Rapimento di Aldo Moro/1 Traffico di armi sull’asse Roma-Reggio Calabria-Beirut: anomalie, divergenze, doppi verbali e mancati riscontri

La Commissione di inchiesta parlamentare sul rapimento e la morte di Aldo Moro si avvia alla conclusione dei lavori, presentando una serie di riflessioni, novità, interpretazioni ed ipotesi che vanno ad arricchire un quadro che – inevitabilmente – a quasi 40 anni dalla strage di Via Fani e dal ritrovamento del cadavere del politico in via Caetani, appare nebuloso.

Nella seduta del 20 dicembre 2016  – come sempre presieduta dal Pd Giuseppe Fioroni, che ha condotto con molta sapienza e professionalità la Commissione – è stato presentato un primo ricco elaborato che – tra le tante cose – tocca anche il nervo scoperto del ruolo della criminalità organizzata nelle fasi (quante? quali?) di quei drammatici giorni che segnarono per sempre la storia della democrazia italiana.

IL TRIPLO VERSANTE DELLA ‘NDRANGHETA

In particolar modo quei giorni – come ben sanno i lettori di questo umile e umido blog che da anni leggono le mie cronache sul punto, riassunte in fondo a questo servizio con una serie di link di approfondimento – vedono agitarsi lo spettro della ‘ndrangheta su un triplo versante:

1) il traffico di armi gestito dalla cosca De Stefano che incrocia uomini di scena nell’affaire Moro;

2) la presenza di uomini del clan Nirta (legati ai De Stefano) sulla scena del crimine;

3) l’incredibile coincidenza della presenza di personaggi come Frank Coppola e della cosca De Stefano, a cui erano legati appunto i Nirta, sia nella vicenda del presunto traffico d’armi sia nella vicenda dei tentativi, bloccati, di acquisire notizie utili alla liberazione di Moro per il tramite della ’ndrangheta.

«La stessa tematica della presenza di Nirta in via Fani, ipotizzabile sulla base delle immagini d’epoca, delle dichiarazioni di Saverio Morabito e della telefonata di Cazora a Freato – si legge nella relazione della Commissione parlamentare presentata il 21 dicembre 2016 – può essere rivalutata proprio in relazione all’esistenza del traffico d’armi e all’eventuale coinvolgimento in esso di Tullio Olivetti, per il quale esistono evidenze  documentarie,  sebbene  egli  non  sia  stato  perseguito  nell’inchiesta Armati/Torri». Ma su queste ultime cose, torneremo con i servizi che dedicherò questa settimana (oltre che quelli riservati nel passato).

Il nervo scoperto della presenza e del ruolo della ‘ndrangheta è evidenziato soprattutto dal fatto che la Commissione conferma che, su questo delicato punto, le procure ordinaria e generale di Roma e la Dda di Reggio Calabria stanno approfondendo una serie di argomentazioni. La notizia – data in esclusiva alcune settimane fa con dovizia di dettagli da questo umile e umido blog – viene confermata da questa prima, ricchissima bozza di relazione.

IL TRAFFICO DI ARMI

Sullo sfondo (come testimonia il capitolo II, paragrafo 12.7) appunto gli incroci tra la ’ndrangheta e il traffico di armi che, già più volte scandagliati dalla Commissione parlamentare attuale e in quelle precedenti, vivono di nuova luce con la recentissima audizione – 28 settembre 2016 – di Giancarlo Armati, il magistrato che seguì, come sostituto procuratore l’indagine sul traffico d’armi che, a partire dal 1977, coinvolse Luigi Guardigli, Tullio Olivetti e altri.

Guardigli,  con  le  sue  confessioni,  evidenziò  l’esistenza  di  un traffico d’armi che coinvolgeva la ’ndrangheta e il Medio Oriente. Armati, in audizione, definì Olivetti, entrato nell’inchiesta per le dichiarazioni rese da Guardigli, come «una specie di fantasma»: pur avendolo citato, non poté interrogarlo, in quanto irreperibile, e non poté acquisire dagli investigatori alcun elemento su di lui.

Per quanto attiene allo svolgimento dell’inchiesta, conclusasi con condanne minori per Guardigli e con l’assoluzione degli altri imputati, anche a causa di una perizia di Aldo Semerari (criminologo e psichiatra di fama, collaboratore dei servizi, iscritto alla Loggia P2 di Licio Gelli e ad un certo punto della sua vita entrato a strettissimo contatto con ambienti criminali, trovato decapitato il 1° aprile 1982 all’interno della sua automobile parcheggiata ad Ottaviano di fronte alla casa del braccio destro di Raffaele Cutolo, Vincenzo Casillo) e Franco Ferracuti (criminologo di fama mondiale, anch’egli iscritto ala P2) che definì Guardigli come soggetto mitomane.

Armati  ha  confermato in Commissione la  differente  valutazione  della  credibilità  di Guardigli tra lui e il giudice istruttore, Ettore Torri: a suo avviso sarebbe stato opportuno non richiedere la perizia per Guardigli in quanto, pur con le sue particolarità, era un testimone complessivamente credibile.

È proprio dall’ambiente calabrese dei sequestri di persona e da non meglio indicate “informazioni confidenziali” ricevute dall’Arma che partì l’indagine sulla società di Luigi Guardigli e sul traffico di armi. Il  29   gennaio  1977  la  Legione  Carabinieri  di  Roma, Nucleo investigativo, diretto dall’allora tenente colonnello Federico Cornacchia, chiese alla Procura di Roma un decreto di perquisizione nei confronti di Guardigli, emerso nell’ambito di indagini su sequestri di persona come contatto romano dei clan mafiosi calabresi D’Agostino e De Stefano.

I RAPPORTI SONO…DIFFERENTI

La Commissione scopre e scrive che nel fascicolo processuale sono presenti due copie leggermente diverse (acquisite il 18 dicembre 2015) del rapporto del 29 gennaio 1977, delle quali solo una firmata dal tenente colonnello Cornacchia. Nel rapporto a firma di quest’ultimo non sono presenti i riferimenti all’Arma di Reggio Calabria come ente pure impegnato nelle indagini nelle quali sarebbe emerso il nome di Guardigli, che sono invece presenti nell’altro rapporto con firma diversa. Misteri della fede. O dell’Arma di quei tempi!

Le indagini, peraltro, hanno documentato rapporti tra Guardigli ed esponenti del clan di Archi De Stefano. Guardigli, prima di essere arrestato, riferì al maresciallo Gueli del Servizio di sicurezza della Polizia di Stato che si sarebbe rifiutato anche di rifornire di armi il «mafioso  Giorgio  De  Stefano»,  presentatogli  da  Aldo Pascucci, la persona che avrebbe presentato Olivetti allo stesso Guardigli.

De Stefano avrebbe anche richiesto la fornitura di una microspia per intercettare i suoi avversari, si sarebbe incontrato a Reggio Calabria con Guardigli per effettuare un sopralluogo e quest’ultimo avrebbe ricevuto l’assegno di un milione di lire, che fu effettivamente sequestrato nel corso delle perquisizioni. Anche dalle intercettazioni emerge una telefonata in cui Aldo Pascucci “passa” a Guardigli  tale  Giorgio,  identificato dai  Carabinieri in  Giorgio  De  Stefano.

Nel rapporto riepilogativo dei Carabinieri del 20 aprile 1977 acquisito dalla Commissione il 18 dicembre 2015 che ipotizza l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di armi, munizioni e congegni micidiali, si rappresenta la circostanza che Guardigli avrebbe trattato in particolare con Giorgio De Stefano, contattato mediante la mediazione di Aldo Pascucci, una partita di pistole italiane e straniere e di materiale elettronico utile sempre per fini militari, ricevendo, come anticipo, la somma di tre milioni e mezzo di lire, con assegno emesso sulla Bnl di Reggio Calabria.

LE CONFERME DI GUARDIGLI

Ascoltato recentemente dalla Commissione, Guardigli ha confermato l’esistenza di rapporti con De Stefano, la circostanza di essersi recato a Reggio Calabria per consegnare a De Stefano una microspia e di aver ricevuto in compenso uno o due assegni.

Peraltro, annota la Commissione parlamentare nella bozza, secondo Guardigli, la sua ritrattazione, che ebbe un fortissimo sull’esito della vicenda processuale, fu provocata proprio dalle minacce ricevute da personaggi della criminalità organizzata legati alla cosca De Stefano. Durante le fasi del processo Giorgio De Stefano fu assassinato (7 novembre 1977) e ovviamente non si procedette più a suo carico. Gli ambienti della malavita organizzata calabrese sembrano quindi aver avuto un ruolo di rilievo – si legge sempre nella bozza di relazione – nella vicenda Guardigli-Olivetti.

Le indagini della Commissione sulla vicenda Olivetti hanno evidenziato la presenza, nell’inchiesta sul traffico di armi del 1977, di diversi personaggi legati alla criminalità organizzata, che furono indicati come protagonisti anche in alcune delle fasi più oscure della vicenda Moro, soprattutto in relazione ad attività della criminalità, sensibilizzata ad attivarsi per avere informazioni sul luogo della prigionia.

Sono vicende più volte emerse, in parte esplorate, ma che possono essere messe in relazione – ripetiamo – con le evidenze emerse nell’inchiesta sul traffico di armi.

Luigi Guardigli, escusso su delega della Procura generale di Roma, ha chiarito la sua appartenenza all’area della Sinistra e ha illustrato le attività della società Racoin nell’import- export di armi, spiegando che le esportazioni del materiale di armamento – a suo dire autorizzate – erano relative a paesi del Nord Africa e del Medio Oriente quali, in particolare, Egitto, Arabia Saudita, Libano ed Algeria.

In tale contesto Guardigli ha sottolineato che Olivetti gli avrebbe chiesto «una fornitura di armi per il Libano non una grande fornitura, in quanto tale riconducibile ad una richiesta governativa ufficiale, ma mi chiese delle campionature o comunque una fornitura anomala di armi e dai discorsi che mi ha fatto mi sembrò di capire che le stesse non rientravano in una fornitura ufficiale militare, ma erano destinate ad un uso delinquenziale».

Sul tema mancano ulteriori riscontri, anche perché Olivetti non fu messo a confronto con Guardigli e l’Autorità giudiziaria non compì accertamenti su di lui. Va tuttavia segnalato che la notizia fu ripresa in una nota trasmessa dal Sismi al Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, nella quale si ponevano una serie di questioni sulla figura  dell’Olivetti  e  su  una  sua  eventuale  connessione  con  la  strage  di  via  Fani rilevando   «che   Olivetti   si   trovò   coinvolto,  qualche  tempo   fa,   in   un   traffico internazionale di armi, facente capo a Luigi Guardigli. Sarebbe stato lui, infatti, (unitamente a Enzo Varano, colpito da mandato di cattura per quei fatti) a presentare al Guardigli un gruppo di libanesi, acquirenti di armi di contrabbando».

Le dichiarazioni di Guardigli, coerenti con quanto da lui affermato all’Autorità giudiziaria nel 1977, inducono la Commissione parlamentare d’inchiesta a riprendere in esame il nodo di traffici che ruotava intorno allo stesso Guardigli e a Olivetti. Entrambi infatti appaiono aver avuto rapporti anche con la criminalità organizzata e in particolare con il clan Di Stefano. Il traffico d’armi rivelato nel 1977 e poi non compiutamente approfondito a seguito della perizia medica su Guardigli rimanda dunque a due direzioni, forse tra loro connesse, quella dell’esportazione illegale di armi verso il Medio Oriente e quella della fornitura  alla  criminalità  organizzata  di  armi  “sceniche”  facilmente  modificabili  e rese efficienti. «Parte non secondaria del traffico era la commercializzazione di armi “sceniche” facilmente modificabili ed efficientabili – scrive testualmente la Commissione Moro – anche da officine di tipo artigianale. Al contrario di quanto affermato nell’appunto “segretissimo” della Questura del 27 settembre 1978, il cartucciame Fiocchi destinato all’esportazione e probabilmente rientrato in Italia via Medio Oriente era compatibile con armi di questo tipo».

Per ora mi fermo ma domani proseguo

r.galullo@ilsole24ore.com

1 – to be continued

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