Il pm della Dna Roberto Pennisi in Commissione antimafia fa a pezzi la teoria della ‘ndrangheta unitaria nel nord

Il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi dà soddisfazione. Alla Commissione parlamentare antimafia – che lo ospita in audizione il 17 aprile 2012 – e a chi umilmente vi scrive.

Anche lui – così come prima, nell’ordine, il suo collega in Dna Carlo Caponcello e il suo collega a Reggio Nicola Gratteri – giunge a una conclusione che questo umile e umido blog (solo, isolato e da ultimo sempre più attaccato) ha tratto con il tempo senza per questo negare l'importanza dell'operazione del 13 luglio 2010.

Pennisi – uno degli Uomini e Servitori di Stato che più ammiro – rivela nelle segrete stanze dell’antimafia che l’operazione Il Crimine/Infinito condotta sull’asse Milano-Reggio Calabria il 13 luglio 2010 ha avuto grandi pregi (che è impossibile non riconoscere) ma anche grandi difetti, vale a dire rappresentare la ‘ndrangheta per quel che non è, cioè un’organizzazione unitaria con a capo il vecchio Don Mico Oppedisano, un ottantaduenne “venditore di piantine che non ha mai fatto affari in vita sua ma ha retto per un anno le regole dell’onorata società” (parole e musica di Gratteri, non mie che pure lo vò dicendo da anni).

Ora come ci arriva Pennisi a questa conclusione (che ha tratto ovviamente fin dal 13 luglio 2010 ma che per la prima volta aveva modo di esprimere un così alto consesso)?

Partendo da lontano. Forse troppo da lontano ma chissà, era giusto così.

Parlando di infiltrazioni nel Nord-Est (Veneto, Friuli-Venezia-Giulia e Trentino-Alto Adige), Pennisi rilancia una domanda: chissà a quale livello sono stati presi degli accordi tra le mafie perché il Nord-Est fosse riservato a qualcun altro che non fossero i calabresi, visto che questi già avevano fatto piazza pulita in Lombardia, in Piemonte e in Liguria?

Tradotto in altre parole: ma perché in Veneto ci sono segnali sempre più inquietanti di presenza viva e vegeta della camorra e della ‘ndrangheta nulla, nessun segnale? La risposta è un raffinato capolavoro (fin troppo per i miei gusti perché quando si parla di mafie bisogna parlare al colto ma anche all’ignorante).

Ebbene Pennisi risponde che “questa tesi, interessante ed affascinante, in realtà non sia rispondente alla realtà e che tutto riposi su un errore che si è portati anche logicamente e ragionevolmente a commettere, ritenendo che la 'ndrangheta sia una cosa sola. Questo è quello che oggi si ritiene, sulla base di validissimi dati investigativi emersi dalle indagini di Reggio Calabria e di Milano; da tempo si parla della 'ndrangheta unitaria. Ma, se la 'ndrangheta è unitaria, allora è quella che è emersa dalle indagini di Milano e di Reggio Calabria. Quindi tutti i territori in cui questa 'ndrangheta unitaria si manifesta sono territori in cui è presente la 'ndrangheta; i territori in cui questa 'ndrangheta unitaria non si manifesta sono territori in cui la 'ndrangheta non è presente. Se guardiamo i capi di imputazione delle indagini "Infinito" e "Il Crimine", vedremo che ci sono capi di imputazione che riguardano tutto il Nord-Ovest, ma vedremo anche che non c'è nessun locale di quella 'ndrangheta unitaria nel Veneto, come non c'è nessun locale di quella 'ndrangheta unitaria in Emilia-Romagna”.

Ohibo’, declama Pennisi che ama affabulare gli astanti tra una citazione personale e una del marchese di Condorcet, il filosofo per eccellenza dell'illuminismo francese, se la ‘ndrangheta è unitaria come ci hanno fatto credere come è possibile che locali di ‘ndrangheta si trovino in Piemonte, Valle d’Aosta e Lombardia ma non in Veneto e in Emilia-Romagna?

Ora – aggiungo io – passi pure per il Veneto, sul quale tra un secondo tornerò – ma l’Emilia-Romagna via….Ma se lo sanno persino alcuni magistrati milanesi che a Reggio Emilia i cutresi comandano intere fette dell’economia provinciale e dispongono di uomini e mezzi enormi? Poffarbacco ma com è sta storia?

Ecco un bel titolo di giornale: “In Emilia Romagna la ‘ndrangheta non esiste!”

E in Veneto? Eccolo il Veneto, leggete qui. “Il problema più grosso è la 'ndrangheta, perché questa organizzazione criminale ha la caratteristica di inserirsi in un territorio e poi far sì che, quando ci se ne accorge, è già troppo tardi  –afferma Pennisi – . Questo è, per esempio, quanto avvenuto in Lombardia. Se noi ci basiamo sull'idea della 'ndrangheta che viene fuori dalle indagini svolte sull'asse Reggio Calabria-Milano rischiamo di sbagliare per quanto riguarda il Veneto. Questa Regione, infatti, non interessa a quella 'ndrangheta, ma all'altra 'ndrangheta. La Regione Calabria è molto grande e il fenomeno criminale investigato dalle Dda di Reggio Calabria e Milano riguarda solo una parte del territorio calabrese. Questo è giusto e logico ed è avvenuto secondo un'estrema correttezza, visto che un'indagine si deve basare non su una cartina geografica, ma sui fatti”

Andiamo per ordine. Non è che la ‘ndrangheta in Veneto non si è radicata. E’ vero il contrario. Solo che non si può badare alle conclusioni dell’indagine Il Crimine/Infinito ma bisogna andare oltre e capire che la ‘ndrangheta una non è e – forse – non lo sarà mai. A Milano ciò che si scopre è una parte del tutto che non può e non si deve vendere come l’intero.

Ma andiamo avanti. “Nella misura in cui le presenze criminali 'ndranghetistiche nel territorio lombardo, attenzione, in una parte del territorio lombardo,  erano di una certa marca e di una certa matrice, soprattutto della fascia ionica della provincia di Reggio Calabria e della fascia ionica meridionale della provincia di Catanzaro – prosegue infatti imperterrito nel suo ragionamento Pennisi – la Dda di Reggio Calabria e la Dda di Milano si sono trovate a investigare sullo stesso fenomeno o sugli stessi fenomeni criminali e, in particolare, in un momento storico di grandissima importanza e di grandissimo valore quale quello in cui le colonie stavano cercando di staccarsi della madre patria. Questa è l'importanza di quelle indagini, che intervengono proprio in quel periodo, perché lì vi erano delle vere e proprie colonie e c'era un viceré che stava per staccarsi, stava per disconoscere il dominio del re; tant'é che immediatamente viene eliminato e si ritorna allo stato preesistente della madre patria e delle colonie. Ma la madrepatria è relativa solo ad una parte del territorio calabrese, che è la provincia di Reggio Calabria e un pezzettino della provincia di Catanzaro, la parte meridionale di quella provincia sul lato ionico, zone che dal punto di vista criminale sono sempre stata omogenee, nonostante la differenza di provincia.

La provincia di Catanzaro però è molto grande, tant'é che poi è stata spezzettata e sono venute fuori le province di Crotone e di Vibo Valentia. A metà tra il territorio di Vibo Valentia e quello di Crotone e anche di Catanzaro c'è un grosso territorio, che fa parte della provincia di Catanzaro ma ha una grande rilevanza dal punto di vista criminale, che è quello di La
mezia Terme, il lametino, zone ricchissime di presenze 'ndranghetistiche, che non rientrano nella costruzione della 'ndrangheta unitaria di Milano e Reggio Calabria”

Alt. Fermiamoci ancora e riassumiamo. L’importanza di quell’operazione del 13 luglio 2010 che secondo Pennisi viene erroneamente rappresentata per il “bignami” della ‘ndrangheta presente in Lombardia, è sempre più “parziale” perché prende in considerazione solo certe aree geografiche: “una parte del territorio lombardo” e una parte della matrice ‘ndranghetista della “provincia di Reggio Calabria e un pezzettino della provincia di Catanzaro” (parole suadenti e musica soave di Roberto Pennisi).

Ma ‘ndemo ancora avanti ostregheta e leggiamo cosa dichiara Pennisi ad una platea di commissari antimafia sempre più attonita (alla fine della seduta saranno in molti a raggiungere Pennisi e a dirgli :”ma allora non abbiamo capito nulla finora!”).

 

SPUNTANO LE COSCHE DI LAMEZIA

 

“Allora, guarda caso, cosa è successo, Presidente? -  continua nel suo dotto monologo Pennisi rivolgendosi al presidente Beppe Pisanu – Essendo dotati di questi strumenti di analisi, andando a vedere la situazione in Emilia-Romagna e nel Veneto, ci si è accorti che in questi territori è presente l'altra 'ndrangheta: in territorio emiliano, ormai massicciamente; in territorio Veneto con timidi accenni, ma importanti e sostanziosi. Non è un caso che un esponente della criminalità organizzata del lametino – dovendo venire via dal suo territorio perché il processo di 'ndrangheta che lo aveva come imputato (processo della 'ndrangheta non dello Stato) lo assolve, perché ha ucciso la persona che stava con lui, appartenente ad un'altra famiglia di 'ndrangheta del lametino, per colpa e non per dolo (maneggiando un'arma da fuoco inavvertitamente parte un colpo di pistola), ma lo caccia – decida di installarsi a Venezia città, iniziando una certa attività.

Quindi la ‘ndrangheta in Veneto comincia a fare cucù ma “l'altra 'ndrangheta… Quella del lametino e del crotonese, che non fa parte della costruzione della ‘ndrangheta unitaria di Milano e Reggio Calabria. Io continuo a chiamarla 'ndrangheta, ma se si dovesse prestare cieca fede a quella costruzione non la dovremmo chiamare neppure 'ndrangheta, perché se 'ndrangheta è quella, gli altri non sono 'ndrangheta. Ma è quel che succede nelle corti di assise e nei tribunali di Reggio Calabria: tutti quelli che sono rimasti fuori da quel tipo di costruzione dicono che, non trovandosi lì ed essendo quella la 'ndrangheta, loro non sono 'ndrangheta”.

Ora vi prego di fermarvi, respirare e seguire la conclusione perché è un’analisi capolavoro che proviene da chi la ‘ndrangheta la conosce come le proprie tasche e per studiarla e combatterla non solo ci ha perso i migliori anni della vita ma è stato costretto (per non lasciarci la pelle) a lasciare Reggio sul più bello: quando cioè stava per scoperchiare insieme ai colleghi pm Alberto Cisterna, Enzo Macrì e a un pugno di altri magistrati di enorme spessore il verminaio politico/massonico/mafioso che governava (e governa) Reggio Calabria e provincia (ergo: l’intera regione).

 

MILANO-SAN LUCA

 

“Ma questo lo fanno anche i De Stefano di Reggio Calabria secondo i quali, siccome non sono presenti, non sono 'ndranghetisti – precisa Pennisi – ma in realtà quella costruzione, che è meravigliosa e correttissima, va presa per quello che è. Chi conosce da decenni i fatti del crimine organizzato di Reggio Calabria lo comprende chiaramente. Ogni tanto guardo a destra, signor Presidente, e mi rivolgo al vostro ultimo acquisto, ossia alla collega Natina Pratticò, perché queste cose le conosce benissimo come le conosco io. Tutto quello che è venuto fuori dalle indagini di Milano e Reggio Calabria, di grandissimo valore, altro non è che il locale di San Luca, che da potere formale, si trasforma in potere reale e perde pezzi. Prima tutta la 'ndrangheta del mondo guardava a San Luca, al santuario di Polsi e alla Madonna della montagna, chiamata Madonna del crimine, come punto di riferimento di ogni 'ndranghetista perché era un potere spirituale. Quando questo potere spirituale si trasforma in potere reale (deve trasformarsi in potere reale perché la sua parte più importante, la Lombardia, si sta staccando) perde pezzi, cioè a quel punto non tutta la 'ndrangheta si riconosce in San Luca e conserva la sua autonomia, senza guardare più a quella realtà, perché non è più una questione di fede, ma una questione di potere politico. In fondo è quello che avviene nelle religioni quando si trasformano da potere spirituale in potere reale e si spezzettano”.

Insomma: la ‘ndrangheta scoperta a Milano nel 2010 (in realtà soavemente descritta dal pm Alberto Nobili già una ventina di anni fa orsono in Lombardia) altro non è che la ‘ndrangheta che si riconosce in San Luca, quella rurale, ancestrale e conservatrice dell’Aspromonte che come è naturale che sia, lontano dalla madrepatria, alza la testa e cerca di spezzare un cordone ombelicale che non si può e non si deve spezzare (per questo viene ucciso il “secessionista” Carmelo Novella nel 2008 a San Vittore Olona in provincia di Varese).

Ma ora mi fermo qui. Proseguo domani

1– to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com

P.S. Ora potete acquistare il mio libro: “Vicini di mafia – Storie di società ed economie criminali della porta accanto” online su www.shopping24.ilsole24ore.com con lo sconto del 10%

  • Anna Maria Trimarchi |

    Gent.le dott. Galullo, voglio leggere il suo libro vicini di mafia e spero di comprendere tante cose di questo sistema giudiziario che non capisco chi tutela, sicuramente rema contro il povero lavoratore.
    SAPPI che sono interessata a pubblicare parecchie cose (di cui sono documentata) e che in maniera inaudita da molti anni mi capitano a Messina anche ai livelli alti, pensi che ho anche un GIP sotto querela di falso per un verbale di udienza partorito dopo molti mesi. Per non parlare di avvocati che hanno creato una vera catena di sant’antonio:
    Ad ogni udienza una denegata giustizia e poi perchè non sono indagati e se lo sono di fa finta di nulla.
    Se le interessa pubblicare può contattarmi alla mia mail oppure al cellulare.
    Saluti e grazie per l’attenzione e spero che scriverà altro libro tra Messina e Reggio Calabria.

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