Questo mio servizio è stato pubblicato sul Sole-24 Ore sabato 16 giugno. Lo ripropongo per coloro che non hanno potuto leggerlo sul quotidiano.
Nei giorni scorsi, interrogato sui conti correnti riconducibili alla Lega Nord, un dirigente bancario ha detto al pm di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo: “Francesco Belsito è stato usato, lui magari lo avrà anche capito ma quel che è certo è che non era in grado di capire i rischi che correva”.
Ogni riferimento, puramente non casuale, era ai soldi che, secondo la Procura, erano di provenienza criminale e venivano mischiati in mezzo a rimborsi, donazioni e autofinanziamento del partito. Chissà se l’ex tesoriere della Lega si sarà invece reso conto che giocare con i dossier sui politici era un’arma a doppio taglio. Per ferire (se fossero andati a buon fine) o per essere feriti (se fossero stati scoperti). E il pm Lombardo ha ormai quasi tutti gli elementi per chiudere il cerchio della sua ipotesi investigativa: Belsito avrebbe fatto ricorso a servitori infedeli dello Stato e a dipendenti privati che accedevano abusivamente alle banche dati con informazioni sensibili, per costruire il dossier sull’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il ricorso a un’agenzia di investigazioni genovese – in altre parole – non sarebbe statocondizione necessaria e sufficiente per darlo alla luce. Quel che appare certo è che Maroni è l’unico (ex) esponente governativo ad essere stato spiato anche se sul tavolo di Belsito sono piovute conoscenze, informazioni e notizie che riguardano soprattutto i fedelissimi dell’ex ministro. Si può e si deve parlare di conoscenze, informazioni e notizie perché la Procura di Reggio ha scoperto che perfino i tabulati di Maroni – che a un certo punto probabilmente si è reso conto che la sua privacy era violata e che sulla sua pelle si giocava una partita interna alla Lega che lo contrapponeva a Umberto Bossi e al suo cerchio magico – erano diventati un bersaglio facilissimo da colpire. “Indagando – racconta un investigatore che deve rimanere anonimo – ci siamo accorti che l’accesso ai suoi tabulati era stato richiesto da diverse Procure che in alcuni casi avevano delegato i Ros e in altri la polizia giudiziaria”. Non solo. Scavando scavando gli investigatori si sono resi conto che una Procura piemontese aveva delegato un poliziotto della stradale ad accedere ai tabulati del ministro non fidandosi, verosimilmente, dell’affidamento delle indagini ad altri reparti investigativi. A quali fini questa Procura indagasse su Maroni e che fine abbia fatto l’indagine non è dato sapere anche perché il procuratore capo, chiamato dal Sole-24 Ore, si è celato dietro un “non confermo e non smentisco e comunque nego tutto perché piuttosto che svelare un segreto investigativo mi faccio ammazzare”.
Il filone dei dossier non è l’unico che scotta tra le mani degli indagati. Dalla ancora parziale ricostruzione di milioni di file clonati negli studi professionali e dai supporti informatici di alcuni soggetti, la Procura di Reggio Calabria ha infatti trovato appunti che riguardano Expo 2015 con nomi e sigle che criptano la reale identità delle persone. La Procura è solo all’inizio della “decriptazione” di file e appunti ma la sensazione è che questo bandolo porterà a srotolare una matassa nella quale coperture e garanzie non solo politiche hanno dato la possibilità di infiltrare ‘ndrangheta e Cosa nostra negli ingranaggi che fanno perno sui lavori del grande evento espositivo ma che ruotano anche intorno alle infrastrutture (a partire dalla mobilità) che dovranno essere pronte per il 2015.