Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, l’11 maggio 2017 Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università Statale di Milano, ha presentato in Commissione parlamentare antimafia un rapporto riservato alla criminalità straniera nel nord.
Il primo, il secondo e il terzo rapporto sono stati dedicati, rispettivamente all’infiltrazione mafiosa negli enti locali, nell’economia legale, e al tema delle attività commerciali illegali e a quelle tradizionali delle organizzazioni criminali e sono stati illustrati nelle sedute del 6 maggio 2014, del 24 febbraio 2015 e del 30 settembre 2015.
Lo dico come sempre senza peli sulla lingua: interessanti ma senza personali entusiasmi i primi tre (confesso che il mio giudizio è fuorviato dal fatto che leggo e studio di economia criminale e criminalità organizzata ogni giorno che il buon Dio manda in terra e dunque “sorprendermi” con analisi inedite non è facile), molto interessante quest’ultimo.
Perché? Bene, innanzitutto perché ci mette davanti agli occhi una verità banale ma che proprio per questo rischia di non essere valutata per quel che realmente conta nelle dinamiche sociocriminali: il voto nelle elezioni.
Un voto legato alla presenza (che andrà vieppiù radicalizzandosi con nuove leve di italiani di sangue straniero) di etnie originarie di altre aree geografiche mondiali che vivono anche di crimine.
Questa presenza complessiva di mafie (o comunque stabili organizzazioni criminali straniere) non è più un elemento transeunte (e del resto soprattutto con la caduta del Muro di Berlino e lo sfascio dell’Urss e della Jugoslavia solo uno stolto avrebbe potuto pensarlo) ma strutturale della criminalità presente in Italia (ergo, in Europa e nel mondo).
Si globalizzano anche le mafie (quelle italiane hanno indicato la via) e dunque, non bastassero ‘ndrangheta, Cosa nostra, camorra, Casalesi, Sacra Corona unita e Società foggiana ecco che si consolidano anche russi, cinesi, albanesi, slavi, nigeriani e chi più ne ha più (purtroppo) e metta.
Dalla Chiesa (e il suo team composto dai ricercatori Sarah Mezzenzana, Samuele Motta e Roberto Nicolini) evidenzia che queste organizzazioni sono in gran parte composte da persone che non hanno la cittadinanza e questo le indebolisce. Sono sottoposte, dice il professore universitario, a questi continui dinamismi e a questa mobilità nello spazio di altri gruppi, che rende loro più incerto l’orizzonte in cui si muovono. Inoltre non dispongono, diversamente dalle organizzazioni criminali indigene, di un capitale elettorale. Sono cioè organizzazioni che non possono spendere questo capitale nei rapporti con la politica e con l’amministrazione. «Questo le rende indubbiamente più deboli di quanto potrebbero essere in relazione alle capacità di movimento che hanno acquisito» afferma Dalla Chiesa.
E quando – magari a partire dalle elezioni amministrative ancor prima delle politiche – il voto sarà anche nella piena e legittima disponibilità di “italo-qualchecosa” con un background criminale, cosa accadrà? Ce lo spiega Dalla Chiesa: «Nel momento in cui questa risorsa dovesse essere utilizzata e non sto ovviamente auspicando che non possa essere utilizzata, queste organizzazioni criminali sarebbero in grado di esercitare un peso sicuramente maggiore, perché avrebbero la possibilità di sviluppare delle modalità di influenza importanti anche sulla sfera pubblica, sulle pubbliche amministrazioni. C’è un’apertura sociale ovviamente molto più limitata rispetto a quella di cui godono le organizzazioni italiane, ma si incominciano ad avere segnali, anche perché molte sono le forme di imprenditoria che nascono in aree non criminali, ma con le quali possono esserci delle relazioni fondate sul vincolo di nazionalità o di compaesanità».
Pensare alla provincia di Prato è facile, pur avendo sempre presente che generalizzare è un grave errore.
Ora mi fermo ma domani continuo analizzando ancora questo rapporto.
1- to be continued