Why Not senza fine / La Cassazione bacchetta il Gup – Nuovo giudizio a Catanzaro – De Magistris gode

Giovanni De Roberto e Giorgio Fidelbo sono nomi che non vi diranno nulla,

Neanche a me eppure – loro malgrado – sono gli attori di un nuovo punto fermo (l’ennesimo) nella vicenda Why Not.

L’uno è il presidente della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, l’altro è il consigliere estensore della sentenza con la quale il 20 luglio 2011 (fatto già noto ma le motivazioni sono state depositate solo il 21 settembre) la Suprema Corte ha annullato la sentenza del Gup di Catanzaro Abigail Mellace nella parte in cui il 2 marzo 2010 aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti 6 soggetti su 17: Franco Curto, Francesco Morelli e Dionisio Gallo (funzionari e dirigenti regionali) Giuseppe Ennio Morrone e Nicola Adamo (politici) e Giancarlo Franzè (amministratore della società Why Not), attori e protagonisti di una vicenda che squassò la politica e la società italiana. Persone (e straordinari personaggi) per le quali pendeva l’ipotesi di associazione a delinquere venuta, così, a cadere perché il fatto per il Gup non sussisteva.

Contro quella sentenza di proscioglimento si era appellato la Procura generale di Catanzaro. La Cassazione ha accolto il ricorso e dunque si ricomincia daccapo: ci dovrà essere un nuovo giudizio a Catanzaro.

Vedrete che – come sempre – i detrattori di Giginiello ‘o sciantoso ignoreranno questa sentenza continuando nel ritornello del flop della sua inchiesta, mentre gli adoratori del sindaco con la bandana arancione lo porteranno in trionfo e si scaglieranno contro quella stampa brutta, sporca e cattiva che non ne parla.

Io – che me ne fotto di tutti – vi racconto cosa ha detto la Cassazione e vi rimando a ciò che ho scritto nel passato.

L’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE

Secondo ‘o sciantoso le persone sopra citate (e molte altre ancora) avrebbero fatto parte di un puzzle criminale nel quale Antonio Saladino, attraverso le sue società di lavoro interinale, avrebbe posto in essere, tra il 2003 e il 2006, una serie di reati contro la pubblica amministrazione per accaparrarsi l’esecuzione di servizi e commesse da parte della Regione Calabria, assicurando posti di lavoro assegnati secondo logiche clientelari, che avrebbero fruttato anche in termini di consenso politico.

La sentenza del Gup Mellace, invece, ha escluso la sussistenza del reato associativo, ritenendo che non vi fosse alcuna prova di un accordo finalizzato al compimento di reati contro la pubblica amministrazione, nel senso di una condivisione verso un comune programma criminoso, essendo stati gli illeciti realizzati autonomamente, in concorso, di volta in volta, con i rappresentanti delle società che facevano capo a Saladino. In altri termini il Gup Mellace ha escluso che ci fosse un’associazione a delinquere governata da politici che, attraverso Saladino, volessero sovvertire le naturali regole della competizione elettorale per acquisire fraudolentemente consenso elettorale.

Le condotte illecite dirette a far incetta di bandi pubblici avvenivano dunque per “singole intese”, di volta in volta, e non invece in quadro ampio di un’associazione a delinquere.

IL RICORSO E IL “PUA”

La Procura generale di Catanzaro, che ha fatto ricorso, che cosa ha opposto? Che per l’esistenza di un reato associativo non è necessario che tutti i componenti si conoscano e agiscano sinergicamente per realizzare un programma criminoso, ne’ è richiesto che la componente personale resti inalterata nel tempo.

Il legame associativo – in altri termini – non deve essere ricercato tra i pubblici funzionari ma tra questi, singolarmente considerati e i rappresentanti delle società che facevano capo a Saladino: l’associazione così strutturata avrebbe consentito ai soggetti privati di accaparrarsi illecitamente ingenti risorse pubbliche, indipendentemente dall’alternarsi delle diverse maggioranze politiche nella Regione Calabria (dove, lo sanno anche i sassi, la differenza tra bianchi, neri, gialli o rossi non esiste. In Calabria esiste solo il “Pua”, il Partito unico degli affari).

COSA DICE LA CASSAZIONE

Il ricorso è fondato per tre motivi, visto che la sentenza di Mellace è stata “contraddittoria e incompleta”. Quel che apertamente la Cassazione critica è che se si fosse andati a dibattimento le prove sulla colpevolezza o sull’innocenza avrebbero avuto piena dignità. Il quadro probatorio è stato in sintesi “congelato”, reso immutabile mentre invece, secondo la Cassazione, se si fosse andati in dibattimento ognuno avrebbe avuto modo di far valere dialetticamente le proprie ragioni e gli sviluppi non sarebbero certamente mancati.

La sentenza di Mellace, secondo i giudici della Suprema Corte, non regge neppure da un punto di vista logico. E’ infatti errata la tesi secondo la quale il ruolo del pubblico funzionario nella realizzazione del reato contro la Pa costituisce una variabile indipendente rispetto alla configurabilità di un’associazione per delinquere, costituita da privati.

Infine la ritenuta (dal Gup Mellace ndr) mancanza di ogni accordo o vincolo tra gli imputati soggetti pubblici non può comunque portare alla negazione dell’esistenza dell’associazione, in quanto il legame associativo non deve essere ricercato solo tra tali soggetti ma tra questi, singolarmente considerati e i rappresentanti delle società che facevano capo a Saladino o ai suoi collaboratori.

Lo stabile sistema di illeciti accordi tra Saladino e i pubblici funzionari regionali, scrive il giudice estensore Fidelbo, è emersa “dalle dichiarazioni accusatorie rese dalla Merante, stretta collaboratrice di Saladino, da Tursi Prato e da Arturo Zannelli, dichiarazioni che, coma ha rilevato la ricorrente (la Procura generale di Catanzaro ndr) la sentenza impugnata (quella di Mellace ndr) ha ritenuto aprioristicamente e illogicamente inattendibili, nonostante abbiano trovato riscontri concreti in una serie di elementi probatori e di fatto posti a base della condanna del Saladino per gran parte dei reati fine”.

IL 2 MARZO 2010

Ricordo che su questo umile blog (unico e solo nel disgustoso silenzio dei media nazionali, a parte il Fatto Quotidiano ) trattai con dovizia di particolari per più di una settimana (si vedano in archivio i post del 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 novembre 2010) proprio la sentenza del 2 marzo 2010. Ben 944 pagine delle motivazioni della sentenza con la quale il giudice Abigail Mellace, con rito abbreviato, aveva emesso la sentenza 32/10 sul caso Why Not. Le motivazioni sono state rese note il 17 ottobre: 8 condanne e 3
4 assoluzioni per quanti hanno scelto, appunto, il rito abbreviato.

Il giudice Mellace – né De Magistris né altri, confermando dunque in pieno l’impianto accusatorio originario dello stesso Giginiello o sciantoso – scrive a pagina 125 che: “…effettivamente, negli anni 2003/2008, la Regione Calabria, e per essa alcuni ben individuati soggetti pubblici preposti alla guida e alla direzione di importanti settori amministrativi, a seguito di reiterate ma distinte azioni criminose, hanno assegnato al Consorzio Brutium e alla società Why Not una serie di appalti e progetti, in palese violazione di norme di legge e hanno in tal modo operato, consapevolmente ed intenzionalmente, al fine di procurare alle stesse strutture private un ingiusto vantaggio patrimoniale”.

Sintetizzo: Appalti fuorilegge con i quali qualcuno si è arricchito.

Scrivevo, il 2 novembre 2010 – senza poter prevedere che la Cassazione sarebbe giunta dopo un anno alle mie stesse conclusioni – dal basso della mia bassissima intelligenza e della mia immeritatissima laurea in Giurisprudenza – che tutto questo accadeva “senza alcuna associazione a delinquere, un’incongruenza”. Un’incongruenza sulla quale tornai nei giorni successivi (è tutto in archivio del blog, ripeto, dal 2 al 9 novembre 2010).

Ricordo infine agli smemorati di Collegno e dintorni (molti ampi) che il 9 novembre 2010, sempre su questo umile blog, raccontai le 19 pagine con le quali la Procura di Salerno spiegò il motivo del rinvio a giudizio di 8 persone per le vicende Poseidone e Why Not, tra le altre cose per corruzione in atti giudiziari.

Alla prossima puntata ragassi e buon fine settimana.

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • bartolo |

    caro galullo,
    anche se ogni tanto alcuni miei commenti sono da lei ritenuti non pubblicabili, impedendo a me di incorrere in ulteriori aggressioni da parte dei criminali calabresi, e non; e, ai suoi lettori, di non comprendere, appieno, le mie opinioni. continuo a farle i complimenti quando a mio parere le merita. e in questo post sono ben meritate.
    vede, oltre ad essere, per lo stato dei mafiosi, uno ndranghetista, sono anche uno che nei suoi quarantanove anni di vita non ha mai fatto il vigliacco al cospetto dei paralitici-disadattati-cialtroni, che, in ordine sparso, compongono la pseudo organizzazione criminale denominata ndrangheta e che tanto paura incute a livello internazionale. per cui quando gigino o sciantoso ha iniziato il suo percorso investigativo contro la vera ndrangheta che opprime la calabria, mi sono interessato a cercare di capire quale fosse la commistione massoneria-politica-magistratura-p.d.c. e così, un giorno mi ritrovai a manifestare insieme ad una decina di cittadini davanti al c.s.m. in sostegno dei magistrati apicella, nuzzi e vesani che venivano processati per aver prodotto un decreto di perquisizione dichiarato abnorme persino dal capo dello stato che in quel caso doveva rimanere in silenzio essendo proprio egli per dettato costituzionale il presidente di quell’organismo che doveva appunto giudicarli. Quando i due difensori dei su citati giudici sotto inchiesta amministrativa a sera tardi sono usciti dal csm ci siamo avvicinati per chiedere se il popolo italiano aveva qualche speranza di ottenere giustizia da quell’organo costituzionale chiamato a garantirla. sul viso di quei magistrati difensori ai quali dopo avergli stretto la mano li ho avvisati del mio stato mafioso ho notato sconforto e delusione; ed uno dei due, il sostituto procuratore generale presso la procura di roma stefano racheli, mi disse: non so se lei è un mafioso ma per certo so che da stamattina all’interno di questo palazzo alle nostre spalle di mani mafiose ne ho strette a bizzeffe.
    sono fiero di aver resistito per diciotto anni alle violenze di una giustizia, quella italiana, impazzita; ma, ancora più fiero lo sono perché ciò mi ha consentito di conoscere servitori dello stato che pur “torturati” dai criminali istituzionali non hanno mai piegato la schiena, nonostante i precedenti di loro colleghi trucidati.
    la storia delle procure di reggio calabria, catanzaro, salerno e matera sarà certamente scritta; e non saranno nè il csm, né la cassazione, né il marcio sistema mediatico a farlo, bensì uomini che di eroico non hanno nulla se non l’onestà intellettuale di far emergere il marcio che ha invaso l’italia fin nel colle più alto e di quanto antieroi sono stati quegli eroi che su questo falso hanno costruito la propria fortuna istituzionale ed economica.
    la saluto, bartolo iamonte

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