Il 29 luglio con l’operazione Decollo Money la Dda di Catanzaro e il Tribunale di San Marino hanno colpito una presunta organizzazione transnazionale dedicata al riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico.
La Dda di Catanzaro, con il fondamentale aiuto di un magistrato italiano del Tribunale di San Marino, bravo, coraggioso e spesso lasciato solo come Rita Vannucci, sta lavorando intorno alle copiose rimesse pianificate nel tempo della famiglia di Vincenzo Barbieri, presunto broker del narcotraffico internazionale e uomo di ‘ndrangheta. Trasferimenti di denaro che si sarebbero dovuti aggirare sui 15 milioni: guarda caso la cifra che il Credito sammarinese – la banca in questione oggetto delle mire di Barbieri e del suo sodale Francesco Ventrici – aveva fissato, attraverso il suo presidente e proprietario, Lucio Amati, per la vendita della stessa. Nei giorni scorsi sono stati arrestati lo stesso Amati e altri vari soggetti bancari sammarinesi e personaggi calabresi. Sarà eventualmente il processo a dire se ci sono colpevoli. Per me, fino a passaggio eventuale in giudicato di una sentenza, sono come da principi costituzionali, tutti innocenti.
Questa – in sintesi –la cronaca di una brutta storia che è stata presentata dalla stampa italiana come il tentativo della cosca Mancuso di Limbadi o forse della cosca Pesce di Rosarno (clan ritenuti vicini al narcotrafficante Vincenzo Barbieri ucciso il 12 marzo a San Calogero con un’esecuzione spietata) di appropriarsi della banca le cui trattative con il Banco di Rio de Janeiro erano ancora in alto mare.
Dietro Vincenzo Barbieri non c’era il clan Mancuso di Limbadi che, a quanto mi risulta da fonti investigative e inquirenti, sta invece brindando al colpo inferto dalla magistratura catanzarese e dal magistrato Vannucci alla famiglia Barbieri che, da tempo, era diventata un pericoloso concorrente nello spietato mondo del narcotraffico mondiale.
Del resto tutti gli elementi portano a ritenere che dietro questa operazione non ci fosse una raffinata regia della borghesia mafiosa calabrese ma gli affari criminali di una famiglia di ‘ndrangheta.
Il che, sia chiaro, non toglie un grammo all’importanza di questa operazione. Si cerca di fornire contorni più chiari e dall’altro a mettere a nudo la facilità con la quale oggi (e sottolineo oggi) è facile bucare la rete creditizia sammarinese che se ne fotte del rigore.
Del resto in un Paese che non riesce a beccare un temibile e spietato killer internazionale di cani randagi, che lotta la mafia con un’inutile commissione e un inutile Osservatorio, che cerca di mettere il bavaglio alla stampa, che fino a due secondi fa ha negato che esistesse la mafia sul Titano e che copre indegnamente l’autore di licenzopoli smascherato da Exit della 7, ciascuno è autorizzato a prendere ogni misura di prevenzione e contrasto all’opacità (finanziaria e no) come una gustosa burla.
LA ROZZA REGIA
La ‘ndrangheta si muove con colonnelli e generali della borghesia mafiosa il cui profilo non corrisponde, invece, agli improvvisati affaristi che entrano nel rapporto famiglia Barbieri-Credito sammarinese (da tempo commissariato e nelle mire della rediviva Banca centrale che aveva già fatto tabula rasa intorno al suo direttore generale Valter Vendemini).
I personaggi che conducono le trattative (Domenico Lubiana, suo fratello Salvatore Francesco Lubiana, Domenico Macrì e Barbara Gabba) sembrano più personaggi sull’orlo di un tracollo economico che tentano il colpo della vita che non raffinati emissari di una potentissima e astuta famiglia come Mancuso o come la cosca Pesce di Rosarno.
C’è un sms, la cui trascrizione è a pagina 10 dell’ordinanza firmata dal Gip Tiziana Macrì, che dice tutto. Macrì – massone calabrese ma su questo torneremo – si rivolge a Domenico Lubiana in questo modo: “Caro Mimmo ho parlato con Valter e mi sembra importante il suo progetto. Cerca di darmi una mano fai di tutto. Ti voglio bene micuccio”.
L’altro sms annotato dalla Procura è ancor più commovente: “Caro Mimmo cerca di darci una mano anche con poco, c’è in ballo il lavoro di Barbara e mio. Scusami per il disturbo Micuccio”.
I magistrati catanzaresi, nella richiesta di ordinanza di custodia cautelare annotano che, in una telefonata intercettata l’8 marzo 2011, Lubiana ha paura che le condizioni possano cambiare e che non vorrebbe che “il cliente va e se li prende quei quattro soldi che ci portammo”.
Insomma le mosse di un branco di disperati – tanto in Italia quanto a San Marino – che tentano di portare a San Marino i soldi di Barbieri. Ognuno aveva il suo guadagno: i mediatori con percentuali sul versato e su quanto amministrato e la banca stessa ormai alla frutta. La ‘ndrangheta – già presente da decenni nei forzieri sammarinesi come raccontato dal pentito Francesco Fonti – si rafforzava a San Marino? Macchisenefrega!
DOPO LA MORTE DI BARBIERI
Il manipolo di improvvisati, dopo la morte di Vincenzo Barbieri entra nel panico e questo avvalora ancora l’ipotesi che i Mancuso non c’entrino una beata fava con questa rimessa milionaria nella sgangherata cassaforte del Credito sammarinese.
A pagina 13 dell’ordinanza c’è la gustosa scena del duo Lubiana-Macrì che tra il 14 e il 21 marzo cerca di capire dove cacchio siano i soldi di Barbieri. Neppure i figli lo sapevano.
Da quel momento è il delirio. Il 4 aprile Macrì esprime la sua paura fottuta di essere escluso dalle trattative, visto che uno dei contatti gli aveva riferito che Vendemini aveva parlato direttamente con un parente di Barbieri.
Il 23 maggio alle 18.11 Barbara Gabba (trentina e compagna di Macrì) parla al telefono con la madre. Quest’ultima le chiede se dalle trattative in corso ci uscisse l’appartamento a Roma.La figlia le risponde: “altro che se mi vien fuori l’appartamento”, riferendosi al fatto che la remunerazione le avrebbe permesso di esaudire il suo sogno.
E così tra una speranza e un sussulto si arriva al giorno in cui Valter Vendemini, intercettato il 7 luglio, parla con Elia Casali, dipendente dell’istituto di credito e figlio della sua convivente Domenica Casali. I due parlano della vicenda Barbieri. Ecco il dialogo.
Casali: con chi hai parlato?
Vendemini: con Matteo Mularoni che mi ha consigliato l’avvocato Baciocchi
Casali: per quali vicende?
Vendemini: per un cliente, certo Barbieri Vincenzo
Casali: ah! Si si
Vendemini: ecco, che è coinvolto in un traffico di droga, tutti sti casini qui e…e…è stato aperto il contro attraverso i Macrì, a sti testa di cazzo qua
Casali: sì’
Vendemini: adesso c’è sta rottura de coglioni, da gestire
Casali: a posto…
A testimonianza ulteriore del fatto che non c’è alcuna raffinata regia di cosca dietro i soldi giunti o che stavano per giungere nel Credito sammarinese, c’è il fatto che è bastato l’integerrimo comportamento di un dipendente del Credito (il cassiere Gianluca Bordi, lode a lui, che nell’interrogatorio del 12 luglio rivelerà come ha inceppato l’ingranaggio del supposto riciclaggio) per far saltare per aria un rozzo tentativo di mostrare i muscoli da parte di Vendemini.
Atteso il fatto che, nel passato, anche recente, le banche sammarinesi si sono gonfiate di soldi sporchi delle mafie di tutto il mondo, c’è da dire che questo è forse il tentativo più goffo (venuto alla luce grazie alle intercettazioni italiane, visto che San Marino le ha previste ma non disciplinate) che la storia recente del Titano ricordi.
Va inoltre sottolineato che in tutte le intercettazioni e in tutti gli interrogatori effettuati non c’è un solo riferimento alla cosca Mancuso di Limbadi o, in subordine, Pesce di Rosarno.
C’è – invece, ma nessuno lo ha notato – una domanda che la Procura di Catanzaro si pone: perché Vincenzo Barbieri (e non una cosca dietro di lui, dunque uti singuli) avrebbe dovuto versare 15 milioni al Credito sammarinese?
A questa domanda daremo una risposta con il post di domani. Non la risposta ma una risposta intorno ala quale ragionare.
1 – to be continued
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