Trattativa Stato-mafia: perché la pubblica accusa di Palermo vuole processare l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino

Nella confusione i media, spesso, sguazzano, non rendendosi conto che a perdere è la democrazia perché la libertà di stampa, di informazione e di opinione viaggiano a braccetto. O vivono insieme o muoiono insieme.

In questi giorni abbiamo assistito all’apertura a Palaermo del processo sulla trattativa tra Stato e mafia (rimando, da ultimo, ai post del 23 maggio e di ieri). Ebbene il processo, aperto con gran clamore ma che in verità è ancora ben lungi dall’entrare nel vivo preso com è tra schermaglie e primi vagiti, ha visto l’irruzione sulla scena dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

L’ex politico di lungo e integerrimo corso democristiano, che ha ricoperto anche il ruolo di Presidente del Senato, ha schiumato la sua rabbia arrivando nell’aula bunker di Palermo. Ecco come: "Ho fiducia e speranza che venga fatta giustizia, ed io esca dal processo. Io ho combattuto i criminali. Ho combattuto la mafia. Non posso stare insieme alla mafia in un processo". Quindi Mancino ha ricordato che oggi chiederà lo stralcio della sua posizione. "Che uno per falsa testimonianza debba stare in Corte d'assise – ha detto – mi sembra un po' troppo".

Il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, non si è lasciato sfuggire la possibilità di replicare sulla posizione dell'ex ministro, che "era già stata espressa in sede di udienza preliminare e sulla quale credo che ci sia stata già una pronuncia sia pure provvisoria. Ritengo che la difesa del senatore Mancino saprà svolgere egregiamente il suo compito proponendo quei temi che ritiene adeguati nell'interesse dell'assistito . Rifuggo sempre da questo tipo di valutazioni generiche e moralistiche, qui stiamo celebrando un processo e non dobbiamo distribuire pagelle o encomi e neanche forme di rivalsa nei confronti del passato. Cerchiamo di chiarire i fatti, di accertarli e di trarne le conclusioni giuridiche".

Intanto oggi – tanto per non complicare il quadro – dovrebbe, sciopero degli avvocati permettendo, aprirsi il rito abbreviato nei confronti dell'ex ministro Calogero Mannino, imputato di attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico,

amministrativo o giudiziario nell'ambito del procedimento per la trattativa Stato-mafia. È stato lo stesso Mannino a chiedere il rito alternativo, senza andare a dibattimento come gli altri dieci imputati per i quali si é aperto lunedì scorso il processo in Corte d'Assise.

 LE ACCUSE

A mio sommesso avviso, per fare un po di chiarezza, è bene ricordare perché Mancino è accusato di falsa testimonianza. Per avere, deponendo come testimone innanzi al Tribunale di Palermo nel processo in corso nei confronti di Mario Mori e Mauro Obinu, di cui venerdì scorso il pm Nino Di Matteo ha concluso la requisitoria, chiedendo pene rispettivamente per 9 anni e 6 anni e sei mesi nei confronti dei due alti ufficiali dei Carabinieri, anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni la impunità, affermato il falso e comunque taciuto in tutto o in parte ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva interrogato.

In particolare, secondo la pubblica accusa, sostenuta oltre che da Di Matteo anche da Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, affermando falsamente di non essere mai venuto a conoscenza:

a) dei contatti intrapresi, in epoca immediatamente successiva alla strage di Capaci, da esponenti delle Istituzioni, tra i quali gli Ufficiali dei Carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno, con Vito Ciancimino e per il suo tramite con gli esponenti di vertice di Cosa Nostra;

b) delle lagnanze dell’allora Ministro della Giustizia Claudio Martelli sull’operato dei due ufficiali dei Carabinieri;

c) delle motivazioni che provocarono, nell’ambito della formazione del Governo insediatosi nel giugno ‘92, l’avvicendamento dell’onorevole Vincenzo Scotti nel ruolo di ministro dell’Interno.

Fin qui le accuse che, a voi lettori, nude e crude serviranno non solo per formarvi un’opinione ma anche per capire che è vitale approfondire il ruolo di Mancino. In questo processo – come parrebbe naturale – o in uno strlacio dello stesso, senza che ovviamente, a mio avviso, si possa confondere nella prima delle due ipotesi la figura di Mancino con quelle dei mafiosi con lui sotto processo. La storia personale è un conto, la storia giudiziaria un altro.

I TESTIMONI

Per fare chiarezza la Procura ha convocato una serie di testimoni.

Una prima serie – Giuseppe Gargani, Claudio Martelli, Giuliano Amato, Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani – dovranno riferire quanto sanno proprio sui motivi dell’avvicendamento nella carica di Ministro dell’Interno tra Scotti e Mancino.

C’è poi chi – tra questi i politici Luciano Violante, Claudio Martelli, Piero Grasso, il Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione Gianfranco Ciani (che tra l’altro ha aperto un procedimento disciplinare davanti al Csm nei confronti di Di Matteo per essere venuto meno agli obblighi di riservatezza), il suo predecessore Vitaliano Esposito, il Segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, Procuratore generale Aggiunto presso la Corte di cassazione Pasquale Ciccolo – dovranno riferire, a vario titolo, quanto sanno delle interlocuzioni dirette e indirette con il ministro Mancino e con altri esponenti della compagine governativa sul tema del 41 bis dell’ordinamento penitenziario nel corso del 1993, nonché sulla ritenuta connessione tra detta questione e le stragi di Roma, Firenze e Milano (Violante), sulle richieste provenienti da Mancino sul l’andamento delle indagini sulla cosiddetta trattativa,  l’eventuale  avocazione delle stesse e/o il coordinamento investigativo delle Procure interessate (Grasso, Ciani, Esposito, Marra e Ciccolo). 

Paolo Falco, già in servizio presso la segreteria generale del  Dipartimento dellìamministrazione penitenziaria, dovrà riferire su quanto a sua conoscenza circa la sussistenza di
costanti interlocuzioni tra l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso e Mancino sulla problematica del 41 bis dell’ordinamento penitenziaria mentre Nicolò Amato, già a capo dello stesso Dipartimento, dovrà riferire quanto sa su quanto appreso e rappresentato nella nota al Gabinetto del ministro del 6 marzo 1993 in merito a perplessità e contrarietà espresse dal Capo della Polizia e da ambienti del Ministero dell’Interno sul regime carcerario duro (41 bis) e sulle interlocuzioni dirette con il ministro dell’Interno Mancino a proposito della revoca del regime di carcere duro per i detenuti del carcere di Secondigliano.

Insomma, comunque la si giri e la si volti, il ruolo dell’imputato Mancino è ritenuto fondamentale dalla pubblica accusa. Che lo si giudichi in uno stralcio o nella sede principale, l’importante è giungere all’accertamento di una (prima) verità giudiziaria.

3- to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 23 e il 28 maggio)

r.galullo@ilsole24ore.com

 

  • Gustavo Gesualdo |

    Posto che nell’ordinamento penale italiano il reato penale è di responsabilità personale, mi dite allora perché in Italia si punisce il reato associativo mafioso e non il reato personale di comportamento mafioso?
    Gustavo Gesualdo
    alias Il Cittadino X

  • pasquale montilla |

    Se la trattativa Stato-Mafia sara’ riconosciuta dai processi in corso a Palermo vorra dire che sono tecnicamente responsabili delle stragi del 92 e del 93 tutti i mafiosi politici che hanno occupato le istituzioni .
    Nessuna attenuante nel rispetto dei familiari sopravvissuti.L’ILVA inoltre rappresenta un secondo modello di cancerogenesi politica ad elevato impatto ambientale gestito nel disprezzo piu’ assoluto della vita e dello statuto antropologico.Quindi nessuna seconda attenuante o analisi sociologica inutile. Pasquale Montilla

  • liotta |

    Gentile d. Galullo
    seguo con molto piacere il suo post sul Il sole ma vorrei sinceramente esprimere le mie perplessità sul processo di Palermo che vede coinvolti
    Mancino Napolitano e altri.
    La mia idea la dico senza mezzi termini: è inutile voler riscrivere la storia con la l’arma giudiziaria.
    La cosa veramente importante è il risultato delle azioni di 20 anni addietro, e cioè la cattura di Riina, Provenzano a altri.
    Tutto il resto è un guardarsi nell’ombelico che non produrrà altro che lacerazioni.
    Una zona grigia è esistita dovunque persino nel nazismo o nella condotta degli italiani delle seconda guerra(Graziani non era secondo a nessuno per crimini); non mi sembra che Churchill sia stato processato per il bombardamento di Dresda.
    Basta guardare il disastro che sta creando la magistratura di Taranto; ma secondo lei col sequestro si risolve il problema dell’inquinamento? Ridicolo!
    Sono 50 anni che il polo siderurgico inquina ma i fatti devono essere letti col metro di ciò che progressivamente si è acquisito nella coscienza e soprattutto nella capacità amministrativa (ripeto amministrativa e non giudiziaria) perché insieme ai Riva dovremmo processare tutti i controllori pubblici locali e statali.
    L’azione della magistratura può dunque l’eccezione puntuale ma non sostitutiva alla scrittura della storia così come è l’eccezione ai rimedi amministrativi per l’inquinamento ma non ha né i mezzi né la capacità per effettuare ciò che l’amministrazione ordinaria della cosa pubblica deve effettuare per contemperare gli interessi pubblici e privati.
    Lei non si occupa di fisco ma le suggerisco di leggere i libri del prof. Raffaello Lupi sugli eccessi del legalismo cieco e della deriva giustizialista in materia di fisco.
    La deriva della legislazione fine a se stessa e dei suoi interpreti (sia come avvocati che come magistrati che come operatori della P.A.) sta affossando l’Italia.
    Cerchiamo di tirarcene fuori.
    Saluti
    Rosario Liotta
    Luino

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