Mafia Capitale/1 Dalla relazione di Giovanni Russo (Dna) il placet alla ricostruzione della pubblica accusa

Amati lettori di questo umile e umido blog, nel recente passato (rimando al link a fondo pagina) vi ho raccontato della folle sete del “mondo marcio di sopra” (che quando sarà colpito sarà sempre troppo tardi) di annientare il procedimento in corso a Roma contro il “mondo di mezzo”.

Una lettura molto importante sul procedimento, giunge dall’analisi del consigliere Giovanni Russo nell’ultima relazione della Dna (Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo) presentata giovedì scorso al Senato.

Ebbene, ricorda Russo, la “mafia” attualmente alla sbarra nella Capitale è certamente da ricondursi al paradigma criminale dell’articolo 416 bis, in quanto si avvale del metodo mafioso: la forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza per il conseguimento dei propri scopi.

In questa associazione la forza d’intimidazione del vincolo associativo, autonoma e resa palese e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali che delineano un profilo del tutto originale e originario. Originale perché l’organizzazione criminale presenta caratteri propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note. Originario perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali.

Nei provvedimenti giudiziari è stata affrontata specificamente la problematica della differenza intercorrente tra la “mafia Capitale” e le mafie storiche che, sul piano strutturale, presentano modelli organizzativi rigidamente gerarchici, nei quali i vincoli di appartenenza sono indissolubili e inderogabili. Un tale modello organizzativo ricorda Russo è, però, storicamente e sociologicamente, incompatibile con la realtà criminale romana, che è invece stata sempre caratterizzata da un’elevata fluidità nelle relazioni criminali, dall’assenza di strutture organizzative rigide, compensata però dalla presenza di figure carismatiche di grande caratura criminale, quali Ernesto Diotallevi, Michele Senese e Massimo Carminati e da rapporti molto stretti con le organizzazioni mafiose tradizionali sul territorio romano e da una connaturata capacità di ricercare e realizzare continue mediazioni, che si risolvono in un equilibrio idoneo a generare il senso della loro capacità criminale. «Mafia Capitale, in questo differenziandosi e in parte affrancandosi dalle precedenti espressioni organizzate capitoline come la Banda della Magliana – scrive testualmente Russo ha avuto la capacità di adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, creando una struttura organizzativa di tipo reticolare, che mantiene inalterata la capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo nei confronti di tutti coloro che vengano a contatto con l’associazione. In essa, alcuni dei suoi componenti godono di ampi margini di libertà, sì che essi, oltre a essere impiegati attivamente nelle attività proprie dell’associazione, svolgono autonomamente e personalmente attività illecite. Sul piano del core business, l’attività di Mafia Capitale è orientata al perseguimento di tutte le finalità illecite considerate nell’articolo 416 bis c.p. Tra esse, è tuttora frequente la commissione di gravi delitti di criminalità comune, prevalentemente a base violenta, ma lo scopo principale è soprattutto l’infiltrazione del tessuto economico, politico ed istituzionale, l’ottenimento illecito dell’assegnazione di lavori, di servizi e di forniture da parte della pubblica amministrazione».

Bene, per il momento mi fermo qui ma domani proseguo sempre sulo stesso filone.

r.galullo@ilsole24ore.com

(si legga anche

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/02/14/pignatone-il-mondo-di-mezzo-e-il-mondo-di-sopra-che-tifa-contro-il-processo-su-mafia-capitale/ )