Trattativa Stato-mafia no stop: Di Matteo, Masi, Fiducia, le strane latitanze di Provenzano e Messina Denaro e Lucky Luciano

Il pm della Procura di Palermo, Nino Di Matteo, è alle prese con uno slalom speciale. Venerdì scorso ha impegnato sei ore di requisitoria nel cosiddetto “processo Mori” durante il quale ha chiesto 9 anni di reclusione per l’ex generale dei Carabinieri e 6 anni e 6 mesi per il colonnello dei Carabinieri Mario Obinu, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Ieri, con una spasmodica attesa vanificata da preliminari e schermaglie che hanno rimandato tutto a questo venerdì, con i colleghi Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, ha cominciato a sostenere formalmente la pubblica accusa contro i 10 soggetti (mafiosi e uomini dello Stato) chiamati a rispondere di essere stati parte attiva della trattativa Stato-mafia.

Il cuore del processo sarà capire chi ha portato avanti quella trattativa per inconfessabili “ragion di Stato”. E Mario Mori, anche qui, è imputato.

Al netto di questo, molto girerà ancora intorno a Bernardo Provenzano, il boss di Cosa nostra che molti dei segreti di quella trattativa conosce anche perché ne era, secondo la Procura di Palermo, uno dei capisaldi.

Come potete facilmente arguire, di conseguenza. molti dei testimoni chiamati da Di Matteo e dai suoi colleghi dovrebbero fornire un contributo di conoscenza e (auspicabilmente) di chiarezza sui lati oscuri della lunga latitanza di Provenzano e sulle eventuali coperture accordategli visto che primula rossa era e primula rossa a lungo è restata per una vita.

Molto, moltissimo, di quello che ruota intorno alla latitanza di Provenzano è ancora avvolto nella nebbia più fitta, nonostante la storia ufficiale racconti altro.

Voglio per questo ricordarvi una cosa recentissima e una storia poco più lontana.

La cosa recentissima è l’intervista, andata in onda su Servizio Pubblico della 7 giovedì 23 maggio, nella quale un anonimo Carabiniere dell’ex Comando provinciale di Palermo (non dunque dei Ros), ripreso di spalle, spiattella la sua verità sulla mancata cattura di Provenzano, localizzato, pedinato e seguito per mesi e mesi ma arrestato solo molto tempo dopo.

TRATTATIVA NO STOP

La storia un po più lontana l’hanno raccontata questo umile blog (con i pezzi che troverete in archivio del 24, 25 e 26 aprile, 3 e 4 maggio 2012), l’Unità, Rainews24 e una lunga puntata dello stesso Servizio pubblico” della 7.

La storia è quella della Procura di Palermo che sulle ipotesi della trattativa per la cattura proprio di zu Binnu u tratturi ha aperto a maggio 2012 un fascicolo e l’ha chiuso poco dopo (si veda il mio post del 5 ottobre 2012).

Trattativa, dopo trattativa, dopo trattativa…Una storia infinita ma la presunta trattativa per la cattura di Provenzano, letta anche alla luce della trattativa Stato-mafia, non apparirebbe un’ipotesi balorda. Anzi.

Non è un caso che, a primavera dello scorso anno, alcuni membri della Commissione parlamentare antimafia, tra cui Angela Napoli, cercarono di far discutere questo punto dalla conferenza dei capigruppo ma…niente da fare! E poi dicono che la Commissione parlamentare antimafia è utile!

Ricordiamo anche che il 14 dicembre 2011 – in audizione al Csm – l’ex capo della Dna e attuale presidente del Senato Piero Grasso disse chiaro e tondo che l’uomo che si presentò nel 2003 in Dna per intavolare una discussione sulla eventuale cattura di Provenzano era un truffatore. “Quindi a me sembrava più un truffatore che altro. Infatti feci questo colloquio investigativo – sono le testuali parole di Grassoma poi nel tempo scoprii che altri due in precedenza erano stati fatti da Vigna e dai sostituti Cisterna e Macrì”. Non proprio su questa linea era Piero Luigi Vigna che prima di Grasso condusse la Dna ed ebbe modo di entrare in contatto prima di lui con il mediatore. Quindi capitolo chiuso.

Anzi no. Perché Alberto Cisterna e Enzo Macrì, appunto, in vario modo dissero che di truffatore proprio non si poteva parlare. Cisterna si è limitato, per ora, in due occasioni – una di fronte all’ex capo della Procura di Reggio Calabria, Pignatone Giuseppe e l’altra con il capo della Procura generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro – a dire che sarebbe venuto il momento di parlare sul serio della cattura di Provenzano. Sul serio.

L’altro – Macrì – ha pestato duro sul fatto che quel ragioniere commercialista non era assolutamente un truffatore.

Ignazio De Francisci, procuratore aggiunto della Procura e dal 1° ottobre 2012 in Procura generale sempre a Palermo, aprì a maggio dello scorso anno – proprio sulla base delle notizie giornalistiche – un fascicolo modello 45, vale a dire (tecnicamente) l’iscrizione effettuata nel registro degli atti non costituenti reato. Quindi – ab origine – nessun reato è stato intravisto nelle condotte descritte dalle indagini giornalistiche.

La Procura di Palermo ha fatto il suo mestiere e De Francisci ha convocato a sé, tra maggio e ottobre 2012 alcuni protagonisti di quella vicenda, tra i quali Cisterna, Macrì e un mediatore – ma forse due – presentatosi a nome di Provenzano.

SAVERIO MASI

E torniamo al processo che si è aperto ufficialmente ieri a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, molto enfatizzato anche se, come fa giustamente rilevare lo stesso Di Matteo, a fare storia è quello appena chiuso con la sua requisitoria su Mori e Obinu.

Vi invito a porre l’attenzione sul nome del maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi, che è stato chiamato a riferire in ordine «agli ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano nonché a quanto a sua conoscenza sul ritrovamento, e sul mancato sequestro, del cosiddetto “papello” nel corso di una perquisizione domiciliare nei confronti di Massimo Ciancimino nel febbraio del 2005».

Il maresciallo Masi, che attualmente è caposcorta di Nino Di Matteo, è lo stesso che il 3 maggio ha presentato un lungo esposto alla Procura di Palermo, denunciando, questa volta, le pressioni ricevute dai superiori per non catturare il boss Matteo Messina Denaro, dal quale era giunto ad un soffio.

Secondo la ricostruzione di Report riportata anche sul Corriere della Sera, Masi avrebbe presentato una denuncia in cui racconta alla procura alcuni passaggi inquietanti relativi alla indagini sui due boss.

Per quanto riguarda Provenzano, Masi parlerebbe di pedinamenti interrotti, piste importanti per la sua cattura lasciate cadere, strane amnesie dei Ros, reperti fondamentali trascurati. L'intenzione di non catturare Provenzano, inoltre, sarebbe stata espressa direttamente a Masi da un suo superiore, in un duro rimprovero: «Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano! – avrebbe detto secondo la ricostruzione fatta dal team di Milena Gabbanelli riportata sul Corriere della SeraNon hai capito niente allora? Lo vuoi capire o no che ti devi fermare? Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella? Te lo diamo in tempi rapidi!».

Dopo aver raccontato queste cose su Provenzano, Masi avrebbe aperto un capitolo sugli stop – lunghi almeno un decina di anni – che avrebbe ricevuto (lui come altri investigatori) nella cattura del latitante Matteo Messina Denaro.
Masi racconterebbe di atti dovuti ma non compiuti da chi avrebbe dovuto svolgerli al suo posto (perché lui era stato obbligato a ferie forzate), litigi con i superiori, nomi cancellati da relazioni di servizio e via di questo passo.

SALVATORE FIDUCIA

Dopo Masi arriva, a sorpresa, il luogotenente Salvatore Fiducia, che deposita anch’esso in Procura, secondo la ricostruzione che ne fa l’Ansa il 14 maggio, dopo aver incontrato i legali di Masi, un esposto circostanziato agli episodi avvenuti tra il 2001 e il 2004 quando, a un passo dalla cattura di Provenzano, avrebbe ricevuto inspiegabili ordini di non proseguire le indagini. Ordini che il luogotenente si sarebbe sentito ripetere nel 2011, quando era impegnato nella ricerca del covo del boss trapanese Messina Denaro, tuttora latitante.

L’avvocato Giorgio Carta, uno dei due legali con Francesco Desideri, ha spiegato in conferenza stampa come «prima Masi poi Fiducia, nelle loro indagini, individuano dei casolari dove sarebbero presenti i latitanti, ma anziché essere incoraggiati e dotati di strumenti tecnici, uomini e mezzi, viene ordinato loro di interrompere tutto, o di coordinarsi con il Ros» rischiando di non avere più la gestione delle indagini e perdendole di vista.
E – badate bene – secondo quanto riferito dagli stessi avvocati in quella conferenza stampa, ci sarebbe un terzo Carabiniere pronto a parlare con i magistrati e un quarto che potrebbe farlo.

LUCKY LUCIANO

Ora – mi perdonerete ma capirete in realtà il senso profondo – concludo questo servizio ricorrendo alle parole di un grande regista come Francesco Rosi, che la scorsa settimana ha ripresentato a Cannes il restauro del suo Lucky Luciano, film del 1973 che ripercorre la vita del gangster italo-americano scarcerato negli Usa malgrado una condanna a vita nel 1946 e tornato in Sicilia a svolgere i suoi traffici illeciti, come premio per i servizi resi agli alleati durante la Seconda guerra mondiale.

«La madre di tutte le trattative Stato-mafia», afferma Rosi nella cronaca di Claudia Morgoglione di Repubblica.

Non sembri cinema. E’ realtà. Realtà drammatica. E verità inconfessabile. Lo Stato e le mafie da sempre sono in trattativa e continueranno ad esserlo per un semplice motivo: quel patto potrà essere rotto unilateralmente solo dallo Stato che non avrà mai la forza di farlo perché le mafie – a differenza del terrorismo – non sono “contro” ma “dentro”. Fanno cioè ormai parte del tessuto connettivo dello Stato stesso, con il quale sono nate. Ne sono al tempo stesso batterio infettivo e medicina inefficace a combatterlo. Anzi: quel batterio si è evoluto ed è diventato cancro da metastasi che non può essere combattuto con le chiacchiere della politica indegna che rappresenta il popolo italiano.

Per questo – come diceva Leonardo Sciascia – la linea della palma della mafia si sta alzando da decenni ben oltre la Sicilia, su per la Calabria (oggi vero centro del nuovo potere inconfessabile tra Stato e mafie) e via via ancora su per li rami ben oltre l’Italia. Una metastasi che non conosce confini, destinata a mangiare sempre più il tessuto sociale ed economico degli Stati.

So che sarò tacciato di disfattismo e pessimismo ma è ciò in cui credo realisticamente: non illudiamoci, la mafia può essere sconfitta, i sistemi criminali no. Per questo Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia in Sicilia vinceranno magari la battaglia giudiziaria contro lo Stato che tratta con Cosa nostra ma l’Italia non è in grado di sconfiggere i sistemi criminali che di continue trattative si alimentano.

E’ scritto nella storia. Solo che non ce ne rendiamo conto, distratti scientemente come siamo, da bunga bunga, tetti e culi o muscoli e bicipiti da sognare a occhi aperti. Tanto quelli chiusi sono di Falcone e Borsellino. E per loro basta una corona e una lacrima di coccodrillo una volta all’anno.

2 – to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata il 23 maggio)

r.galullo@ilsole24ore.com

  • Christian |

    Non è vero, i sistemi criminali possono essere sconfitti e come!
    Ma per farlo bisogna usare i loro stessi metodi, ed usarli meglio di loro.

  • bartolo |

    veramente ottimo questo post, galullo. mi aspetto, e spero che davvero Lei convenga sul fatto che la storia del pentitismo è stata tutta una farsa all’italiana. mai, i mafiosi che colludono con lo stato, si pentiranno. e qualora sono costretti, lo faranno rimanendo saldi nelle sue mani. il superamento delle mafie, galullo, avverrà con il superamento della protezione da parte dello stato di chi decide di pentirsi. un caro saluto galullo.

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