“Oppedisano? Mai sentito”: la gara per la Procura di Reggio Calabria passa dall’inchiesta “Il Crimine”

Nei giorni scorsi alcuni media locali calabresi hanno dato buon risalto alle analisi che il procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, ha fatto in Commissione parlamentare antimafia il 26 giugno. Di queste una ha fatto particolarmente rumore anche se – intelligentemente – Lombardo ha premesso che lui, di analisi, non ne fa.

Lombardo ha parlato della struttura della 'ndrangheta in risposta ad una domanda del membro della commissione parlamentare Beppe Lumia. "

Non vorrei deluderla – ha detto Lombardo rivolgendosi a Lumia ma da magistrato sono abituato a non fare analisi. Il mio rapporto è correlato ai processi e ai procedimenti, non ad analisi generalizzate che il giorno dopo (io sono calabrese, lei è siciliano e lo sappiamo) rischiano un fallimento".

Giusto e corretto. Il resto delle riflessioni a me suonano – ma, si sa, son un bambino di modeste capacità intellettive – di analisi belle e buone. Anzi di "sassolini" tolti dalle scarpe – guarda caso – quando la poltrona di capo della Procura di Reggio Calabria è vacante e occuparla bisogna. E tra i concorrenti Lombardo spicca senza dubbio alcuno. 

In quattro e quattrotto in Commissione parlamentare antimafia ha smontato il superego dell'inchiesta "Il Crimine/Infinito" che il 13 luglio 2010 correva lungo l'asse Milano-Reggio Calabria (o viceversa).

"Per quanto riguarda questa idea della 'ndrangheta come organizzazione di vertice sul tipo della mafia siciliana, che viene soprattutto da Reggio Calabria – ha infatti detto Lombardo non sono sicuro che noi fra qualche anno potremo dire le stesse cose. Leggo anch'io dai giornali che sia valenti investigatori che magistrati altrettanto valenti hanno espresso in sede processuale delle perplessità. Io stesso, se devo essere onesto, avendo fatto tra l'altro il procuratore della Repubblica di Palmi, area di provenienza dell'onorevole Napoli, per sei anni, che in un'area di mafia non sono pochi, non ho mai sentito parlare di Mico Oppedisano, conosciuto come capo dei capi. In questi anni ne ho conosciuti tanti, ma di Mico Oppedisano non si è mai parlato".

IL CAPO DEI CAPI

Ma andiamo avanti.

Lombardo infatti spinge sull'acceleratore e tocca un punto vitale: il ruolo di "capo", di boss dei due mondi, di rais del globo terracqueo che don Mico Oppedisano avrebbe (o avrebbe avuto). "Alcune volte ho l'impressione che anche questo discorso dei locali di 'ndrangheta e del conferimento delle cariche – ha detto Lombardo sia un po' esagerato come valenza criminale e pervasiva dei gruppi organizzati. Non ho mai visto interessati da queste storie i Pesce della Piana, i Bellocco, i Nirta-Strangio di San Luca o le cosche De Stefano e Libri; loro quando devono decidere, lo fanno per conto loro, sulla base degli affari che sono prevalenti in un determinato momento. Abbiamo visto, ad esempio, lo sviluppo di Reggio Calabria.

Se quello della 'ndrangheta fosse un vertice unitario, come qualche volta si dice, nessun altro dovrebbe avere autonomia. Noi parliamo di 'ndrangheta del distretto di Catanzaro, che dovrebbe dipendere tutta da Reggio Calabria anche nelle decisioni. Vedo invece una 'ndrangheta in tutto il distretto che riconosce la primogenitura di Reggio Calabria. I grandi mafiosi di Cutro, di Cirò, di Rossano e di Crotone, dove in particolare, ce ne è uno, ma anche più di uno ed anche pentiti, come Di Dieco, Bonaventura e altri, riconoscono a Reggio Calabria la primogenitura. Si accreditano anche riconoscenze delle 'ndrine e dei capi 'ndrina di Reggio Calabria per utilizzarle nel loro territorio. Questa è però una cosa diversa, perché poi nel loro territorio ognuno ha il suo gruppo, anzi, spesso i gruppi si sfasciano".

"La 'ndrangheta, per come la conosco io – ha proseguito Lombardo è costituita da una serie di locali, di 'ndrine, di corpi, alcune volte di tipo esclusivamente familiare piccolo, che trattano, vanno in rapporto e in conflitto. Questo dipende però dalla comunione delle imprese e degli affari. Quando però devono decidere o devono ammazzare qualcuno, non è che lo vanno a dire, secondo una mia personale opinione, a Mico Oppedisano". Questo lo penso anche io ma – come sanno da Milano a Reggio Calabria – non capisco nulla (forse perchè sono stato il primo e a lungo l'unico a dirlo e scriverlo…).

I nomi della 'ndrangheta sono sempre gli stessi ed è strano che non compaia anche la famosa famiglia Oppedisano (!). "Vengo da Reggio Calabria – ha affermato Lombardo e ho imparato a conoscere anche i nomi su Catanzaro. Sono i nipoti dei Libri e i figli dei De Stefano. I cognomi sono gli stessi e lo stesso vale per le aree d’insediamento; vi sono sempre quelli di Sambatello, i Condello. Condello lo conosco perché uno dei suoi primi mandati di cattura lo abbiamo fatto io e Macrì proprio nel 1986, con Albanese e altri, nel corso della seconda grande guerra di 'ndrangheta. Quando devono decidere cosa si deve fare non è che vanno a fare il summit a Polsi. Il summit a Polsi era un modo per estrinsecare, per simboleggiare le 'ndrine verso l'esterno".

Bene, bravo bis. Condivido parola per parola. La "mamma" è sempre lei: De Stefano e compagnia cantando. E ve la vedete voi la cosca De Stefano che bussa dal don Mico Oppedisano di turno, per chiedergli come Totò al Duomo di Milano: " Escus muà noio volevam savuar per uccidere…."

Evidentemente, però, a Catanzaro deve esserci uno strano virus. Perchè se è normale che VincenzoLombardo la pensi in questo modo (anche perchè giocandosi la poltrona di Reggio Calabria deve comunque render visibili e palesi segni che lo distinguano dal predecessore e da quello che, a mio giudizio, è il candidato principe, vale a dire Prestipino Giarritta Michele) non è così logico che anche il procuratore generale Santi Consolo ne segua le riflessioni con una analisi che è disarmante tanto è corretta. 

Voi – esimi lettori – sapete che la penso come la pensa Lombardo e, prima di lui, come la pensano i pm Caponcello, Gratteri, Spataro, Pennisi e via cantando (seppure, ciascuno, con le proprie sfumature)"Il territorio è particolare, perché ha due versanti costieri che sono anche diversi, sotto un profilo storico e culturale – ha detto davanti ai membri della Commissione parlamentare antimafia Lombardoe poi ha una tradizione propria del centro della Calabria, che risente anche di alcune impostazioni e di alcune formazioni tradizionali. Allora, se così è, la criminalit
à organizzata nel suo insieme va vista come unitaria, perché ha dei moduli operativi che si ripetono, ma all'interno di tali moduli organizzativi vi è una rivalità, presente in tutti i consorzi sociali, e quindi è difficile formulare una regola. La regola è che c'è un opportunismo, derivante dal profitto dell'attività criminale, che oggi è elevatissimo. Dunque, qualora ad un'organizzazione convenga, essa andrà a fare un accordo e realizzerà una sorta di pax; qualora invece si senta egemone, otterrà il potere tramite l'esercizio della forza, di cui ha la disponibilità. Quindi possiamo vedere che, nell'ambito del territorio – almeno per quello che ho visto negli epiloghi dei processi d'appello – abbiamo delle organizzazioni molto più evolute, come ad esempio quella degli Iannazzo di Lamezia Terme, che non hanno bisogno di affermare il loro potere, perché è sufficiente che si presentino. È evidente che in questi casi l'attività di indagine diventa molto più difficile, perché è meno evidente il segnale intimidatorio che condiziona l'attività degli altri. Quindi, non proponiamo una regola, ma facciamo le verifiche e cerchiamo soprattutto di avere i mezzi per farle
".

LE MOTIVAZIONE DEL "CRIMINE"

A cristallizzare lo scontro in corso tra correnti di pensiero ('ndrangheta unitaria si 'ndrangheta unitaria no) sono giunte poche settimane dopo l'audizione di Lombardo e Consolo, le motivazioni delle sentenza con le quali il 21 luglio il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli ha dato volto alle risultanze processuali dell'inchiesta "Il Crimine".

Sembrano fatte apposte per alimentare lo scontro tra correnti. «La 'ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria, ha assunto via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non concluso, una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie 'ndrine» si legge tra le 860 pagine delle motivazioni

E ancora Minutoli scrive: «L'obiettivo che la Dda si era proposto di raggiungere e che, secondo questo giudice, è stato provato, era quello di delineare la struttura dell'organizzazione nel suo complesso, di individuare gli organi che la compongono e le "norme" che regolano i rapporti al suo interno. Ed è questo, indubbiamente, l'elemento di dirompente novità apportato dalla presente attività di indagine. La 'ndrangheta non può più essere vista in maniera parcellizzata come un insieme di cosche locali, di fatto scoordinate, i cui vertici si riuniscono saltuariamente (pur se a volte periodicamente), ma come un "arcipelago" che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole. L'unitarietà, a differenza di quanto è stato giudizialmente accertato per la mafia siciliana fa pienamente salva la persistente autonomia criminale delle diverse strutture territoriali. Tuttavia (ed è questa la novità del presente processo), l'azione dell' organismo di vertice denominato Crimine o Provincia, la cui esistenza è stata inoppugnabilmente accertata, seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività criminale gestita in autonomia dai singoli locali di 'ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell'organizzazione (una sorta di "Costituzione" criminale), quelle, in definitiva, che caratterizzano la 'ndrangheta in quanto tale e ne garantiscono la riconoscibilità nel tempo e nello spazio, anche lontano dalla madrepatria Calabria».

A me – personalmente – sembra un tentativo (in vero ben riuscito ad una prima lettura) di salvare capra e cavoli. Non si poteva dire che la 'ndrangheta non è unitaria ma non si poteva neppure dire il suo contrario, visto che si tratta dell'indagine "strappa prima pagina" per mesi e mesi. Ergo: si dice tutto e il suo contrario come testimonia un passaggio chiave della sentenza che suona quasi come un excusatio non petita (ma ovviamente mi sbaglio). 

OPPEDISANO E DE STEFANO

«Nessuna confusione – si legge nelle motivazioni del processo – può essere fatta tra la carica di "Capo Crimine" di Polsi (nel periodo interessato dalle indagini attribuita a Domenico Oppedisano) e la carica di Crimine che si attribuisce a Giuseppe De Stefano nell'ambito della operazione Meta». Non è possibile sovrapporre i due piani, scrive Minutoli, perché la carica a De Stefano (non imputato nel processo "Crimine") «riguarda esclusivamente il macro-organismo criminale reggino oggetto di Meta e all'interno del quale a De Stefano risulta attribuito il ruolo di responsabile per le attività criminali che agisce all'interno dell'organismo decisionale quale vertice operativo, per aver ricevuto, con l'accordo di tutti i capi-locale, la carica di Crimine. D'altro canto non risponde neppure al vero che i nomi di alcune delle storiche "famiglie" 'ndranghetistiche emerse nei processi celebrati negli ultimi decenni a Reggio Calabria, come i De Stefano e i Tegano (mandamento città) ed i Piromalli (mandamento tirrenico), non compaiano in questa indagine, che soltanto non ha tra i suoi imputati appartenenti a quelle cosche» per la «non universalità» di questo processo, che non può certo abbracciare l'intero panorama criminale reggino».

Vorrei capire chi ha fatto confusione tra le cariche di capo crimine di Polsi (vale a dire un tenutario delle regole, un custode della costituzione ndranghetista che ieri era Tizio e nel 2010 era don Mico Oppedisano) e il crimine, carica attribuita a De Stefano. De Stefano che – sia ben chiaro – della carica di crimine si aleggia vorticosamente le ascelle. Vorrei capire chi fa confusione anche perchè in vero De Stefano potrebbe anche essere chiamato "Pippo" o "Pluto", "Menelik" o "Mandrake" che non cambierebbe nulla: comanda la sua famiglia. Punto.

Mi sbaglierò – sicuramente – anche nel cogliere una contraddizione: non è che nell'inchiesta "Il Crimine" non ci siano rappresentanti di chi comanda davvero in Calabria…No, è solo che questa indagine non poteva essere "universale". E allora se universale non è come e perchè qualcuno giunge a definire il venditore di piantine il "capo dei capi"?

Quanto a don Mico Oppedisano, il gup sottolinea che la sua «figura emerge prepotentemente nel corso di tutta l'indagine quale personaggio di assoluto spessore nell'ambito della 'ndrangheta che fa capo al cosiddetto Crimine di Polsi. Si tratta di un vecchio "patriarca" che vanta una riguardevole carriera criminale all'interno del sodalizio, per sua stessa ammissione. Certo, Oppedisano non è stato scelto quale Capo Crimine perché più feroce o più blasonato dal punto di vista criminale di altri. È di tutta evidenza dalle plurime intercettazioni che la sua è stata una nomina di compromesso tra molteplici istanze di potere che riguardavano i vari mandamenti storici della &#
39;ndrangheta reggina, in esito ad una complessa e defatigante "trattativa". Ma è altresì vero che non è un mero uomo di paglia, bensì un autentico capo, e da lungo tempo, come emerge senza possibilità di equivoci da tutte le conversazioni in cui risulta essere 'ndranghetista ascoltato, stimato (e temuto) anche all'estero, perché di vecchio corso criminale. E la sua nomina ben si giustifica perché Oppedisano appare uomo capace di tentare mediazioni tra gruppi criminali agguerriti e, quindi, di evitare possibili conflitti, sempre in agguato
».

Insomma: un diplomatico della 'ndrangheta. Un ruolo di vecchio saggio. Va detto che è tanto. Tantissimo. Dunque benvenga che lo abbiano condannato.

IL COMMENTO DI PRESTIPINO GIARRITTA

«La sentenza del gup di Reggio Calabria è una sentenza di grande importanza per i principi che afferma con motivazioni ricche di argomentazioni. Il giudice, sulla scia di altre sentenze già pronunciate da giudici di Reggio e di Milano, afferma il principio dell'esistenza della 'ndrangheta come organizzazione unitaria, fortemente strutturata, dotata di proprie regole gerarchiche, organizzata con un organo di vertice che la governa». Il giudice riconosce anche l'esistenza delle molteplici proiezioni che la 'ndrangheta vanta fuori dal territorio calabrese e argomenta sui rapporti funzionali tra tali proiezioni e la casa madre, da sempre attestata a Reggio Calabria e nella sua provincia. È un passo importante verso il riconoscimento di un principio che in questi anni è stato alla base dell'azione di contrasto alla 'ndrangheta e che costituirà il principio guida per le future iniziative investigative e processuali».

Nello scontro ad armi (im)(pari) che si sta combattendo per la successione al trono di Reggio Calabria, queste riflessioni di Prestipino Giarritta Michele, vice di Pignatone Giuseppe, sono assolutamente logiche e conseguenziali. E' giusto e logico che egli ponga il cappello su un'indagine che lo ha visto impegnato per molti mesi sull'asse Milano-Reggio Calabria. Sacrosanto. Nessun appunto da muovere.

Solo una domanda finale: ma qualcuno si è accorto che la lotta alla 'ndrangheta vera – quella fatta da famiglie mafiose, De Stefano in primis, politici le cui carriere sono state scritte a tavolino da decenni, servizi segreti marci, Stato infedele, massoneria deviata, professionisti criminali spediti da Reggio a Milano capitale degli affari – la sta combattendo da anni (in silenzio, solo e isolato) anche il pm a perenne rischio di vita Giuseppe Lombardo? L'indirizzo è sempre lo stesso: Palazzo Cedir, Reggio Calabria.

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  • bianco |

    la mafia come una repubblica democratica unita (uno stato, un popolo connivente, un comando) e la ‘ndrangheta come una repubblica dittatoriale federale ?

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