Libertà d’impresa a Reggio Calabria: non basta avere l’autorizzazione di 3 cosche e una quarta alle spalle!

Excusez moi! Inizio con le scuse ma solo nello scorso fine settimana ho avuto la possibilità di leggere per intero l’ordinanza Reggio nord con la quale il 6 ottobre la Procura della Repubblica di Reggio ha arrestato 13 persone ritenute affiliate o contigue alle cosche della 'ndrangheta che operano tra la città dello Stretto, Villa San Giovanni e Campo Calabro. Tutti, a vario titolo, sono indagati di associazione mafiosa e di intestazione fittizia di beni. Le cosche colpite sono Condello, Libri, Tegano, Garofalo e ZitoBertuga. Solo il boss Domenico Condello, tra i latitanti più pericolosi secondo la classifica del Ministero dell’interno, è sfuggito all’arresto. Sequestrati beni, tra società e immobili, per nove milioni.

Fin qui la cronaca raccontata dai giornali locali che hanno doverosamente anche messo in evidenza la presenza dell’imprenditore (molto noto non solo in città) Pasquale Rappoccio, che in Calabria è come il prezzemolo.

E proprio sugli aspetti di economia criminale  -quelli a me più cari – vorrei soffermarvi con alcuni post (anche curiosi) che da oggi dedicherò a questa operazione.

Quello che mi ha colpito, infatti, è la impossibilità oserei dire scientificamente provata con questa operazione, di aprire una qualunque attività commerciale a Reggio Calabria senza dover pagare un contributo alle cosche.

So che alcuni di voi penseranno: sai che novità! Vero ma sappiate che ancora a Reggio c’è chi nega che le cosche strozzino l’economia cittadina e c’è chi ancora crede nella libertà d’impresa. Forse, leggendo quel che emerge da questa indagine, le idee saranno a tutti più chiare: aprire un’attività è un’operazione sovrannaturale persino per chi dentro la mafia vive o comunque la respira da mane a dì.

NON BASTANO TRE COSCHE PER RIPARARSI

Andiamo alla storia che mi ha colpito e che i magistrati Valeria Sottosanti e Giuseppe Lombardo hanno evidenziato nella richiesta di misure cautelari.

La storia è quella di Robertino Morgante, classe 70, da Campo Calabro, presunto prestanome della cosca TeganoCondello di una serie di proprietà. Tra queste della discoteca “Il Limoneto”.

Costui il 35 marzo 2010 riceve una lettera minatoria di natura estorsiva. Entra in fibrillazione, si agita e cerca di capire chi cavolo sia stato – e chi caspita si sia permesso – di chiedere proprio a lui il pizzo. A lui che non solo aveva le spalle coperte, secondo la Procura, da cotanta cosca ma addirittura aveva fatto il giro delle 7 chiese per avere l’autorizzazione a entrare in possesso di quel locale.

Leggete questo sfogo intercettato all’interno di un’automobile, perché è spettacolare: “a…a Catona è a posto, ad Archi è a posto, a Reggio è a posto… da tutte le parti è a posto! Il problema è di Campo, Peppe…”. Detto in altre parole le cosche di mezza Reggio avevano dato l’ok eppure…

Eppure qualcuno osava chiedergli il pizzo. Ma chi? E qui Robertino rischia di impazzire e smuove mezzo mondo per risalire agli autori dell’onta. Ovviamente il mondo che, secondo la Procura, gli è più vicino: quello della ‘ndrangheta.

E per capire il tenore delle guerre, delle intese tacite e delle pacificazioni che intercorrono quando ci sono di mezzo gli affari economici a Reggio, a un certo punto una delle persone di Catona giurava che mai avrebbe osato mettersi contro gli affari dei Condello, avrebbe voluto schiantarsi contro “un carro armato”. Nell’ordinanza inoltre si legge che a un certo punto anche la cosca Alvaro si sarebbe interessata della discoteca: operazione abbandonata nel momento in cui aveva scoperto chi c’era dietro quelli che la Procura ritiene essere niente altro che teste di legno dei Condello.

Morale: dopo liti furiose, scazzottate di santa ragione e summit ai quali parteciparono anche persone “scese dalla montagna”, con chiari riferimento alle cosche di Fiumara di Muro e compagnia cantando, si trova la soluzione: nessuno chiederà più il pizzo (passi che qualcuno si sia permesso) a chi rappresenta, sempre secondo le conclusioni dei magistrati, la famiglia Condello.

Questa è la liberta d’impresa e d’intrapresa a Reggio Calabria. Forse anche gli ultimi scettici si ricrederanno. Magari grazie a quello che leggeranno domani su questo umile e irriverente blog.

r.galullo@ilsole24ore.com

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