La Giustizia ai tempi di Cafiero De Raho: perché Reggio Calabria non è Palermo né Napoli e neanche Messina – Ultima chiamata per la città

Oggi a Reggio Calabria, dopo oltre un anno di colpevole, studiato e dunque scientifico ritardo dello Stato, Federico Cafiero De Raho, uno dei migliori magistrati italiani, impegnato da decenni a mordere le calcagna al sistema criminale campano (non solo camorra, dunque ma intreccio perverso con la politica, in minima parte servizi deviati e i professionisti) si insedierà al Palazzo di Giustizia. Sarà il nuovo capo della Procura. Due giorni fa – da Napoli a Caserta – i Carabinieri e le Forze dell’Ordine l’hanno voluto salutare con un’ultima operazione (Titano) che la dice lunga sull’affetto e l’affiatamento che si è instaurato in quei territori nel nome della Giustizia.

Lo stile dell’Uomo è quanto di più lontano si possa immaginare dagli standard reggini fatti anche di passerelle pubbliche a braccetto degli indagati o sotto il palco degli indagati: schivo, riservato, parla solo quando serve e sempre in maniera misurata.

Lo stile del Magistrato è quanto di più lontano si possa immaginare dagli standard reggini: per lui la Giustizia è uguale per tutti.

Quanto e cosa abbia da fare in quella città e in quella provincia è noto a molti, anche se non a tutti. Dopo anni e anni passati a Reggio e provincia dai suoi predecessori a dare la caccia alla ‘ndrangheta, toccherà a lui – volente – dare la caccia al sistema criminale calabrese, fatto – anche – di ‘ndrangheta ma soprattutto di politica marcia, servizi sporchi, Stato corrotto, massoneria deviata e professionisti laureati all’ombra delle famiglie mafiose. Una cupola che galleggia allegramente sopra la ‘ndrangheta e che di essa si nutre e al tempo stesso alimenta. Nulla di nuovo: mutatis mutandis la stessa cupola con la quale ha a che fare il pm Nino Di Matteo a Palermo (si veda da ultimo il mio post del 9 aprile).

L’impresa che lo attende è epocale: come nella Settimana Enigmistica toccherà a lui unire i puntini per avere i contorni di quel disegno criminale che ammorba la città, la provincia e sempre più l’Italia tutta.

Ce la farà? Sull’Uomo dubbio alcuno. Sul Magistrato dubbio alcuno. Allora?

Allora la differenza sul piatto della bilancia sta – semplicemente e lo dico cercando di trattenere un sorriso amarissimo – tutta all’interno e all’esterno del Cedir.

DENTRO IL PALAZZO

A Napoli (e l’ho visto con i miei occhi in diverse occasioni e dunque dubbio alcuno su quanto scrivo), la sua forza, la sua straordinaria capacità, è stata quella di aver riprodotto – forse per congiunzioni astrali favorevoli forse per la calata dello Spirito Santo, molto più verosimilmente per spirito di sacrificio malpagato e alto senso dello Stato – quel pool inquirente delle meraviglie a cui aveva dato vita a Palermo Antonino Caponnetto.

Con i miei occhi ho visto convocare da Cafiero de Raho riunioni al termine di infinite giornate di lavoro, nel corso delle quali fare il punto sulle indagini e riversare le conoscenze e le informazioni dei singoli sostituti procuratori. Una “condivisione” del lavoro fatta di fiducia reciproca, senso di responsabilità, profonda conoscenza del territorio, incorruttibilità, dignità, senso di appartenenza, senso dello Stato, voglia di arrivare a colpire il sistema criminale.

I risultati del pool – sul quale oggi possono testimoniare a Reggio due magistrati che hanno condiviso e beneficiato di quel metodo come Paolo Sirleo e Francesco Curcio e un questore, Guido Longo – li conosce l’Italia che non si piega all’informazione pecoreccia fatta di culi e tette. Miliardi – dico: miliardi – di beni mobili e immobili sottratti ai clan, il clan dei Casalesi lentamente, incessantemente svuotato al suo interno e centinaia di indagati, moltissimi dei quali condannati. Soprattutto una Giustizia amministrata senza guardare a tessere e colori, con decine di “personalità” politiche, “mammasantissima” inviolabili solo sulla carta, chiamate – come gli altri – a rispondere dentro e fuori dei confini regionali campani. Semplicemente chiamate rispondere del proprio agire. Che sia criminale o meno spetterà a un giudice deciderlo.

Unire i puntini del disegno criminale napoletano è stato complesso, difficile, sfiancante, pericolosissimo (Cafiero De Raho vive blindato e da Casal di Principe i progetti per pianificarne la morte non sono mai cessati e non cesseranno neppure ora). Un pool intero – costruito negli anni – ha unito i puntini e – come mi disse Cafiero de Raho poche settimane fa – il disegno non è stato affatto completato e molta, moltissima strada resta ancora da fare. Ma di allievi ne ha lasciati e la Dda è nelle buone mani di magistrati preparatissimi.

Ma a Reggio? Mah!

La Giustizia a Reggio – dalla notte dell’attentato tra il 2 e il 3 gennaio 2010 – ha vissuto come in una lavatrice. Una centrifuga fatta di pentimenti, attentati veri o presunti, agguati, tradimenti, dossier, contro dossier, carriere costruite parallelamente sull’abbrivio dell’appartenenza massonica (solo incidentalmente vietata per gli uomini dello Stato ma questo è un dettaglio di cui non fotte nulla a nessuno visto che le logge governano il Paese), trappole, personaggi scomodi allontanati o massacrati, politici di peso intoccabili, mezze cartucce di mezzo peso, professionisti inavvicinabili, sbranatori (e non servitori) dello Stato liberi di agire, ‘ndranghetisti di seconda o terza fila pronti a ravanare nell’ombra. Una lavatrice – si badi non bene ma benissimo – nella quale il gotha destefaniano, condelliano e teganiano è entrato grazie alle indagini del solo pm Giuseppe Lombardo i cui esiti – per la gran parte – attendono ancora di vedere la luce. O meglio: di vedere un “visto, si proceda”.

E che si sappia – che tutti sappiano – che ancora oggi, nel momento in cui scrivo, in ambienti romani, in quei palazzi in cui si dettano e subiscono leggi extra ordinem, ci sono persone che delegittimano quotidianamente il lavoro di Lombardo, il “ragazzo bravo sì, ma che si spinge oltre con la fantasia”. Già, è fantasia ritenere che la miscela esplosiva che governa la Calabria e il Paese non sia fatta solo di mafia ed è proprio quella miscela che va disinnescata per dare un futuro di legalità all’Italia. E’ fantasia, come lo era quella di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o – per rimanere drammaticamente ancorati alla cronaca – quella di Nino Di Matteo a Palermo (si veda il mio articolo in archivio di giovedì 4 aprile e si legga anche quanto scritto ieri, 9 aprile.)

La Procura di Reggio – è un segreto di Pulcinella – è stata (è?) per lungo tempo non tanto spaccata, divisa sulle strategie giudiziarie, quanto “congelata”, “appesa”. Non ho tempo ma soprattutto voglia di dilungarmi su questo discorso perché l’ho affrontato per anni su queste umili e umide pagine pagando (lo ripeto all’infinito) prezzi personali elevatissimi che supero grazie ad un Gruppo editoriale che non si è mai fatto intimidire dalle pressioni dei potenti e che supero grazie al riscontro dei lettori che a migliaia, quotidianamente, leggono e appr
ezzano quanto scrivo.

Vorrei sintetizzare, dunque, quanto più possibile. Almeno, ci provo. Nella Procura di Reggio (ma anche in quella di Milano, il che non appaia secondario) il solco – rispettabilissimo – è stato segnato dall’indagine Il Crimine/Infinito, che ha dato una sferzata importante alla lotta alla ‘ndrangheta. Tutto quanto è rimasto in quel perimetro è stato cavalcato. Tutto quanto ne è rimasto fuori è stato isolato. Peccato che a cavalcare nelle praterie sconfinate fuori dal perimetro, in questi anni sia stato quasi solo Lombardo. Non perché mancassero altre persone validissime in quegli uffici pronti a seguirlo, ma forse, chissà, le congiunzioni astrali hanno congiurato maledettamente contro. E hanno (solo per il momento?) vinto. Peccato. Tempo perso ed enorme vantaggio accumulato dalla triade che governa Reggio all’ombra delle logge deviate: De Stefano-Condello-Tegano.

Il primo punto – dunque – sarà costruire. Neppure ricostruire ma proprio costruire un pool che remi – tutto – nella stessa direzione. Quella già solcata con rara maestria da un’archistar di bravura giudiziaria come Pignatone Giuseppe (supportata dal suo fido Prestipino Giarritta Michele e a loro va il mio personalissimo grazie per quanto hanno fatto e faranno o stanno facendo in altre postazioni come quella romana) ma che deve ora navigare oltre. Oltre quel bosco e sottobosco di ‘ndrangheta, noto e conosciuto almeno da 50 anni, e che provi a colpire in alto. Molto più in alto. Un tiro alla “volta deviata” dove sfrecciano i protagonisti marci del sistema criminale.

Solo così facendo – costruendo un pool supportato da una polizia giudiziaria scatenata nella stessa direzione – sarà possibile unire quei puntini del disegno criminale, sulla falsariga di quanto Cafiero De Raho ha già fatto a Napoli. Non sarà facile. Sarà un’impresa quasi impossibile perché Reggio – a differenza di Napoli – non è solo esposta alle correnti dello Stretto ma soprattutto ai venti dei sistemi marci. La massoneria deviata – ad esempio e insisto sul punto perché è un elemento fondamentale, mortale – a Napoli e Caserta è fuori dagli schemi di governo. A Reggio no. E la politica? Mi vien da ridere: se a Napoli sono maestri nell’arte di costruire carriere all’ombra della camorra, a Reggio sono Magnifici Rettori. A Reggio – 20 anni fa – i De Stefano hanno pianificato alla luce del sole ascese e discese ardite con una popolazione plaudente e osannante. Per gli zebedei i De Stefano tengono decine di politici, amministratori, funzionari, professionisti, dirigenti pronti – sia chiaro – a mollarli al momento giusto, sacrificandoli sull’altare degli affari. E questo, soprattutto i politici studiati a tavolino e lanciati nell’empireo lo sanno. E ora tremano per paura di un “visto, si proceda” che in alcuni casi attende da anni.

E i servizi deviati? A Napoli si sono affacciati, certo che si. Come ad esempio nel caso della gestione del ciclo dei rifiuti, business miliardario dei Casalesi. Ma entro quei confini (soprattutto regionali) sono rimasti. A Reggio no. A Reggio – dagli anni Novanta in poi sulla scia di un solco già tracciato ai tempi dei moti – sono di casa. Hanno messo su famiglia. Una famiglia allargata che campa e fa campare e che ha occhi e orecchie dappertutto, ben fuori dalle anguste sponde reggine. Quello che – personalmente – mi fa schifo come cittadino è che ci sono pezzi di classe dirigente che – al tempo stesso – sono parte del sistema ‘ndranghetista e parte del sistema dei servizi deviati. Sono la sintesi perfetta del “sistema criminale”. A Reggio e solo a Reggio può capitare sistematicamente (e non sporadicamente) una cosa del genere.

FUORI DAL PALAZZO

Se dentro il Cedir tira un’aria difficile da addomesticare, figuriamoci fuori, nella cosiddetta società civile.

Reggio – sissignori – non è Palermo. E neppure Napoli. Manco Messina, figuriamoci.

A Palermo e in Sicilia la stagione dei lenzuoli bianchi – per quanto sfigurati dallo Stato marcio – non è finita e scendono accanto a Uomini e Servitori dello Stato come Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Sergio Lari, Domenico Gozzo, Antonio Ingroia, Gaetano Paci, Paolo Guido e tanti, tanti altri. Ecco un'altra differenza: a Palermo, in tutta la Sicilia ci sono squadre di magistrati e giudici che non hanno mai abbandonato le lezioni morali prima ancor che giudiziarie di totem inarrivabili come Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici, Costa e Dio solo sa quanti altri per restare solo nelle schiere della Giustizia. La popolazione supporta i pm con un movimento di base che è sfibrato dalle sconfitte ma che crede ancora nelle vittorie. A Palermo, in Sicilia la società c’è e seppur logorata, combatte ad armi impari.

A Reggio? A Reggio lascio a voi giudicare. Quattro gatti che si riuniscono al bar e che – nonostante gli straordinari, meravigliosi sforzi – non riescono a smuovere la filosofia del “a chi n’appartini”. A chi appartieni?

Anche a Napoli è tutta un’altra musica. Senza esprimere giudizi politici su Giggino ‘o sciantoso al timone della città, ve lo immaginereste voi un movimento arancione a Reggio? Ve la immaginereste voi una ventata di ribellione come quella che ha portato ambientalisti, associazioni antimafia, movimenti studenteschi, profili culturali e chi più ne ha più ne metta a tentare (ed è già un miracolo il mero tentativo) di ribaltare la città come un pedalino? Magari tra qualche anno racconteremo un fallimento (in parte già c’è, come vaticina Roberto Saviano e come sembrano dimostrare le manifestazioni di piazza di ieri, forse infiltrate dalla camorra come denuncia il sindaco) ma almeno ci hanno provato e – statene certi – chi semina prima o poi raccoglie.

Ma Messina, siori e siore…Persino Messina – l’altra faccia della ‘ndrangheta che si affaccia sullo Stretto – è più avanti nella esposizione visibile e concreta contro i sistemi criminali. Sicuramente anche a Reggio Calabria (figuriamoci nel resto d’Italia) sarà sfuggita la dura battaglia (anche giornalistica) combattuta a Messina contro alcune figure di magistrati & affini che hanno dominato per lungo tempo la città. E badate che se a Reggio la massoneria deviata detta legge, a Messina si respira!

LA SPERANZA (NON) MUORE

Concludo dando spazio ad un lettore. E di questo sono felice.

Venerdì 5 aprile alle 16.53 sulla mia mail (r.galullo@ilsole24ore.com) ho ricevuto una meravigliosa lettera (tra le tante che ricevo) da parte di un lettore/ascoltatore calabrese che si è si firmato ma che vuole restare maledettamente anonimo. Peccato perché la sua lettera è un capolavoro di intelligenza. Eccola, ve la ripropongo “L'idea che ci si fa lei è quella di persona perbene.

Il che, in questo periodo colmo di persone "perbene", non è affatto una garanzia di onestà.

Il punto, per fortuna, è col suo modo di fare, di parlare e di portare avanti battaglie (anche molto rischiose…)
lei non solo dà l'idea di essere perbene…ma riesce anche a convincere chi la ascolta. Ecco…viene voglia di essere più onesti dopo averla ascoltata.

Sono contento di potermi sintonizzare su Radio24 ed ascoltare le sue trasmissioni; e lo sono ancora di più quando, saltuariamente, qualche episodio di basso senso civico (o elevato grado mafioso) mi fanno venire voglia di andarmene dalla terra in cui sono nato e risiedo. Qui il problema non è la mancanza di ribellione della società civile. Il problema è la società civile. Coinvolta per il 100% della popolazione residente (io non me ne tiro fuori) in episodi di illegalità diffusa, scarso senso dello Stato, inesistente senso della legge, tentativi di truffe a tutti i livelli del vivere quotidiano.

Continui ad indagare e scrivere. La battaglia per la legalità è persa; ma è bello leggere i suoi articoli e avere l'impressione che non sia così.

E glielo dico da buon calabrese compagnone e diffidente”.

Questa lettera dice tutto. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Peccato che non posso proporvi la firma (chissà, magari chi l’ha mandata ci ripensa e mi autorizza).

Questa lettera è l’eredità con la quale avrà a che fare Federico Cafiero De Raho, l’ultima chiamata per Reggio e per la Calabria per voltare pagina e guidare anche nel resto d’Italia un cambiamento che la sua storia e le sue tradizioni meritano.

r.galullo@ilsole24ore.com

 

 

  • Andrea |

    Mafie logge sette a busto garolfo servizi deviati e deviati in ffoo

  • Adriano |

    concordo con bartolo e spero che Cafiero dia un stop a tutti questi troppi carcerati preventivi ingiusti che poi vengono assolti e vengono derubati di anni di liberta, e che davvero finalmente la giustizia sia per tutti uguale.
    un saluto Adriano Melina

  • bartolo |

    beh, quando il senso comune dilaga ovunque occupando persino gli spazi destinati a quello buono, succede anche questo: il barbaro assassinio di una donna indifesa (ad opera di chi – mafioso o meno sarà la magistratura a stabilirlo – l’ha considerata oggetto di proprietà accanendosi con ferocia inaudita contro il suo corpo e la sua vita, sopprimendola) è assassinio di ndrangheta! quindi, giustamente, di conseguenza: morte alla ndrangheta, che, occorre estenderla, la morte, anche ai sospetti mafiosi; e, poi ancora, ai parenti, agli amici, ai conoscenti e, in fine, a tutti i calabresi. l’anonimo elogiato da galullo, sarà d’accordo, considerato che ha stabilito che è il cento per cento di questa popolazione ad essere colpevole per cotanta barbarie. dovessero, il resto degli italiani, pensarla come la pensiamo noi calabresi non ci rimarrebbe altro che un futuro, brevemente interrotto, nelle camere a gas

  • bartolo |

    caro galullo, l’altro ieri la corte di appello di reggio calabria su rinvio della corte di cassazione che aveva annullato le precedenti condanne, ha assolto per non aver commesso il fatto ben tredici imputati che avevano già scontato anni e anni di carcerazione preventiva. spero che il nuovo procuratore cominci proprio dall’interno del tribunale la sua azione giudiziaria contro l’ingiustizia alla base del malaffare dilagante a reggio calabria e provincia. saluti bartolo iamonte

  • pasquale montilla |

    Hanno provato a farla sparire strangolandola,deformandogli il viso,bruciandola lasciando un mezzo busto fatto a poltiglia ma non sono riusciti a farla sparire definitivamente.Una ragazza che ha deciso di ribellarsi alla peggiore criminalita’mafiosa oggi ha piegato in un tribunale calabrese il suo carnefice.Non bisogna mai arretrare alle mafie.Lea Garofalo insegna.

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