Relazione Dia 2012/ In Campania sempre meno alternative alla disperazione: per questo la camorra continua a vincere

Venerdì e sabato scorsi sul portale www.sole24ore.com ho pubblicato due articoli relativi alla relazione della Dia sul secondo semestre 2012. Li ripropongo per i lettori del blog che li avessero persi, arricchiti di nuove parti per la Campania e la Puglia (oltre che quelle già uscite su Sicilia, Calabria e mafie straniere).

E’ una relazione dedicata alla memoria dei giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Rosario Livatino, quella che la Dia ha appena spedito al Parlamento sul secondo semestre 2012.

Per quel che riguarda la camorra la relazione del secondo semestre 2012 della Dia conferma il consolidamento dell’alto livello di organizzazione con proiezioni internazionali, l’intensa interazione con le articolazioni economico-finanziarie e politiche locali, la flessibilità nell’adattarsi a contesti diversi perseguire i tradizionali interessi. Non ultimo, però, si legge a pagina 162 della relazione, va segnalata ancora l’assuefazione di alcuni strati sociali, tra i più emarginati, al controllo esercitato dai clan. «Si tratta di un fenomeno che in alcuni casi deriva da un istintivo consenso – si legge ancora a pagina 162 della relazione – dettato da fattori di attrazione quali la possibilità di ottenere un sostegno economico in un contesto che, sempre meno, offre valide alternative alla disperazione».

Non è compito della Dia lanciarsi in analisi sociologiche ma – consapevolmente – gli investigatori antimafia tracciano un quadro disperante (e forse irreversibile): vale a dire in un quadro economicamente e socialmente sempre più degradato, in alcuni contesti geografici campani, ciò che appare un miraggio è proprio la possibilità di imboccare una via diversa da quella criminale.

Anche perché, come è agevole leggere nella stessa relazione che dovrebbe essere distribuita non ai soli giornalisti ma principalmente nelle scuole e nelle parrocchie (le une e le altre spesso ben lungi dall’affrontare certi temi), la capacità dei clan di “mangiare” l’economia sana è oggi più alta di ieri a causa della crisi. Ergo: domani lo sarà più di oggi. C’è qualche forza politica, sindacale o associativa a cui interessa al di là dei proclami e degli slogan?

POLVERIERA PUGLIA

La Dia ha “spacchettato” in tre parti l’analisi sulla criminalità organizzata pugliese a testimonianza di quanto sia pericolosa (e verosimilmente sottovalutata) la sua anima violenta.

Nel barese, oltre alla diffusa disponibilità di armi, ai collegamenti (del resto storici) con la camorra, alla propensione alle rapine a portavalori e Tir e alla capacità di estendere i traffici nell’intera provincia, ciò che la Dia evidenzia sono le dinamiche di scontro, che premono sugli attuali equilibri tra clan, innescate dall’iniziativa di soggetti emergenti e focalizzate nella spartizione delle attività illecite.

Nel Gargano ciò che va evidenziato è il tentativo di infiltrarsi in nuovi (da queste parti) settori di business, come il ciclo dei rifiuti, e le dinamiche di ridefinizione degli assetti dei vecchi gruppi della “società foggiana” e il contemporaneo “contenimento” (è proprio questa l’espressione usata dalla Dia) delle iniziative di gruppi gregari e/o emergenti. Insomma: le nuove leve scalciano e sono costrette al momento a mordere il freno ma la prospettiva è deprimente perché vuol dire che il ricambio generazionale è garantito.

Nel Salentino più o meno stesse dinamiche del Gargano solo che il rischio-penetrazione qui continua ad essere nel settore dell’energia rinnovabile. La Sacra corona unita è alla ricerca di nuovi equilibri e – vista anche la posizione geografica – i rapporti e le alleanze con le mafie straniere (in particolar modo balcaniche) prosperano

MAFIE STRANIERE

Nella corposa relazione – 327 pagine – c’è spazio per lo stato di salute di tutte le mafie e, mai come questa volta, anche per quelle straniere. «Le indagini in corso – si legge a pagina 223 del rapporto firmato dal direttore della Direzione investigativa antimafia Arturo De Feliceconfermano la stretta cooperazione tra mafie endogene ed esponenti di organizzazioni criminali straniere non solo nel traffico di stupefacenti ma anche nel reclutamento per la costituzione dei gruppi di fuoco utilizzati nele guerre tra clan». Se si va a leggere l’ampio capitolo dedicato a Cosa nostra, a pagina 11, si trova il riscontro. «Le più recenti risultanze investigative confermano – si legge nel documento – la partecipazione alle attività criminali di Cosa nostra anche di soggetti di nazionalità straniera, in maggioranza nordafricani, con ruoli ancora marginali, ma con una prossimità che va oltre l’occasionalità che, sinora, l’aveva connotata».

La criminalità straniera è dunque in continua evoluzione e il suo radicamento nel tessuto sociale, economico e imprenditoriale del Paese è sempre più efficace e penetrante. «Quasi sempre i capitali accumulati sono reinvestiti nei Paesi di provenienza – si legge nelle conclusioni del capitolo dedicato alle mafie oltrefrontiera – inviati mediante il sistema del money transfer» ma nel secondo semestre 2012 si è assistito anche al fenomeno del trasferimento attraverso carte prepagate. «I controlli meno rigorosi esercitati su questo sistema di trasferimento di denaro – si legge nella relazione – potrebbero renderlo appetibile ad un’utenza ancor più vasta di quella individuata sino a oggi. La procedura snella con cui si possono ottenere ed utilizzare rende infatti le carte elettroniche più “interessanti” rispetto ai money transfer, ormai più soggetti a controlli».

COSA NOSTRA

Vulnerabile, destrutturata ma ancora in grado di rinascere dalle proprie ceneri. Eccola la descrizione che la Dia fa di Cosa nostra, nella Relazione sul secondo semestre 2012 spedita al Parlamento. Il documento si sofferma a lungo sulla mafia siciliana che, se da un lato conferma la fase di arretramento a seguito dei duri colpi ricevuti, dall’altra mostra segni di risveglio. «Una progettualità – si legge a pagina 10 della relazione – volta alla riorganizzazione ed alla affermazione del proprio potere».

Per carità: restano le estorsioni, prima voce tra gli introiti, rimane il controllo sugli appalti e sul traffico di stupefacenti, resiste il potere corruttivo e si assiste – per la sopravvivenza – alla realizzazione di immediati profitti in tutti i campi. Quel che in prospettiva si avverte, però, si legge nella relazione, è la fase di trasformazione, caratterizzata da un ricambio generazionale e dal delinearsi di una struttura sempre meno conforme ai rigidi schemi dei mandamenti e delle famiglie.

Le recenti indagini in Sicilia rimarcano dunque «la vitalità di Cosa nostra, capace di riorganizzarsi e ricompattarsi anche dopo colpi durissimi, capace di creare nuovi capi e nuove direzioni strategiche operanti su tutti i tradizionali settori di intervento o di interesse dell’organizzazione ma
fiosa
».

Ciò che descrivono gli analisti della Direzione investigativa antimafia è la ricerca di nuovi equilibri con il “transito” di elementi di spicco da una “famiglia” ad un’altra, con l’approvazione dei boss scarcerati oppure (come sembra accadere recentemente nella Sicilia orientale), attraverso il rapido e agevole reclutamento di manovalanza giovanile oppure ancora, come si ipotizza per i clan Santapaola e Cappello, con la «flemmatizzazione» (dice proprio così la relazione) dei dissidi tra cosche ad uno stato latente.

Flemmatizzare vuol dire calmare, raffreddare ma il verbo non è usato a caso perché nella tecnologia degli esplosivi, la flemmatizzazione è l’aggiunta di una o più sostanze che riducono la sensibilità all’urto di un esplosivo.

Cosa nostra palermitana cerca in ogni caso di mantenere salde le sue strutture di governo non rinunciando all’elaborazione di modelli organizzativi forti e a progetti volti ad assicurare la sopravvivenza «nelle condizioni di maggiore efficienza possibile» come si legge a pagina 63 della relazione. E in questo gioco di “efficienze” rientrano i rapporti con rappresentanti delle Istituzioni, amministratori pubblici e imprenditori.

QUI CALABRIA.

In Calabria – dove il peso delle cosche è sempre assillante – si conferma le minacce, le ritorsioni e le azioni intimidatorie riconducibili alla regia occulta di gruppi criminali che tentando di ostacolare il cambiamento o di obbligare gli amministratori ad asservire le proprie scelte agli interessi criminali. Questi gesti non sono necessariamente legati a interessi economici, visto che i bilanci dei piccoli o piccolissimi comuni sono spesso dissestati o irrisori. «In questi casi – si legge a pagina 66 della relazione – l’interesse delle cosche sembra più orientato verso un insidioso e istintivo desiderio di controllo delle istituzioni locali, al fine di rendere visibili agli occhi delle comunità la propria capacità di influenza sul governo del territorio e sul rilascio degli atti autorizzativi».

Le architetture organizzative della ‘ndrangheta – si legge a pagina 320 della relazione – tendono verso «logiche centralizzate, verosimilmente dettate dall’opportunità di perseguire strategie unitarie e dalla necessità di evitare l’esplosione di faide, strategicamente svantaggiose».

r.galullo@ilsole24ore.com