Ieri sera, 1° marzo, alle 22.30 sono stati i Carabinieri ad avvertire il pm della Procura antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che il centro unico di smistamento delle Poste di Lamezia Terme (Catanzaro) aveva intercettato un pacco sospetto a lui indirizzato.
Dentro un proiettile di kalashnikov destinato alla sua attenzione presso il palazzo Cedir di Reggio. Un proiettile senza una parola. Senza un commento.
E’ l’ennesima minaccia – forse la più inquietante perché “nuda e cruda” – che giunge a questo capace magistrato, figlio di magistrati, che il 17 maggio 2010 aveva ricevuto l’ennesima minaccia questa volta accompagnata dalla scritta: “Farai la fine di Falcone e Borsellino”.
Da allora – se possibile – Lombardo conduce una vita ancora più blindata e non c’è movimento che non venga seguito anche nelle trasferte di questo pm che tra le mani ha i filoni di inchiesta più sensibili all’attenzione delle vili cosche calabresi: quelli relativi agli intrecci tra politica, ‘ndrangheta e pezzi deviati dello Stato e della massoneria.
L’ho sentito pochi minuti e mi ha detto che “semmai ce ne fosse bisogno, questa ennesima minaccia mi spinge ancora di più a percorrere la strada che ho intrapreso. Nessun passo indietro, nessun tentennamento. Anzi: ho la certezza di aver imboccato la strada giusta e nessuno potrà fermarmi”.
La certezza di aver toccato – tra mille difficoltà – i fili più sensibili alla matassa di poteri deviati di Reggio Calabria lo esporrà ancora di più e sarà importante vedere nelle prossime ore la reazione della città e della regione. Al netto delle lacrime di coccodrillo dei politici, delle pacche sulle palle e degli attestati di solidarietà di falsi amici e colleghi.
La mia sensazione – nettissima – è infatti che dall’interno della Procura di Reggio Calabria ci siano abili e disinvolte spie che sappiano veicolare le notizie giuste al momento giusto fuori dal Palazzo di Giustizia per colpire con scientificità. Delle “talpe” al soldo delle cosche reggine che sappiano come e quando far “avvertire”. Non si capisce altrimenti perché le minacce – ripeto, questa volta davvero inquietanti – giungano in momenti vitali per le indagini del suo ufficio. O per quelle di altri magistrati antimafia inavvicinabili come Nicola Gratteri.
Tante quelle tra le mani di Peppe Lombardo, a partire da quella scaturita nella cosiddetta inchiesta “Meta” che rischia, con i suoi possibili sviluppi, di portare alla luce un verminaio disgustoso di interessi tra politica e ‘ndrangheta.
Vediamo se l’antimafia parolaia – di cui Reggio Calabria è capitale mondiale – saprà cavalcare ancora l’onda lunga delle minacce a un pm inavvicinabile dalle cosche e per questo temuto.
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