Falcone capì che la mafia è “economia”: la Procura di Caltanissetta ricorda che Cosa nostra lo uccise (anche) per questo

A leggere la richiesta per l’applicazione di misure cautelari della Procura di Caltanissetta, che ieri ha portato all’arresto di 8 persone coinvolte nella strage di Capaci (si vedano i miei servizi su www.ilsole24ore.com di ieri oltre che il precedente servizio su questo blog) si (ri)scoprono delle cose molto interessanti.

Cose magari già dette ma, si sa, la memoria lunga non è di questo Paese e, dunque, colpisce rileggere con voi alcune verità che oggi (e domani) è (e sarà) facile dimenticare.

Il capo della Procura di Caltanissetta, Sergio Lari, l’aggiunto Domenico Gozzo e i sostituti della Dda, ad un certo punto tornano sulla volontà deliberativa manifestata da tutti gli esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana che comprendeva esplicitamente anche i singoli “moventi specifici” sottesi ai vari delitti per i quali se ne era decisa l’esecuzione e in particolare: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in quanto “vecchi nemici” di Cosa nostra ed ancora ritenuti, per il loro operato, estremamente pericolosi per le sorti dell’organizzazione, l’onorevole Salvo Lima poiché inaffidabile, non essendo intervenuto con efficacia per condizionare l’esito del maxiprocesso, gli onorevoli Claudio Martelli e Calogero Mannino in quanto giudicati dei “traditori” del sodalizio, non avendo ricambiato i benefici elettorali di cui avevano goduto nel corso del tempo.

In particolare, con riferimento specifico a Falcone, Antonino Giuffrè, capo del mandamento di Caccamo, aveva dichiarato come Cosa nostra avesse percepito appieno la pericolosità dell’operato che il magistrato, sin dall’inizio degli anni ’80, aveva intrapreso “mirando al cuore di cosa nostra”, cioè “all’economia” dell’organizzazione e dando luogo ad indagini in collegamento con le autorità giudiziarie statunitensi, quali Pizza Connection ed Iron Tower, che avevano allarmato anche gli esponenti mafiosi radicati negli Stati Uniti al punto che questi ultimi, nel 1988-1989, avevano mandato un loro “ambasciatore” (un avvocato dei Gambino di New York) per discutere con i vertici di cosa nostra il da farsi.

LE DICHIARAZIONI DI GIUFFRE’

Nell’esame dibattimentale del 18 febbraio 2004, nell’ambito del giudizio rinvio innanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Catania, Antonino Giuffrè dirà:

«Ho detto io poco fa all’inizio della mia dichiarazione che Giovanni Falcone mirava al cuore di Cosa nostra, cercherò ora di spiegare nei fatti. Sin dall’inizio degli anni ‘80, comincia a delinearsi la pericolosità, tra virgolette, del dottore Falcone. Il dottore Falcone è una persona che capisce, intuisce, è onesta ed inizia, ripeto, all’inizio degli anni ottanta una lotta contro Cosa nostra, ha avuto delle tappe importanti, cioè un fatto che lascerà un marchio indelebile della pericolosità di… del dottore Falcone, cioè sarà un’operazione che poi prenderà il nome di Pizza Connection, accanto a questa più in vi è un’altra operazione importantissima, che se ricordo bene, io a mala pena capisco un pochino d’italiano, prenderà un nome in inglese, vado a ricordare importante che per la prima volta un giudice va a braccetto, un giudice italiano porta avanti delle inchieste con la magistratura americana e in questa circostanza in modo particolare intendo a riferirmi a un personaggio che poi sarà un personaggio storico americano, intendo riferirvi al Rodolfo, Rudolf Giuliani, cioè inizierà una collaborazione tra la magistratura italiana, e Giovanni Falcone in modo particolare, e quell’americana. Questa sarà un’operazione che mirerà, come ho detto, al cuore di Cosa nostra, quando arriva al cuore e intendo riferirmi in modo particolare all’economia di Cosa nostra ed è un fatto che in questa operazione in modo particolare colpirà personaggi di grossissimo spessore italo-americani, cioè verranno arrestati Gambino e se ricordo bene Giovanni, Johnny, Rosario e Joseph, Giuseppe Gambino, cioè a quell’apparato italo-americano che per tanto tempo, diciamo, aveva governato, assieme a loro troveremo gli Inzerillo e anche gli Spatola. Cioè porto semplicemente questo esempio non tanto per l’importanza che non ha nessuna importanza, mi scuso del bisticcio di parole, dell’operazione in se stessa, ma della pericolosità del Falcone, cioè Giovanni Falcone era diventato un nemico non solo della Cosa nostra italiana, era diventato anche per Cosa nostra americana, mirando appositamente all’economia di Cosa nostra. Mi permetto un riferimento a questo discorso, di dire un altro discorsetto in riferimento all’importanza di queste operazioni, in riferimento alla pericolosità, tra virgolette sempre, del dottore Falcone. Non ricordo con precisione che siamo nell’88, cioè nell’89 o nel ’90, ma grosso modo dovremmo essere in questa data, i Gambino mandano a Palermo il loro avvocato, e sarei io ad andare ad incontrare a (incomprensibile) l’avvocato che la mafia americana aveva mandato a Palermo, con lo scopo di venire a vedere la situazione, a rendersi conto della situazione che si andava sempre più deteriorando, appositamente in questa lotta che veniva portata avanti dallo Stato Italiano contro Cosa nostra e nello stesso tempo cioè rendersi conto, cioè avere, acquisire delle conoscenze processuali a Palermo contro, ricordo bene, il Buscetta, per poi farne tesoro anche lui in America. Come ho detto io incontrerò questo avvocato, però mi sembra scontato che io prima di incontrare questo avvocato ne parlo, se ricordo bene in prima con Bernardo Provenzano e lo stesso mi dice di parlare con Salvatore Riina, cosa che io farò, chiederò un appuntamento a Salvatore Riina, mi incontrerò e lo informerò che arriverà un avvocato mandato dalla mafia americana, in modo particolare dai Gambino, se ricordo bene, che sarò ad incontrare questo avvocato, cioè il tutto ha un altro passaggio che è fondamentale per capirlo. A me la notizia mi viene data, che io ci avevo un mio parente in America, Giovanni Stalfa, appositamente questo ha fatto da ponte tra me e i Gambino. Detto questo, fatta quest’altra piccola precisazione, ricevuto lo sta bene da parte del Salvatore Riina, il cui mi raccomanda, cioè di tranquillizzare, perché sta cercando di fare di tutto il possibile per cercare di limitare i danni. Giustamente io mi incontro con una persona che per quello che mi ricordo non è uomo d’onore e io parlo con un avvocato, ragion per cui cioè discorsi di una certa importanza non ne andrò a fare, mi limiterò ai discorsi, diciamo, di natura giuridica e a qualche indiscrezione, a piccole notizie che potevo dare all’interno di Cosa nostra. Ragion per cui l’immagine, la pericolosità del Falcone, del dottore Falcone si nota, viene fuori da parti importantissime e se io vado bene con la mia memoria, questa operazione dell’88, coinvolgerà mafia americana e mafia italiana…».

MANCAVA SOLO IL SIGILLO

Pubblicare, ragionare e riflette
re, in queste ore, è importantissimo perché questo passo delle dichiarazioni rese da Antonino Giuffrè ci dicono – sinteticamente – due cose di una straordinaria e al tempo stesso banale forza: 1) le mafie sono organizzazioni che hanno il principale e mortale scopo di fare soldi su soldi su soldi; 2) Falcone, per primo in Sicilia e tra i primissimi in Italia e non solo, capì che seguendo l’odore dei soldi si sarebbe arrivati a sconfiggere (pensava lui) la forza di Cosa nostra. In quegli stessi anni un’altra meravigliosa figura in terra di Sicilia, come Pio La Torre, intuì che le ricchezze e i patrimoni delle mafie (il segno del comando) dovevano essere braccate e sottratte loro.

Per questo fa impressione leggere – nelle pagine della richiesta firmata dalla Procura di Caltanissetta – che nel piano stragista deliberato dalla commissione provinciale palermitana di Cosa nostra era confluita, in relazione a Falcone e a Borsellino, l’originaria decisione di morte già assunta nei loro confronti proprio agli inizi del 1980 e mai revocata.

Nell’esame dibattimentale del 12 dicembre 2003, nell’ambito del giudizio rinvio innanzi alla Corte d’assise d’appello di Catania Antonino Giuffrè dirà: «Ma non era che noi abbiamo parlato solo di questi discorsi il dicembre del '91, erano tutti argomenti che durante l’arco degli anni spesso e volentieri si ci tornava, si tornava a parlare di Falcone quando c'era l'operazione nell’88 e si diceva “prima o poi ni nama nesciri” cioè prima o poi dobbiamo arrivare alla resa dei conti, cioè dobbiamo arrivare…insomma per essere chiari all'uccisione del dottore Falcone. Sono tutti discorsi questi che ci siamo trascinati nel tempo appresso, sia per quanto riguarda i personaggi politici, sia per quanto riguarda i personaggi della magistratura …. ».

Sicché, con specifico riferimento ai due magistrati, la deliberazione adottata nel corso degli riunione per gli auguri natalizi del 1991 non aveva avuto natura “costitutiva” (nel senso di una decisione mai adottata in precedenza), quanto “rinnovativa” (di una volontà già compiutamente espressa nel passato) e di conferma dell’originario “movente specifico” per cui già in epoca pregressa venne adottata la decisione di ucciderli, in quanto i due magistrati erano e continuavano ad essere una spina nel fianco per l’organizzazione in ragione della persistente azione giudiziaria svolta.

Oggi – se mi consentite l’ampliamento della visione – forse i mafiosi di Cosa nostra direbbero che persone come Falcone vogliono colpire l’economia e la finanza mafiosa.

E già, perché mafie, economia e finanza sono sempre più indissolubili.

r.galullo@ilsole24ore.com