Libertà di stampa/ Emergenza democratica dalla Campania alla Sicilia passando per la Calabria – Il caso “Ora” in Commissione antimafia

Cari lettori, sapete quanto, da anni, mi stia a cuore perorare attraverso questo blog il tema della libertà di stampa. Lo sento come un dovere a me stesso e al mio Paese e per questo ne ho pagato e ne pago un prezzo altissimo che, lo dico asetticamente, sta mettendo a dura prova la mia vita privata e la mia fede professionale. La voglia di abbandonare il campo è tanta e forse è umano che sia così.

Sapete anche che, ultimamente, nonostante tutto sto raddoppiando gli sforzi e i contenuti su questo blog. I motivi sono molto semplici: posso gridare al mondo il mio privilegio di non avere padrini e padroni (se non il lettore) e ho il dovere di mettere tutti (a partire dai colleghi) di fronte al fatto che siamo ormai di fronte ad una seria emergenza democratica.

Mai come ora, lo sto scrivendo da tempo, la libertà di stampa è a rischio (rectius: sempre più a rischio) e con essa la democrazia che passa attraverso il diritto del popolo ad essere informato per scegliere e giudicare.

Non bastassero le pressioni e le languide carezze che i poteri (tutti) da decenni esercitano nei confronti dei giornalisti (e alle quali moltissimi di noi hanno ignobilmente ceduto, sradicando il senso di eticità, indipendenza e terzietà che avremmo dovuto incarnare), ultimamente Tribunali e politica si stanno alleando (non so quanto inconsapevolmente) per menare, nel nome del diritto, fendenti mortali alla libertà di stampa.

Non si è ancora spenta l’eco di quanto accaduto a Palermo e Reggio Calabria (che pure ha visto riconosciuti i diritti dei cronisti calpestati, presso un Tribunale del Riesame e in Cassazione) che, nel più assoluto silenzio rotto da pochi (tra i quali Franco Abruzzo, indimenticato presidente dell’Ordine lombardo e l’Ordine calabrese dei giornalisti, che nel passato remoto e prossimo si è purtroppo fatto passare sotto gli occhi informative delle Forze dell’ordine che mettono in dubbio, inaudita altera parte e con collegamenti impossibili e ragionamenti strabilianti, l’indipendenza di alcuni giornalisti) è intervenuta una decisione che rischia, se dovesse prendere piede (come è purtroppo prevedibile intuire per le pratiche bavaglio) scriverebbe la parola fine alla cronaca giudiziaria (quella seria, intendo dire, non quella pilotata dalle veline sulle quali alcuni iscritti all’Albo hanno fatto mirabolanti carriere unitamente a coloro i quali quelle veline hanno passato).

L’ASSE SALERNO-CATANZARO

Il 24 aprile – traggo pedissequamente da un’agenzia di stampa – otto giornalisti sono stati condannati, senza essere stati mai sentiti da un magistrato, per avere pubblicato notizie rilevate da un’ordinanza del gip di Salerno già notificata agli indagati e ai loro difensori e già impugnata dinanzi al Tribunale dei Riesame.

Incredibile ma vero! Gli indagati ne erano al corrente, idem i legali ma non se ne poteva scrivere. Con questo metro, migliaia di articoli scritti nel passato da genie di cronisti giudiziari nel nostro Paese non sarebbero mai stati pubblicati e provate a immaginare con quale irreversibile danno per la crescita democratica e la coscienza civile!!!

I giornalisti condannati con un procedimento “speciale”, senza udienza preliminare né dibattimento, quindi consumato senza ascoltare le loro ragioni (semplicemente fondate sull’articolo 21 della Costituzione!) sono i direttori responsabili del Quotidiano della Calabria e della Gazzetta del Sud, Emanuele Giacoia e Alessandro Notarstefano; il direttore responsabile pro tempore di Calabria Ora, Piero Sansonetti; i giornalisti del Quotidiano della Calabria Pietro Comito, Stefania Papaleo e Gianluca Prestia e i giornalisti della Gazzetta del Sud Nicola Lopreiato e Marialucia Conistabile.

A renderlo noto è stato l’Ordine dei giornalisti della Calabria. «Sulla testa degli otto giornalisti – si legge nella nota – è piombato un decreto penale di condanna con conversione della pena detentiva in una pena pecuniaria compresa tra i 1.500 e i 3.000 euro ciascuno. Il decreto penale è stato emesso dal gip di Salerno Maria Zambrano. Gli otto giornalisti sono accusati di aver pubblicato atti e documenti, così si legge nelle imputazioni formulate dal pm di Salerno Rocco Alfano, per i quali, al momento della loro pubblicazione, anche se non più coperti da segreto istruttorio, vigeva ancora il divieto di pubblicazione. I giornalisti avevano pubblicato, a partire dal mese di gennaio del 2013, notizie attinte da un'ordinanza dell'ufficio gip del Tribunale di Salerno attraverso la quale veniva rigettata la richiesta di misura cautelare interdittiva richiesta dall'ufficio di Procura, allora guidato dall'attuale procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, affiancato in quell'indagine dallo stesso pm Alfano, a carico di tre magistrati del distretto giudiziario di Catanzaro finiti in un'indagine del Ros la cui posizione, per presunti reati aggravati dalle finalità mafiosa, sarebbe stata poi archiviata per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza».

 

L’INNESCO

Davvero incredibile (anche se, per carità di Dio, ritenuto legittimo pure da un Tribunale) l’innesco di questo procedimento. La richiesta di emissione del decreto penale di condanna, depositata dal pm Alfano il 16 settembre 2013, trae infatti origine da una comunicazione di notizia di reato formulata dal Ros di Catanzaro il 7 gennaio 2013.

Ora mi domando: ma il reparto speciale dei Carabinieri – e si badi bene che la mia domanda è intimamente rispettosa di un’Istituzione che reputo sacra – in questo Paese in cui i sistemi criminali stanno divorando ciò che rimane, non ha in Italia compiti vitali da adempiere, piuttosto che segnalare gli articoli pubblicati dai giornalisti che fanno semplicemente il proprio mestiere sotto l’ala protettrice della Costituzione? Si farà anche peccato, ma a ciò si accompagna il dubbio che alcuni articoli "debbano" essere segnalati.

Secondo il Ros e la Procura (che condussero l’inchiesta poi naufragata sulle toghe di Catanzaro oggetto degli articoli), prima e il gip di Salerno, poi, le notizie non potevano essere pubblicate perché non si erano ancora concluse le indagini preliminari di quel procedimento con eventuale deposito di avviso di conclusione delle indagini o di richiesta di rinvio a giudizio.

SE COSI’ FOSSE…

Badate bene cari amici lettori, se il principio seguito dai magistrati di Salerno contro gli otto giornalisti fosse corretto – seguite con molta attenzione – non si potrebbero pubblicare sugli organi di stampa notizie su inchieste giudiziarie o operazioni di polizia giudiziaria, relative ad avvisi di garanzia, ordinanze cautelari personali o reali, pronunciamenti del Tribunale del Riesame o della Suprema Corte nella fase cautelare, fino alla conclusione delle indagini preliminari.

In pratica non si potrebbe più fare – è inutile girarci intorno – cronaca giudiziaria ma solo riassunti alla fine delle
indagini preliminari (se non sbaglio, ma posso sbagliare, nel recente passato c’era una corrente di pensiero politico trasversale tra tutti gli schieramenti che voleva tradurre questo principio in legge).

«Il consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Calabria – conclude la nota – sottolinea come, se questo principio dovesse fare giurisprudenza, i giornalisti italiani sarebbero esposti a un'ondata di decreti penali di condanna, con pedisseque sanzioni detentive e pecuniarie, con un’evidente limitazione della libertà di stampa e del diritto dei cittadini ad essere informati».

«Sono state ignorate sia la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo sia la giurisprudenza sul punto della Corte di Strasburgo, vincolante per i giudici dei Paesi Ue» ha chiosato Franco Abruzzo.

 

CARA ONOREVOLE NESCI

Ora, mi domando, c’è da meravigliarsi se, ad esempio, in Calabria sta accadendo quel che sta accadendo intorno alla chiusura dell’Ora della Calabria? Bene ha fatto l’onorevole calabrese del Movimento 5 Stelle Dalila Nesci, che il 23 aprile è intervenuta nell’aula della Camera sul drammatico caso del quotidiano, affermando che «in Calabria si sta consumando una violenza inconcepibile in democrazia» e facendo proprie le parole del direttore Luciano Regolo, che recentemente ha scritto un editoriale sugli «accorduni», cioè la pratica – tutta made in Calabria – di intese politiche nascoste e trasversali per ampliare il potere e gli affari personali dei vari poteri forti calabresi.

Bene ha fatto, scrivevo, l’onorevole Nesci (e me ne compiaccio ringraziandola personalmente) ma vorrei che la stessa onorevole riflettesse su due ordini generali di motivi.

Il primo è che il Movimento al quale Ella appartiene ha contribuito in maniera devastante alla criminalizzazione del giornalismo (bandendo perfino sul blog di Beppe Grillo un premio al pubblico ludibrio, “Il giornalista del giorno”, che, tra l’altro, mi è stato “assegnato” alcune settimane fa) e dunque suona un po’ da perenne campagna elettorale (mi perdoni, onorevole cittadina, se pecco in questa suggestione) la pur sacra difesa del quotidiano chiuso con motivazioni sulle quali, fortunatamente, la magistratura vuol fare chiarezza. Non solo la magistratura: è notizia di ieri che la Commissione parlamentare antimafia (che ieri alle 20.15 ha già incontrato il direttore Regolo) vuole approfondire il caso.

Sono pronto a chiederLe scusa per la suggestione e ricredermi se La vedessi costantemente impegnata, onorevole Nesci, ad ampliare il confine del suo accorato appello, fino a comprendere non solo il caso sull’asse Salerno-Catanzaro che lo ha rappresentato in questo servizio, ma anche il caso dei colleghi Riccardo Lo Verso e Consolato Minniti (http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/04/libert%C3%A0-di-stampa-sequestri-e-dissequestri-da-palermo-a-reggio-calabria-passando-da-tribunali-del-riesame-e-cassazione.html) e le decine e decine di altri casi che in questo momento vedono tanti colleghi (silenziosamente e amaramente) involontari protagonisti di contenziosi giudiziari o indagini fuori dai confini della Costituzione e dei principi europei sui diritti dell'Uomo che, per il bene supremo della libertà di stampa e di informazione, stanno sacrificando vita e affetti.

Che il drammatico, inquietante, intollerabile, mortale caso dell’Ora della Calabria sia dunque, onorevole Nesci, per Lei e per il Parlamento lo spunto vitale per intervenire con risolutezza per garantire un bene superiore, quello della libertà di stampa senza il quale, anche al lordo della vostra furia anticasta e al lordo dei bla-bla-bla della politica (tutta), non ci sarà alcun futuro democratico per questo Paese.

r.galullo@ilsole24ore.com