Anche in Piemonte la ‘ndrangheta sa di poter piegare, con violenza e soldi, la volontà dei professionisti

Prendete un criminale, aggiungeteci un politico colluso e un imprenditore disonesto. Propensione alla corruzione quanto basta et voilà, l’associazione a delinquere sarebbe pronta per essere riversata nella società. Manca qualcosa. C’è un ingrediente che costituisce l’amalgama di una ricetta malavitosa sempre più raffinata: la presenza di almeno un professionista.

La borghesia mafiosa non può più fare a meno di avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti, geometri, esperti finanziari, notai: insomma di chi è in grado di garantire competenze e conoscenze per il salto di qualità negli affari criminali.

Al sud è storia. Senza professionisti compiacenti sarebbe stato inimmaginabile procedere a truffe in serie, come quelle derivanti dai fondi messi a disposizione dalla legge 488/92.

Al nord – dato per scontato che il corpo delle categorie professionali è ancora sano – si affacciano le mele marche che, alla luce delle enormi risorse finanziarie su cui possono contare le associazioni a delinquere, rischiano di contagiare altre “mele”.

Prendiamo, a esempio, l’operazione Minotauro, con la quale il 9 giugno la Procura di Torino ha dato scacco a molte famiglie di ‘ndrangheta in Piemonte. Non mancano gli episodi in cui commercialisti, geometri e architetti entrano ed escono dalle indagini delle Forze dell’ordine.

Il 19 luglio 2007, a esempio, un cantiere edile viene sottoposto ad un controllo del Nucleo Carabinieri dell’Ispettorato del lavoro di Torino. Il titolare, indagato e presunto “trequartino” di Cuorgnè, a ispezione conclusa, telefona ad un commercialista (che non è indagato) per informarlo dell’esito: i militari avevano accertato che un operaio stava lavorando senza essere stato assunto.

Ci pensa una terza persona, anch’essa intercettata telefonicamente, a suggerire, per sistemare le cose, che il commercialista prepari la documentazione telematica antecedente al 16 luglio, così da attestare l’assunzione dell’operaio prima del controllo.

Nelle carte dei pm torinesi c’è di più. L’architetto Vittorio Bartesaghi è indagato per un’ipotesi di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Bartesaghi, già consigliere comunale di Nole Canavese nel ‘99, appare agli occhi degli inquirenti come un professionista molto vicino al pluripregiudicato e supposto boss di Torino (con la carica di “crimine”) Adolfo Crea, per conto del quale curava la parte relativa ai lavori di edilizia, ed in particolare appalti e subappalti di opere pubbliche aggiudicati a Crea sotto la copertura di altre ditte a lui vicine. Una perquisizione effettuata già il 19 febbraio 2004 all’interno del suo studio professionale, aveva consentito di trovare documentazione relativa a lavori che le ditte avevano avuto in subappalto per i comuni torinesi di Chieri e Pramollo, ma che di fatto erano gestiti da Adolfo Crea in prima persona.

Un’ intercettazione ambientale del 6 novembre 2003 aveva evidenziato l’infiltrazione di Crea nell’ambiente politico, aiutato da Bartesaghi che, secondo quanto si legge nell’ordinanza, si preoccupava lui stesso di motivare e sollecitare Crea nel perseguire rapporti con l’allora assessore ai Lavori pubblici (Caterina Ferrero,ai domiciliari poi il 15 giugno 2011 nell’ambito di uno scandalo sanitario quando era assessore regionale) al fine di incrementare le commissioni degli appalti.

Essere un professionista “vicino” alle associazioni a delinquere, alle consorterie mafiose o anche solo essere entrato in contatto per motivi di lavoro, a volte è rischioso. Nel 2007, proprio quel controllo edile che scatenò il tentativo di accomodamento, vide protagonista un altro professionista, un geometra che aveva subito pesanti minacce, ma che non aveva sporto alcuna denuncia penale “dimostrando totale assoggettamento alla logica omertosa discendente dalla forza di intimidazione indotta dalla ‘ndrangheta”, concludono i pm.

Il geometra (che non è indagato) aveva richiesto un risarcimento di 56mila euro alla ditta edile per alcuni lavori eseguiti non ad opera d’arte a Cuorgnè (Torino). Un giorno fu fermato, condotto con la sua auto in un luogo isolato, lontano da occhi indiscreti. Fu fortunato: una pattuglia che passava di lì evito, forse, il peggio.

r.galullo@ilsole24ore.com

5- the end (le precedenti puntate sono state pubblicate l’11, il 12, il 13 e il 14 luglio)

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