La trattativa Stato-mafia secondo Salvatore Lupo in Commissione antimafia: una delle tante. Forse una delle troppe

Il 1° dicembre la Commissione parlamentare antimafia ha avviato le audizioni per tentare di capirne di più sulla degenerazione della cosiddetta “antimafia” e delle sue finte o presunte bandiere, ultimamente ammainate con grave scorno della civiltà e della democrazia.

Se il buongiorno si vede dal mattino la Commissione non caverà un ragno dal buco o, se lo caverà, non sarà una vedova nera (latrodectus mactans) ma – nella migliore e più rosea delle ipotesi – una tarantola (lycosa tarantula). Mentre la prima è in grado di uccidere con il suo morso (mactare in latino vuol dire uccidere, sacrificare), il morso della seconda è, tutt’al più, doloroso.

Le parti più interessanti delle due audizioni che finora ho avuto il piacere di leggere, a modesto avviso di questo umile e umido blog, non vertono sul concetto di antimafia (più o meno catalogabile come !brevi cenni sull’universo”) ma su tutto quanto ruota intorno ad esso.

Ve ne offro una prova.

Il 1° dicembre è stato audito Salvatore Lupo, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Palermo. Ebbene, l’esimio professore, con i suo esimio collega giurista Giovanni Fiandaca ha scritto il libro “La mafia non ha vinto – Il labirinto della trattativa” (Laterza), forse in risposta al libro di Saverio Lodato “La mafia ha vinto”.

Detto che concordo a pieno con Lodato e zero consenso accordo alla teoria dei due esimi professori, prima di descrivere quanto accaduto il 1° dicembre in Commissione antimafia, è bene premettere quanto dichiarò Fiandaca l’11 febbraio 2014 di fronte alla Commissione parlamentare antimafia. Ad un certo punto il commissario Franco Mirabelli (Pd) chiede: «Qualche settimana fa ho letto un articolo su Il Foglio, professor Fiandaca, in cui si esprimeva una sua opinione interessante sul processo sulla trattativa di Palermo. Credo che, se lei volesse riassumercela in questa sede, essendo questa materia con cui ci siamo misurati, gliene saremmo grati».

Fiandaca che è un giurista e presidente della Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l’elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata, cerca di prendere le distanze: «È tardi e concludere con il tema della trattativa dopo più di due ore di discussione credo prospetti un’impresa non facile da realizzare. Nella domanda si faceva riferimento a un mio saggio che è stato pubblicato per fattori casuali per intero, cosa inconsueta, ne Il Foglio del 1 giugno scorso, peraltro con un titolo che mi ha creato imbarazzo, del quale naturalmente non sono responsabile, ma è responsabile il giornale. Avrei dovuto non condividere la pubblicazione su Il Foglio, però ho pensato poi che fosse meglio così, perché il saggio ha avuto una diffusione che diversamente non avrebbe avuto, perché è stato concepito, come è noto, per una rivista specialistica, e che abbia avuto una diffusione maggiore di quanto non consentisse una sede specialistica dal mio punto di vista è stato positivo (…) sta per uscire a fine febbraio un volumetto della casa editrice Laterza sullo stesso argomento, in cui io ripropongo e approfondisco i punti di vista espressi nel primo saggio. Questo saggio avrà un titolo provocatorio, del quale neanche questa volta sono responsabile: “La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa”».

I due autori si sono «trovati a scrivere due saggi confluiti nello stesso volumetto, perché abbiamo non pochi punti di convergenza nell’adottare una determinata ottica ricostruttiva rispetto a quell’insieme di fatti e di fenomeni, che purtroppo assai impropriamente sono stati ricondotti sotto l’etichetta generica e in fondo fuorviante, ma di facile uso mediatico di “trattativa”».

Fiandaca, infine, di fronte a parecchie domande affermerà che forse la sede migliore per parlare di trattativa tra Stato e mafia non sarebbe un’aula di Giustizia (visto che per lui non si approderà mai a nulla) ma la Commissione parlamentare antimafia (si leggano http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/04/04/il-processo-sulla-trattativa-stato-mafia-per-il-giurista-fiandaca-era-meglio-farlo-in-commissione-antimafia/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/04/03/il-processo-sulla-trattativa-stato-mafia-spiegata-da-emanuele-macaluso-pensieri-parole-opere-e-omissioni/ )

Accontentato. Accade infatti che anche il suo coautore Lupo, il 1° dicembre riprenda il filo interrotto di quel discorso proprio in Commissione antimafia. In questi termini: «È successo anche a me, che pure non faccio politica ma faccio il professore, avendo scritto un libro insieme al collega Fiandaca un po’ critico sul processo della cosiddetta «trattativa» di essere accusato, addirittura da un alto magistrato che vi esercitava l’azione penale, di minacciare la vita dei magistrati con il mio lavoro per aver scritto qualcosa che può essere una sciocchezza, può essere giusta o sbagliata. In breve, la mia conclusione è che l’antimafia nasce con queste caratteristiche in un momento tragico della nostra storia, di fronte a un avversario terribile, ed è una sana reazione di popolo, si sarebbe detto una volta, e comunque della Repubblica italiana. Vi è però un’ostinazione a guardare a un passato ormai remoto, perché sono passati 22 anni dalle stragi, come se nulla di nuovo fosse successo, di cui lo stesso processo sulla trattativa è un’evidente prova, c’è un pezzo di opinione pubblica che è convinto che Napolitano sia coinvolto nelle questioni della trattativa per quanto è evidente che sono successe 15 anni dopo. Esiste quindi anche una specie di appiattimento della nostra prospettiva storica e civile, come se dovessimo guardare sempre indietro e non a tutti i gravi, enormi problemi del presente, che anche nel vostro ruolo vi trovate davanti, e questo elemento della sacralità è una delle ragioni per cui avviene. Spero quindi che impareremo a guardare questa cosa con spirito laico. L’antimafia è un movimento politico-istituzionale, come tale va soggetto alla critica possibile o al sostegno possibile dei cittadini, e ovviamente il futuro del Paese non è basato sull’agitare le bandierine o mettersi la casacca, ma sul fare politica buona, fare business buono e migliorare la qualità democratica e il progresso civile ed economico del nostro Paese».

Accade però anche che il deputato Davide Mattiello (indipendente del Pd) si sia preparato all’eventualità che Lupo ritornasse sulla teoria condivisa con Fiandaca e, dunque, è prontissimo nel leggere rigorosamente il suo appunto (lo afferma lui, non è una mia congettura). «Nel libro, come lei poco fa ha ricordato, c’è un attacco frontale – non direi qualche sciocchezza – all’impostazione accusatoria della Dda di Palermo rispetto al processo-trattativa. Tra gli argomenti che vengono usati per provare l’infondatezza dell’impianto mi sembra che il più sofisticato sia proprio il ricorso all’articolo 54 del codice penale, cioè lo stato di necessità, laddove lo Stato italiano avrebbe cercato l’accordo con cosa nostra per salvare il più alto numero di vite umane nell’unica maniera possibile.   Voglio usare questa occasione istituzionale per dissentire ancora pubblicamente da quanto avete scritto. Dissento perché un altro modo era certamente possibile, e questa convinzione è ancorata nella memoria del lavoro che Paolo Borsellino fece tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992, quando per fermarlo dovettero ucciderlo. Dissento perché la Commissione antimafia presieduta da Luciano Violante nell’aprile del 1993 votava una relazione sui rapporti mafia-politica nella quale prendeva esplicitamente le distanze da qualunque tentazione negoziale. Dissento perché credo che il fatto stesso di aver cercato il contatto con cosa nostra in quel particolare contesto o, per dirla con Riina, “di essersi fatti sotto” o ancora “mi cercarono loro” abbia rafforzato in cosa nostra il convincimento che la strategia stragista pagasse, e quindi abbia motivato anziché disincentivare Riina e i sodali a continuare, mettendo a repentaglio i cittadini italiani e la tenuta delle istituzioni repubblicane, il che mi pare essere il cuore dell’impostazione accusatoria della Dda di Palermo. Per tutto questo le chiedo, avendo finalmente l’occasione di confrontarci in questa sede, cosa pensi di questi argomenti e se sia ancora convinto della fondatezza e dell’opportunità dei medesimi. Grazie».

Evviva Mattiello! Concordo al 101% con lui. Anzi di più ed infatti ciò che penso l’ho scritto in quei due link che vedete sopra.

Ma dopo arriva Giuseppe Lumia (Pd). Eccolo: « L’ultima cosa è la trattativa. Penso sia sbagliato accusarla di aver ceduto al nemico per aver messo in discussione quel processo, però è chiaro che lei può sviluppare meglio un giudizio – non penale ma politico – e un’analisi più critica sui rapporti collusivi e su quella trattativa, su uno Stato che con i suoi rappresentanti si siede, tratta e crea un meccanismo di legittimazione e di effetto verso la violenza e le stragi consumatesi nel 1993, e questa lettura critica vista dal suo punto di vista sarebbe più interessante del giudizio penale, perché altrimenti il giudizio di condanna o assoluzione rischia di essere troppo semplicistico. Un giudizio più critico sul piano storico e della valutazione politica potrebbe aiutarci non a concludere che la trattativa non ci fosse, ma a liberarla del suo sovraccarico penale e recuperarla in un giudizio storico severo e critico, come i fatti ci hanno dimostrato».

E Lupo cosa risponde? Ecco qui: «Sulla trattativa io penso che ci sia stato un modo molto sbagliato di porre la questione da parte dell’opinione pubblica, della stessa magistratura e della stampa. La ricapitolo in poche battute: non è vero che lo Stato fa o non fa, lo Stato non fa niente di tutto questo, casomai è il Governo. Questo per pulizia mentale, perché se cominciamo ad usare le parole in modo che non si capisca, non ci capiremo, e non vorrei che l’effetto fosse questo. Solo le brigate rosse pensavano che lo Stato imperialista delle multinazionali facesse questo e quest’altro, ma, se vogliamo essere più raffinati, il Governo fa. Il Governo ha promosso una trattativa, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ha promosso una trattativa con la mafia, i ministri degli interni e della giustizia hanno promosso una trattativa con la mafia, una trattativa intesa a salvare la mafia, misteriosamente fallita. Esiste una sequenza logica: cose mostruose sarebbero avvenute per salvare la mafia, ma la mafia poi non è stata salvata chissà perché, quindi da questo punto di vista il problema è questo. Funziona questo modello cospirativo, per cui la storia d’Italia sarebbe stata condizionata da quello che è stato trattato in una certa riunione in una masseria in provincia di Enna?».

Claudio Fava (Si-Sel) sbotta – «Mi scusi, professor Lupo, ma non voleva salvare la mafia: voleva salvare se stesso. L’ipotesi è che alcuni abbiano proposto questa trattativa salvare per se stessi» – e Lupo cerca di buttarla sul ridere – «Chi, Mannino?». Fava non ha proprio voglia di ridere e ribatte: «Lasci perdere Mannino: qui stiamo parlando degli interlocutori, che non sono il Governo. Fosse il Governo… ».

Lupo conclude: «L’ipotesi è questa, lo so, ma questa ipotesi non sembra dimostrata, e infine non sono io che tiro fuori l’articolo, lo stato di emergenza, nel mio saggio non c’è scritto, non dico questo. Io dico che due ufficiali dei Carabinieri sono andati a trattare con un capomafia che non era latitante e non hanno commesso alcun reato facendo questo. Hanno instaurato una trattativa, come da un secolo e mezzo tutti i poliziotti instaurano trattative con capomafia per averne scambi di favori, informazioni. Questa intanto non è “la” trattativa, è “una” trattativa o forse una quantità di trattative. Nel corso di queste trattative possono essere stati commessi dei reati, se a questo signore o ai suoi amici sono state promesse cose illecite, oppure no. Può darsi che siano state promesse cose lecite o cose che astutamente il poliziotto si riservava di non mantenere, come in genere fanno i poliziotti. Da questo punto di vista, ben lungi dal dire che la trattativa è un crimine o un reato perché nel codice penale non esiste il reato di trattativa, giusto perché il termine è talmente vago che non può essere definito rilevante penalmente, fermo restando che tutti trattano con tutti normalmente e in particolare i poliziotti con i criminali, con i terroristi e con i mafiosi – perché questo è, così funziona – bisogna vedere se in questa trattativa siano state promesse e soprattutto concesse cose illecite. Ragion per cui il tribunale fa benissimo a inquisire queste persone per vedere, fermo restando che hanno già subìto sette processi uscendone sempre assolti, e fare un processo per l’ottava volta per la stessa cosa – mi dovrebbe confermare chi è di cultura giuridica – per me che vedo Law and Order (serie televisiva statunitense trasmessa anche in Italia, ndr) non si dovrebbe poter fare. Che poi questo complotto sia stato guidato da Scalfaro o da Napolitano non risulta, non è vero allo stato attuale delle prove. Lei riteneva questo libro un frontale attacco la procura, per me non è così: io ho solo ragionato sul modo in cui, sul piano della comunicazione pubblica e della ricostruzione della storia italiana, è stata elaborata una serie di documenti, alcuni giudiziari, altri di giornalisti, di uomini politici e degli stessi magistrati che un giorno fanno gli atti penali e il giorno dopo li volgono in libri, che possibilmente sono intitolati Io so, dove si sostiene che uno può dire le cose anche se non ha prove, non c’è bisogno di avere le prove perché so che è vero, credetemi sulla parola. Sono largamente d’accordo con Fiandaca, non necessariamente in tutto, d’altronde le due parti del libro sono ben distinte con il nome, quindi si potrebbe anche giudicare quello che scrive Salvatore Lupo. C’è una produzione di public history, la storia del nostro Paese come viene ricostruita in questi testi, che non ha niente a che vedere con qualsiasi modo plausibile in cui può essere immaginata la storia italiana, perché segue sempre la categoria del complotto, che distingue la ricostruzione penale dalla ricostruzione storica. Mentre infatti la ricostruzione storica tende a mettere in campo milioni di persone, grandi forze impersonali, la logica giudiziaria, dovendo trovare una responsabilità individuale, segue la logica del complotto, laddove i grandi eventi storici difficilmente seguono la logica del complotto. A me sembra che questo sia uno dei casi, poi quando mi dimostreranno, come finora non è avvenuto, perché i processi paralleli si sono conclusi con l’assoluzione, quali reati nell’ambito di queste trattative siano stati commessi, io che rispetto le sentenze dei tribunali e non pretendo di saper giudicare meglio dei giudici ne prenderò atto».

Conclusione mia (magari mi sbaglio): tutt’al più – mutatis mutandum – quella sulla quale sta buttando la vita, l’anima e il sangue il pool di Palermo (sempre più isolato) non è stata “la” trattativa ma “una” (ennesima) trattativa tra Stato e mafia. Senza alcuna ipotesi di dolo o reato.

Ecco, adesso sono più tranquillo. Una trattativa come tante tra Stato e mafie. Ora si che posso brindare sereno al nuovo anno. Ma in che razza di Paese viviamo!

Buon anno e se non avete nulla da fare domani, guardate anche voi una puntata di Law and order. Magari va bene anche una con Gianni e Pinotto! Almeno lì si ride per non piangere.

r.galullo@ilsole24ore.com

  • bartolo |

    ci sono personaggi dei quali, istituzionalmente, non si può che parlar in un unico senso: bene! due di questi, violante e de gennaro, hanno attraversato tutte le stagioni e sono sempre lì, irremovibilmente e indiscutibilmente integerrimi nella loro integrità morale. eppure; il primo, nell’allora veste di presidente della commissione bicamerale antimafia, rifiutò di ascoltare ciancimino che manifestava con insistenza la volontà di scaricare in quella sede l’enorme sacco di “m***a” accumulata grazie alla lunga carriera politico-mafiosa; mentre il secondo, mai si accorse che tanti suoi colleghi, con i quali lavorava gomito a gomito, ne combinavano (appurate da svariate indagini) di tutti i colori. lupo e fiandaca, faccio i loro i nomi ma ce ne sono a migliaia, fanno bene a difendere, non già lo stato (indifendibile), bensì, gli uomini di stato. i quali, come de gennaro, in quegli anni hanno fatto finta di non accorgersi che un esercito di futuri indagati, grazie alle “indicibili” trattive, diventavano sempre più importanti all’interno delle istituzioni. nel mentre, l’italia sprofondava da stato di diritto, a stato di tortura. tortura, che, continua contro detenuti stipati come bestie in anguste carceri in attesa di processi che durano decenni. e che, per gran parte degli imputati, si concludono con pronunce assolutorie. fanno bene oltre che allo stato, a se stessi; glorificandosi e gratificandosi con la stesura di libri che affermano non già la “verita”, bensì, una parte di essa: trattativa o non trattativa, quella mafia, intesa come organizzazione criminale che stava sovvertendo le istituzioni dello stato, non esiste più. certamente, sperano (e anche noi speriamo) che le parti rimanenti, di verità, non portino ulteriori degenerazioni come quelle pregresse di capi-mafia che, stufi di fare gli infami a favore di uno stato più infame di loro, gli venne in mente di ridurre in cenere ignari quanto onesti servitori che si son posti d’intralcio al mercimonio.

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