Come scrivevo nel mio articolo di ieri (al quale rimando) c’è una parte del secondo memoriale di Nino Lo Giudice, il pentito calabrese pentitosi di essersi pentito, che mi convince.
E’ la parte in cui sbatte sul tavolo dell’opinione pubblica la burla del pentimento. Non il suo ma proprio lo strumento della collaborazione con la Giustizia.
Ieri ho argomentato la scarsa e quasi nulla credibilità che, a mio sindacabile giudizio, il nano ha e ha sempre avuto.
Oggi, invece, vorrei concentrarmi con voi su un aspetto drammatico della collaborazione con la Giustizia che anche Lo Giudice mette a nudo: la facilità con la quale è possibile concordare versioni tra pentiti nelle carceri italiane, vero e proprio anello debole (come se ce ne fosse bisogno) dell’amministrazione.
Non mi interessa (anche perché non sta a me giudicarlo) se il contenuto dei racconti che Lo Giudice fa dei suoi incontri con altri pentiti sia vero, verosimile o fasullo, anche se ho molti dubbi sull’attendibilità. Quel che conta è il dato oggettivo: l’incrocio tra anime in pena che nelle carceri si incrociano magicamente e parlano, parlano, parlano e concordano, concordano, concordano…
Pico il nano da pagina 6 del memoriale, rivolgendosi furbescamente agli avvocati (altra categoria, in generale, che negli anni si è dimostrata, grazie a varie indagini che lo hanno dimostrato, un anello non scevro da condizionamenti e connivenze) racconta come nel carcere romano di Rebibbia abbia più di una volta incontrato il suo sodale Consolato Villani. Dopo di che scrive: controllate i verbali e guardate quante anomalie ci sono.
Ora, riscontrare le anomalie è un’impresa titanica se fatta da zero. Non posso infatti pensare che in questi anni la Procura di Reggio Calabria non abbia messo a confronto ogni virgola delle dichiarazioni dell’uno e dell’altro e cercato conferme alla veridicità dell’uno o dell’altro o alla convergenza delle affermazione tra i due.
Rivolgendosi, ancora una volta al pg Salvatore Di Landro e non – come sarebbe ovvio – al capo della Procura Federico Cafiero De Raho, Lo Giudice prosegue dicendo che dopo i 180 giorni classici di isolamento (del quale lui si è bellamente importato zero cominciando a sparare a palle incatenate soprattutto dopo), lui come altri pentiti è stato trasferito in sezione.
E cosa faceva in sezione? Come Nanni Moretti in Ecce Bombo (1978), girava, vedeva gente, si muoveva, conosceva, faceva delle cose.
In questi luoghi da riformare (parlo delle carceri italiane) lui si confrontava con gli altri, gli altri si confrontavano con lui e le tragedie prendevano forma in modo tale da non essere attaccate da nessuno.
Un classico. Una storia vista tante volte. Purtroppo.
Lo Giudice racconta che con il pentito della Piana di Gioia Tauro Cosimo Virgiglio si sono messi d’accordo nella primavera 2011 per distruggere definitivamente il capitano Saverio Spadaro Tracuzzi. Vero, falso? Lo voleva la “squadra antimafia”, scrive, così come scrive che quegli elementi concordati sarebbero tornati utili tanto a lui quanto al suo compagno di sezione.
Nello stesso carcere il nostro eroe indefesso incontra anche un altro pentito, il boss lucano Antonio Cossidente, uno con una «favella che non faceva una piega, un fiume in piena».
Uno che – sempre secondo il racconto di Pico il nano – comincia a sparare a destra e manca a partire dai pm della Dna e della Dda potentina. E chi insegna a Lo Giudice – che tra le cosche, come del resto buona parte della sua famiglia, ha direttamente o indirettamente avuto a che fare - le formule, i riti e le regole di ‘ndrangheta? Mica un parente o un vicino di casa! Nossignori! Un pentito lucano, che diamine! Che tutto quello che sa – a sua volta – lo sa dalla lettura dei libri del pm Nicola Gratteri! Ora ho capito perché la pubblicità dice: «Cosa vuoi di più dalla vita?…Un lucano!».
E lo stesso pentito lucano – che sia vero o meno non sta a me appurarlo ma è indicativo di come gira il fumo nelle carceri – voleva entrare nei processi reggini per testimoniare, immagino già con quale credibilità agli occhi della Procura reggina e del pm Giuseppe Lombardo, nientepopdimenoche contro i De Stefano. Il che tradotto in soldoni avrebbe significato che aveva più possibilità un cammello di passare attraverso la cruna di un ago che Cossidente di rimanere in vita. Ma ovviamente – su questo, guarda tu le coincidenze – Pico il nano prima si negò strenuamente a Cossidente e poi, attraverso il Vangelo laico, parte seconda, rassicura il mondo che deve intendere: “muto come un pesce fui! Io dei De Stefano non so nulla”. I Condello erano già stati rassicurati anche nel memoriale precedente.
Eccola qui la credibilità di Lo Giudice!
5 – to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 26, 27, 28 e 29 agosto)
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