Operazione Caronte Dda Catania/1 Sotto la lente gli affari del gruppo Matacena con la famiglia Ercolano

La prima cosa che ha fatto la Procura di Reggio Calabria è stata quella di acquisire gli atti dell’indagine con la quale il 20 novembre la Dda di Catania, con l’operazione Caronte, ha colpito al cuore, ancora una volta, gli interessi dell’associazione mafiosa Santapaola-Ercolano.

Il Ros dei Carabinieri ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 23 indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza e intestazione fittizia di beni. Al centro delle indagini l’infiltrazione di Cosa nostra nei settori dei trasporti marittimi e terrestri, dell’edilizia e della grande distribuzione alimentare. Nel corso delle indagini sequestrati beni aziendali e quote societarie per circa 50 milioni.

Nell’indagine spiccano i rapporti di affari tra presunti prestanome della famiglia Ercolano e una società riconducibile ad Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno alla mafia, latitante a Dubai, ex parlamentare di Forza Italia e ritenuto dai pm calabresi al centro di una rete segreta internazionale. Matacena, è bene chiarire, nell’indagine catanese non è indagato.

FRANCESCO CARUSO INCENSURATO

Molto ruota intorno alla figura di Francesco Caruso, al quale vengono ascritti i reati di partecipazione ad associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni.

E’ un imprenditore incensurato, nato a Catania il 15 dicembre 1971, che opera da anni nel settore dei trasporti e delle assicurazioni, «unitamente a più noti esponenti della famiglia catanese di Cosa nostra – scrive il Gip a pagina 71 –  consentendo stabilmente a quest’ultima di coltivare la finalità di controllo e/o gestione delle attività economiche nel settore di sua pertinenza, di trarre vantaggio direttamente e indirettamente da tali attività ed ottenendo a sua volta vantaggio dalla possibilità di avvalersi della organizzazione mafiosa per implementare i propri affari – pur consegnando la dovuta provvigione alla organizzazione espandendosi in mercati controllati da altre famiglie della medesima consorteria mafiosa Caruso, alla fine del 1990 , si avvicina alla organizzazione attraverso i componenti della famiglia Riela, per poi rendere stabili i propri rapporti con l’organizzazione mafiosa operando costantemente, per oltre quindici anni, anche nell’interesse della medesima, facendosi interprete delle istanze imprenditoriali di essa, acquisendo investimenti e, a sua volta, contribuendo a rimpinguare le casse dell’associazione».

Caruso, nel corso di una conversazione intercettata il 9 settembre 2006 in auto, individua nella necessità di «modificare in bene la sua vita imprenditoriale» e di portare a casa «un pezzo di pane» le ragioni che lo avevano indotto ad “accostarsi” all’ambiente malavitoso nei due anni precedenti.

L’ATTENTATO

Caruso è stato vittima di un attentato il 31 luglio 2006 mentre, a bordo di una moto, percorreva la SS 121 con un altro indagato nell’attuale procedimento. Aver subito un attentato è già di per sé un fatto estremamente significativo perché, in un’altra conversazione intercettata nell’agosto 2006, nel corso della quale parla con la moglie per cercare di capire chi lo abbia colpito, afferma che «i gruppi avversari non sono stati!». Per la Procura di Catania diventa dunque evidente la piena consapevolezza della propria appartenenza a un gruppo criminale, in particolare quello di Santapaola-Ercolano. Proprio in questo dialogo, sottoscrive il Gip nel provvedimento cautelare, si coglie la caratura criminale di Caruso, nonostante la sua incensuratezza, e il suo coinvolgimento per una questione economica che riguarda il 7% di guadagno. Caruso, per la Procura, ha intrattenuto rapporti con numerosi soggetti appartenenti, o comunque gravitanti nella famiglia catanese di Cosa nostra, tra i quali il provvedimento menziona «Vincenzo Ercolano, Vincenzo Aiello, Alfio Aiello, Giuseppe Scuto, Alfio Stiro, Bernardo Cammarata. Michele Guardo, Francesco, Filippo e Rosario  Riela oltre a esponenti della famiglia agrigentina di Cosa nostra».

PER CONTO DI VINCENZO ERCOLANO

Tra le certezze acquisite da investigatori e inquirenti c’è quella secondo la quale Caruso ha agito imprenditorialmente anche nell’interesse di Vincenzo Ercolano. Caruso stesso, il 2 agosto 2006 dichiara di essere legato a lui da buona amicizia e parla di Ercolano come del proprio padrino (“patrozzu“).

Nel novembre 2006 veniva acquisita prova della diretta riconducibilità a Ercolano del Cai service (Consorzio autotrasportatori italiani), un consorzio fondato e gestito di fatto dallo stesso Caruso la cui moglie è stata nominata presidente del Cda.

Ercolano veniva informato delle iniziative imprenditoriali e soprattutto dava disposizioni in ordine alla gestione della impresa, precludendo la possibilità di intrattenere rapporti con taluni o dettando le condizioni per altri.

Le intercettazioni complessivamente dimostrano che sia nella società Servizi Autostrade del Mare s.r.l. che nel Consorzio Autotrasportatori Italiani Service, Vincenzo Ercolano è stato, unitamente ai fratelli Aiello, socio occulto di Caruso.

AMADEUS DI MATACENA

I primi elementi sono stati acquisiti nel 2005 grazie alle intercettazioni eseguite nei confronti di Vincenzo Ercolano nei mesi di giugno e luglio 2005. In quel periodo sono intercorse numerose telefonate tra Vincenzo Ercolano, Francesco Caruso e Giuseppe Scuto, che avevano ad oggetto la trattativa e le attività alacremente svolte per assicurare alla Servizi Autostrade del Mare spa, al primo formalmente riconducibile, il noleggio di tre navi di proprietà della società Amadeus, provenienti dalla flotta di Matacena, da utilizzare per il traghettamento di automezzi pesanti  nella tratta Messina – Reggio Calabria, che provano per la Procura che Caruso ha agito come se fosse socio di Ercolano, concordando puntualmente con quest’ultimo le iniziative e comunque riferendo allo stesso Ercolano gli esiti delle attività compiute.

A pagina 271 si legge che  «è significativo del diretto e concreto interesse nella gestione della società in parola dell’Ercolano, la circostanza che lo stesso venisse coinvolto sistematicamente nelle trattative con gli amministratori della società Amadeus spa e che allo stesso venissero sottoposte in via preventiva le bozze degli atti che Caruso, nella qualità, avrebbe poi discusso con i vertici della predetta società».

A pagina 219 si legge la sintesi di una chiacchierata del 30 giugno 2005 tra Ercolano e Caruso su questioni attinenti la linea di navigazione che gli stessi stavano gestendo in prima persona e degli accordi relativi, presi con altri soggetti (tale Sergio, identificato dalla procura in Sergio Giordano, fino al 10 ottobre 2005 presidente del cda della Amadeus spa), al fine di implementare l’attività.

Il 6 luglio 2005 e cioè il giorno prima della esecuzione della ordinanza restrittiva “Dionisio” e quindi dell’arresto di Vincenzo Ercolano, Caruso informava lo stesso Ercolano del fatto che il «presidente si era dimesso, verosimilmente riferendosi a Sergio Giordano», le cui dimissioni da presidente del cda della Amadeus spa saranno formalizzate il 10 ottobre 2005, ma che comunque questi gli aveva dato delle indicazioni su come muoversi con la società di navigazione al fine di ottenere delle condizioni più vantaggiose. Ercolano, quindi, confermava che la sera precedente aveva già sentito dalla viva voce dell’interessato (Giordano) che l’indomani si sarebbe dimesso e, al termine della conversazione i due concordavano sul fatto che avrebbero dovuto dare ampio risalto pubblicitario alla attività da loro portata avanti.

Il 6 luglio 2005 Caruso faceva presente ad Ercolano alcune difficoltà sorte nell’”affare navi” a causa delle dimissioni del presidente (Sergio Giordano), fatto questo al quale era collegata la bocciatura di Reggio Calabria quale nuovo molo di attracco. I due intercettati, comunque, concordavano le ulteriori attività che avrebbero dovuto svolgere nell’immediato al fine di portare avanti l’affare.

Per ora mi fermo qui ma domani proseguo sullo stesso filone cercando di capire meglio il profilo di Ercolano e la sua “rete” malavitosa, così come descritta dalla Dda di Catania, che si spinge oltre i confini siciliani e abbraccia grandemente la Calabria.

r.galullo@ilsole24ore.com

 

1 – to be continued