Chi può fregare le banche sui mutui? Solo la mala calabrese che a Genova prende 25 milioni e poi scappa

Fregare le banche sembra un’operazione quasi impossibile. Per riuscirci bisogna essere un altro banchiere oppure…

Oppure bisogna essere la mala calabrese. Voi direte: ma la mala calabrese non si chiama ‘ndrangheta? Si ma il cauto comandante del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Genova, Vincenzo Di Rella – che ha mandato all’aria la truffa dei falsi mutui gonfiati ai danni di 16 istituti di credito del capoluogo – preferisce non pronunciare quella parola. “Al momento – dichiara ai microfoni della mia trasmissione “Sotto tiro”in onda su Radio 24non abbiamo prove di collegamenti con la ‘ndrangheta anche se le indagini sono ancora in corso”.

Chi – invece – non si fa scrupoli è il Secolo XIX che il 16 febbraio titola: “La ‘ndrangheta dietro i mutui gonfiati, retata a Genova – Maxi prestiti per ruderi, stangate 10 banche”.

Ha torto a titolare così? Chi vivrà vedrà ma gli indizi portano tutti a una colossale truffa, non ancora del tutto svelata, dietro la quale – secondo la Procura di Genova che ha coordinato le indagini per due anni – ci sarebbe  la famiglia di Nicodemo La Rosa. Ora voi vi chiederete: chi è costui? Nato 52 anni fa a Mammola (comune reggino di 3.176 abitanti che negli anni Ottanta vantava in Italia la più alta percentuale tra popolazione residente ed ergastolani e dove non si muove foglia che la ‘ndrangheta non voglia), sì trasferisce in gioventù in Liguria dove nasce anche il figlio Christian, ora 28enne, indagato con il padre e altre persone per reati che vanno dall’associazione a delinquere alla truffa. Le persone indagate sono 107 e i mutui falsi mutui (almeno e per ora) un centinaio.

Nelle intercettazioni che si possono leggere in una precedente ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Genova Franca Borzone il 23 luglio 2010, nell’ambito di un’inchiesta per usura ai danni dei commercianti del ponente ligure nella quale furono spiccati gli ordini di arresto per Onofrio Garcea (di Pizzo Calabro) e Giuseppe Abbisso (di Riesi, paese in provincia di Caltanissetta, che vanta più residenti a Genova che non in Sicilia) si possono leggere interessanti passaggi che portano nella direzione indicata dal Secolo XIX e di fatto non smentita dalla Gdf.

IL RICHIAMO DI ONOFRIO GARCEA

Il sessantenne Onofrio Garcea* (latitante fino al 21 dicembre 2010, catturato mentre faceva tranquillamente spese nel centro cittadino di Pegli) dagli inquirenti è ritenuto uno dei presunti boss della ‘ndrangheta calabrese in Liguria, con base a Genova. L’11 giugno 2010, alla ore 12.17 viene intercettato al telefono mentre parla con Abbisso. E cosa si dicono? Parlano di indagini, inchieste, operazioni, recupero crediti, e via di questo passo. Leggete.

Garcea: …e un’altra operazione, quella di La Rosa…

Abbisso: …quella di La Rosa non hanno arrestato nessuno…

Garcea: no, no, però l’hanno bloccato…

Abbisso: …quando vi avevo detto di Nicodemo, sei mesi fa ci vedevamo tutti i giorni, veniva lì al bar….

Ora, tenendo conto che tra le attività principale di Garcea ci sarebbe secondo gli inquirenti proprio il prestito ad usura per il quale verrà spiccato ordine di arresto il 23 luglio e che non c’è operazione che si possa svolgere nel capoluogo ligure senza che lui ne sia messo comunque al corrente, è difficile pensare che quelle riunioni quotidiane al bar con “Nicodemo” appena sopra preceduto dal cognome “La Rosa” fossero altro che non incontri di lavoro in cui il presunto boss veniva aggiornato sulle “operazioni”.

Compresa quella a danno delle banche? Su questo stano lavorando gli inquirenti che intanto hanno un punto fermo da cui partire: la mala calabrese sarebbe coinvolta fino al collo insieme a quella siciliana e a un bel numero di professionisti e funzionari corrotti (ex bancari, commercialisti, periti, ragionieri, agenti immobiliari etc) senza i quali sarebbe stato impossibile portare a compimento la truffa. Ma come funzionava?

LA TRUFFA INGEGNOSA 

La truffa – come tutte le truffe – è tanto più efficace quanto più è semplice:

1)     la supposta associazione a delinquere otteneva da 16 banche mutui e prestiti ipotecari per l’acquisto di case e probabilmente anche auto di lusso. Chi presentava la richiesta erano una sessantina di prestanome (morti compresi), a volte ignari, quasi sempre “senza tetto o sbandati, gente comunque che aveva poco o nulla da perdere e che in cambio di poche migliaia di euro si prestava all’intestazione di ruderi acquistati a pochissimo. Le case, vere e proprie catapecchie, erano sovrastimate da periti compiacenti fino al 600% del valore reale.

2)     Ottenuti i finanziamenti dalle banche, i soldi finivano nei conto correnti nella disponibilità della supposta associazione a delinquere

3)     I prestanome pagavano le rate per un paio di mesi, tre al massimo e poi non pagavano più e sparivano. Ma come avevano ottenuto i prestiti i prestanome? Semplice: con buste paga fasulle e abilmente artefatte, Cud inesistenti ma fasulli, dichiarazione dei redditi falsificate, perizie false e sovrastimate da parte di professionisti compiacenti

4)     A quel punto le banche, prive del rimborso delle rate, avviavano le procedure per esercitare le ipoteche, scoprendo che gli immobili di lusso erano in realtà catapecchie

5)      La supposta associazione a delinquere, a quel punto, perdeva ,’immobile (fregandosene altamente) ma ormai aveva incamerato la differenza, lucrando in questo modo, secondo i calcoli della Gdf, circa 25 milioni. Ora resta da capire, appunto, chi c’è davvero dietro e se i soldi siano stati riciclati in altro modo.

r.galullo@ilsole24ore.com

* ANSA 9 NOVEMBRE 2012 Sono stati assolti i dieci calabresi imputati nel processo con rito abbreviato scaturito dall'inchiesta dei carabinieri del Ros sulle infiltrazioni delle 'ndrine calabresi in Liguria denominata Maglio 3. La sentenza e' stata pronunciata dal gup Silvia Carpanini. Appresa la notizia, i parenti degli imputati, che attendevano fuori dall'aula hanno applaudito a lungo.

Nella requisitoria di metà ottobre, i pubblici ministeri Vincenzo Scolastico e Alberto Lari avevano chiesto 12 anni di carcere per Onofrio Garcea, 10 anni e 8 mesi per Benito Pepé, 9 anni per Rocco Bruzzaniti, 8 anni per Fortunato e Francesco Barilaro, Michele Ciricosta e Antonio Romeo e 6 anni per Antonino Multari, Raffaele Battista e Lorenzo Nucera: second
o i magistrati, Bruzzaniti, Battista, Multari e Lorenzo Nucera avrebbero avuto il ruolo di “partecipi” dell’associazione, mentre gli altri sarebbero stati “promotori”.

Secolo XIX Genova 10 novembre – «Le sentenze non si commentano, se non si è d’accordo si appellano, personalmente ho vissuto un’esperienza simile nel 1996 quando in primo grado sono stati assolti tutti i clan siciliani dal 416 bis poi il tutto è stato capovolto dalla Corte d’appello, e confermato in Cassazione». Così ha detto la vice presidente dell’Anm Anna Canepa la sentenza del gup di Genova

 

 

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia nuova trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 00.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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  • bukhis |

    Niente di nuovo sotto il sole. Le organizzazioni criminali sono antiche quanto la prostituzione e don Peppino Garibaldi le ha istituzionalizzate, amnistiando camorristi a Napoli e permettendo il loro inserimento negli organi di polizia napoletana.
    La famiglia è cresciuta e questi sono i risultati. Banche e truffatori…ladri che si rubano i soldi tra loro. W i 150 anni di unità!

  • victor lustig |

    Buongiorno, Roberto.
    Dati i luoghi, se fossi un finanziere, mi farei un giro turistico dalle parti di Nizza e Mentone.
    Magari, con una puntata dai profumieri di Grasse…
    Non si sa mai, cosa si può trovare, da quelle parti.
    Un caro augurio di buon lavoro.

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