dolce vita – non è certo Palermo, Napoli o Reggio Calabria. E’ una città che non ha paura di nulla e di nessuno, forte del fatto che è in grado di macellare tutto e tutti.
Beh, se il Foglio è capofila – anche conto terzi – di questa battaglia lo sai e te lo aspetti ma, ad esempio, la giornalista Barbara Palombelli te l’aspetteresti?
Io – personalmente – si, visto che su una scia che l’ha sempre contraddistinta, rappresenta il garantismo radicale all’ennesima potenza ma, mi domando, che c’azzecca il garantismo per i singoli imputati con la negazione di un fenomeno? Già, perché Palombelli (liberissima, e ci mancherebbe, di pensarla come crede) alcuni giorni fa nella trasmissione Forum che conduce su Canale 5 si è avventurata in una difesa appassionata a spada tratta (sull’onda della caduta del capo d’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per l’ex sindaco Gianni Alemanno) di Roma come città estranea alla mafia. Una difesa di una città “mafia free” che del resto ha rivendicato da subito, al sorgere dell’indagine.
Ora – sia chiaro ancora una volta – Palombelli e i “palombari” sono liberissimi di pensarla in questo modo, così come del resto il Foglio, ma la domanda che pongo è: in che città hanno vissuto finora o finora hanno raccontato? E in quale mondo astratto hanno cullato la loro vita romana?
Dico Palombelli o il Foglio per dirne due tra i tanti che la pensano allo stesso modo (a Roma sono centinaia di migliaia e si nascondono pavidamente) con una differenza: di fronte a Palombelli (pur pensandola in modo diametralmente opposto al loro) mi tolgo il cappello perché ha il coraggio di dire ciò che pensa mentre per gli altri (tantissimi) provo disgustoso imbarazzo perché non hanno il coraggio e le palle di esporsi. Lo faranno – dicendo “io l’avevo detto” – se e quando l’esito del primo grado dovesse essere un flop o un mezzo flop, in attesa di gridarlo a squarciagola quando si arriverà in appello dove se il buongiorno si vede dal mattino (vedi il caso Ostia) la strada pare lastricata di mine.
Ho sempre pensato – e chi segue questo umile e umido blog lo sa – che la verità giudiziaria arrivi spesso e volentieri con gravissimo ritardo rispetto alla realtà dei fatti. E altrettanto spesso e volentieri, di conseguenza, non coincida con l’evoluzione che quei fenomeni hanno nel frattempo avuto. Reggio Calabria – con l’indagine Gotha a breve in un’aula di Giustizia – è la testimonianza plastica che a rincorrere principalmente coppole e lupare, santini e bruciature, si sono persi decenni nella lotta ai sistemi criminali evoluti.
A Roma – la città che mi ha dato i natali e che porto nel cuore – si sta giocando una partita che, come ho sempre scritto e detto, va molto ma molto al di là del processo pomposamente definito Mafia Capitale.
Quel che l’indagine ha svelato – al di là di quanto processualmente sarà accertato fino a eventuale sentenza passato in giudicato – è nulla rispetto allo scempio che le mafie liquide ed evolute come i pokemon hanno fatto di Roma.
Roma – e qui so di tirarmi appresso le ire e gli insulti di migliaia di miei concittadini ma ho sopportato ben altro sulle mie spalle per avere sempre detto e scritto ciò che penso senza curarmi di nessuno – è mafia per il fatto stesso che rappresenta quel crocevia degenerato di interessi tra i poteri marci che hanno affossato e continuano ad affossare il Paese.
Se mafia è coppola e lupara allora non aspettate di trovarla né a Roma né altrove.
Se mafia è – come è – governo di interessi di pochi alle spalle degli altri, con l’intimidazione fisica e la paura psicologica, la violenza fisica e quella verbale, il detto e (soprattutto) il non detto, l’omertà e il ricorso al potere o alla posizione delle cariche occupate, l’uso delinquenziale della politica, dei professionisti, del giornalismo, di pezzi deviati dello Stato (magistratura compresa), il riparo di logge deviate, ebbene, Roma è la quintessenza della mafia moderna rispetto alla quale lo Stato è volontariamente sempre un passo indietro.
Per questo a Roma si gioca una battaglia campale e quel “Mondo di sopra” che ho appena descritto – quello che in questo momento non spiccica una parola e si acquatta zitto zitto magari dopo essersi lanciato in un pubblico peana a difesa del lavoro condotto dalla Procura, da Ros e dalla Gdf o dopo aver dato una pacca sulle spalle a Pignatone incitandolo ad andare avanti – tifa in modo viscerale per la debacle del processo “Mondo di mezzo”.
Perché quel mondo marcio sa perfettamente che se in un aula di giustizia si riuscirà a dimostrare che esiste quella porziuncola di “Mondo di mezzo” in grado di smafieggiare (una porziuncola tra le tante che a Roma hanno messo radici e di calibro infinitesimale rispetto allo strapotere della ‘ndrangheta e della massomafia), beh, allora, magari la magistratura romana oserà anche sfidare quel “Mondo di sopra” che fa il bello e il cattivo tempo della Capitale, dei capitali e delle risorse (economiche, finanziarie ed umane) del nostro Paese.
Per questo quel “Mondo di sopra” marcio fin nelle budella spera che anche il troncone principale del processo, finisca rovinosamente già in primo grado.
Per quel che vale, questo umile e umido blog, spera che il processo al Mondo di mezzo sia una tappa per una rapida messa all’angolo di quel putrido Mondo di sopra capitolino.
Tifare contro “Mondo di mezzo” vuol dire , consapevolmente o inconsapevolmente, difendere quel criminale “Mondo di sopra”. Vuol dire, in altre parole, condannare Roma alla Mafia Capitale che ha ben altri protagonisti a tirare le fila, rispetto ad alcuni burattini finora portati alla sbarra.
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