Sistema criminale in Calabria /5 Fari del pm Lombardo sulla massoneria deviata – A sorpresa torna l’omicidio Scopelliti nelle parole del pentito Fiume

Cari lettori da cinque giorni sto analizzando la “folle” e “visionaria” ipotesi investigativa del pm della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che si è messo in testa di scoperchiare quel “sistema criminale”, fatto “anche” di ‘ndrangheta, che governa la Calabria. Lombardo che – per inciso – alcuni giorni fa ha ricevuto l’ennesima minaccia grave di morte (ormai è abituato).

Lombardo vuole proseguire l’opera – interrotta nel 2001, processualmente non provata ma quanto mai vera, viva e vegeta – di Roberto Scarpinato (si veda il mio articolo di cinque giorni fa in archivio).

Le principali pedine sullo scacchiere di Lombardo sono i processi Meta e Agathos, oltre a quelli svolti o in corso come Bellu lavuru e Piccolo carro, l’indagine sulla Lega Nord e su Francesco Belsito e la riapertura, inutilmente negata, dell’omicidio del giudice Nino Scopelliti.

Ciascuno di questi “pezzi” sta arricchendo la trama criminale. Alcune mosse sono state già vincenti. Altre attendono la contromossa. Altre saranno inattese.

Tra le tessere del sistema criminale un peso enorme lo ha la massoneria deviata.

E qui – prima di addentrarmi solo in alcune e recenti accadimenti passati inosservati fuori dalla Calabria, perché se si dovesse scrivere dei rapporti tra cosche, massoneria deviata e politica marcia in quella regione non basterebbe un’enciclopedia – vorrei portare due testimonianze sul peso della massoneria deviata in Calabria e in questo Paese, che sono quanto di più lontano una dall’altra si possa immaginare.

L’una è del pentito Antonino Belnome (per la cui completa lettura rimando al post in archivio del12 aprile 2012), l’altra è del procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, Prestipino Giarritta Michele (per la cui completa lettura rimando al post in archivio dell’11 gennaio 2013).

BELNOME

E’ il 3 dicembre 2010 e sono passate le 14.40 quando il collaboratore di giustizia Antonino Belnome parla davanti ai pm Alessandra Dolci e Boccassini Ilda.

Lui – Belnome – è un padrino di ‘ndrangheta. “E dopo il padrino… Ecco, dal padrino in poi – spiega Belnome ai pm che glielo chiedono – siete boss, cioè quando voi già avete una dote di padrino già siete boss, da lì in poi siete boss. Dopo il padrino c'è la crociata e il segno è questo. Dopo c’è la crociata”.

Queste sono le doti massime, spiega e dopo si va oltre…

Oltre come? “Poi si va in altri discorsi, di massonerie. Avevano messo altre doti che poi… il medaglione, queste cose qua – va giù tutto d’un fiato Belnome senza che nessuno gli abbia chiesto nulla – ma sono state poi… cioè insomma sono queste adesso, le attuali sono queste, altre doti poi si va in altri discorsi. Per quanto riguarda la 'ndrangheta è questo. Certo, per ottenere queste doti siete all'apice, siete … doti di spicco. Per quanto riguarda le copiate della Calabria. Ecco, questo ...”

A questo punto il pm Boccassini lo ferma e gli intima: “Scusi, prima di iniziare il discorso delle copiate, che significa "poi si va nella massoneria"? Lo spieghi”.

E Belnome, con non poche difficoltà e ritrosie, entra nel discorso: “Eh, si va in un altro tipo di struttura, massonica, di cui io non voglio entrare in merito a questo perché ne so marginalmente, il mio avvento a questo doveva succedere non lontanamente però ancora mi mancava un passaggio. Io avevo la dote di padrino, quindi non posso spiegarvi nel dettaglio; so di questa struttura che ci sono personaggi eccelsi anche a livello… parliamo a livello di medici di un certo livello, possono esserci a livello di cose anche di colonnelli, di questa funzione qua, cioè stiamo andando in cose massoniche perché a certi livelli si può … ah, ecco una cosa che … a certi livelli si può collaborare con lo Stato. Allora a certi doti, da padrino in poi, si può avere delle collaborazioni con lo Stato, si possono avere dei business con lo Stato, sono consentiti i che poi a livello massonico questo è un cammino insieme, nel senso che ci si siede nello stesso tavolo. Questo so io a livello massonico. A livello antecedente al padrino tassativamente non si può fare, solo a quei livelli. Ci possono essere anche generali, nella 'ndrangheta Lamarmora era … Mazzini, Lamarmora sono nella storia della 'ndrangheta ma erano generali, erano … Quindi a livello massonico, che "non si chiama 'ndrangheta, c'è un riunirsi di tutto questo, che non posso spiegarvi nel dettaglio perché non vi avevo ancora partecipato a questo, però so che c'è, me ne hanno accennato, che non si potrebbe”.

Non so se vi rendete conto, se ci rendiamo conto di quanto Belnome dichiara. Sostanzialmente dice: la massoneria viene dopo la ‘ndrangheta. Non è ‘ndrangheta ma da lì – da quella cabina di regia che vivaddio, lo dico per i ciechi, fieri o obbligati ad esserlo, altro non è che una parte di quel “sistema criminale” che tiene a braccetto Scarpinato e Lombardo – si scende a patti con lo Stato. Lì – per Dio misericordioso – ci si siede allo stesso tavolo dello Stato. Lo dice Belnome. Non lo dico io. Io lo penso ma il mio compito non è provarlo ma accendere i riflettori…sull’”altra faccia” delle mafie, quella evoluta, quella che sta divorando l’Italia. Come lo pensano, sono sicuro, decine di magistrati, investigatori e politici che hanno però paura di fare quel passo in più ala ricerca della verità.

PRESTIPINO GIARRITTA

Ma passiamo a Prestipino Giarritta Michele. Il 5 dicembre 2012 si è seduto di fronte ai commissari parlamentari antimafia.

Quel giorno Walter Veltroni gli chiede dei rapporti con la massoneria e/o con ambienti della massoneria. “A questo proposito – dice testualmente Veltronivorrei sapere se in qualcuna delle vostre indagini avete incrociato insieme 'ndrangheta, massoneria e politica”.

Prestipino spiattella la situazione nuda e cruda. Non c’è bisogno di commento perchè Prestipino dipinge il collante della ‘ndrangheta come meglio non si potrebbe.

Leggete qui: “In diverse indagini abbiamo raccolto elementi che indicano una connessione tra pezzi di 'ndrangheta, la parte elevata della 'ndrangheta (i capi, per capirci), logge massoniche e altri pezzi della città. Tali elementi, raccolti nel corso di diverse indagini, al momento ci permettono di avanzare soltanto un'ipotesi di lavoro, un'ipotesi investigativa secondo la quale, in Calabria, la massoneria sia una sorta di stanza di compensa
zione in cui, anche fisicamente, si possono realizzare interessi comuni, si possono incontrare persone diverse che magari non possono vedersi altrove e in tale contesto hanno l'occasione di riunirsi tutti coloro che sono accomunati da un legame particolare per coltivare determinati interessi. Le logge massoniche riuniscono quindi gli uni e gli altri, cioè pezzi della città e professionisti come Giovanni Zumbo, del quale vi ho parlato. Si tratta, ovviamente, di dati pubblici, perché Giovanni Zumbo è un iscritto alla loggia massonica al quale è collegato un carabiniere che ha rivelato alcune notizie ed è al centro di una catena di rivelazioni e di segreti. Quel carabiniere era stato iscritto alla stessa loggia massonica da Giovanni Zumbo. La massoneria, quindi, funziona come un cemento che lega le persone, le mette insieme e le fa stare anche fisicamente in un'unica stanza – per questo parlo di stanza di compensazione – dove possono discutere e realizzare i loro interessi, non sempre leciti. Questo noi lo abbiamo verificato in diversi contesti di indagine. Ovviamente sono spunti, sono elementi sui quali dobbiamo costruire ancora qualcosa di più significativo e importante
”.

Prestipino Giarritta – non io che lo penso solo – parla esplicitamente di massoneria “come un cemento che lega le persone, le mette insieme e le fa stare anche fisicamente in un'unica stanza…una stanza di compensazione – dove possono discutere e realizzare i loro interessi, non sempre leciti. Ovviamente sono spunti…”.

Ovviamente. E ovviamente sono spunti che Lombardo – come 10 e 20 anni prima pm come Marco Verzera, Enzo Macri, Roberto Pennisi e Alberto Cisterna – hanno e avevano preso in mano.

E’ un peccato, però, che si parli di “spunti” perché il notaio Pietro Marrapodi – solo per fare un nome, uno solo tra i tanti – prima di morire stranamente suicida il 28 maggio 1996 svelò moltissimo di quelle stanze di compensazione. In uno storico “duello” dialettico nel ’94 con il pentito Giacomo Ubaldo Lauro definì scenari che sono ancora tutti (o quasi) da investigare. Parliamo ormai di 20 anni fa.

IL PATTO CON LA MASSONERIA

La storia del patto massoneria deviata-ndrangheta-politica è vecchia in Calabria come il mondo, scrivevo sopra, e non basterebbero mesi per riavvolgere i tanti fili stesi e riannodati nei decenni. Basti dire che la questione è viva, vegeta, sempre attuale. Leggete qui – ad esempio – la cronaca puntuale di Alessia Candito del 14 febbraio su www.corrieredellacalabria.it.

A parlare è il pentito Nino Fiume che, descrivendo i rapporti del clan De Stefano, ad un certo punto si lascia andare a una considerazione che vi pregherei di leggere con attenzione: i patti «sono cambiati dopo l’omicidio del giudice Scopelliti».

Ricordate ciò che scrissi nel primo articolo di questa serie il 4 marzo? Che l’omicidio del giudice Scopelliti rivoluzionò in radice i patti tra mafie, massoneria, Stato e politica. E che la verità è ancora tutta da scoprire: quell’anno, quel giorno segnarono l’ascesa nell’empireo delle mafia evoluta della ‘ndrangheta (a partire dalla trimurti De Stefano/Tegano/Condello oltre al custode delle regole Libri) e la discesa negli inferi (dove campa pur sempre) di Cosa nostra.

Sulla protezione della massoneria nei confronti della famiglia di Archi, Fiume specifica che non è stata, appunto, la massoneria regolare a garantire ma quella deviata. A gestire i rapporti – dice il pentito – è stato per anni l’avvocato Giorgio De Stefano che «noi chiamavamo il consigliori, era lui a gestire certe situazioni. La Loggia del Sacro cuore era guidata da lui e quasi tutti quelli che abitavano nel suo condominio...». Anche Zumbo a detta di Fiume gravitava in questo ambiente. «Non è che uno arriva così a ricoprire certi incarichi, qualcuno ce lo ha messo».
A Giuseppe De Stefano i servizi non andavano a genio. «Lui stava molto attento in queste situazioni – spiega Fiumeperché aveva sempre sostenuto che anche suo padre aveva avuto a che fare con storie di servizi. E diceva sempre “questi ci ammazzano e non ci pagano”. Carmine invece no, sembrava più interessato a queste cose».

Nel luglio 2012 lo stesso Fiume, rese altra deposizione nel corso del processo Meta (si veda post in archivio del 17 luglio 2012).

Nella sua deposizione – raccontata su www.corrieredellacalabria.it da Lucio Musolino – ha raccontato qualcosa di straordinariamente logico. Che solo chi finge non vuole vedere. «Reggio ha vissuto sempre di massoneria – ha detto FiumeMico Libri quando parlava dei massoni li chiamava i “nobili”. “Non li tocchiamo, diceva, sennò ci rovinano”. Il problema sono le logge deviate. È inutile cercare le liste dei massoni nelle prefetture. Piuttosto si deve trovare il famoso libro custodito in una banca e che fu rubato durante una rapina alla quale prese parte anche Giacomo Lauro. I De Stefano, quel libro, lo volevano a tutti i costi».

E poi ancora: «Una parte degli affari dei De Stefano è custodita in uno studio ai Parioli a Roma, vicino alla sede della Zecca di Stato. Una volta ci andai con Carmine De Stefano. Era una sorta di studio notarile e il dottore che ci accolse aveva i guanti bianchi. Carmine De Stefano aveva il timore che qualcuno scoprisse la sede di quello studio legale. Io non entrai ma mi accorsi di scritte in russo o in polacco, non ricordo bene. Ricordo, invece, che un giorno l’avvocato Tommasini mi disse che Peppe De Stefano faceva società con persone e in luoghi inaccessibili finanche al Presidente della Repubblica».

Per Fiume è sempre la massoneria a giocare, ieri, oggi, domani, un ruolo chiave: «È un livello superiore – spiega Fiume che non sa che Belnome, più o meno, nel 2010 a Boccassini Ilda dirà le stesse cose – Sono persone che si aiutano a patto di non entrare in contrasto con le istituzioni. Un magistrato da noi si avvicina con amicizia o lo si delegittima». Un magistrato si avvicina con amicizia altrimenti è fottuto: da brividi ragazzi! Ma avete letto bene?

E poi c’è stato il vecchio caro Giuseppe Commisso, ‘u Mastro” (avercene!), che al nipotino che voleva scalare la massoneria disse di tenersi alla larga (si veda il mio post in archivio del 12 giugno). Ma si sa, il problema del passaggio generazionale anche in famiglia è difficile da gestire. I giovani scalpitano e si adeguano al mondo che cambia, questo ‘u Mastro non lo poteva capire.

A lunedì con una nuova puntata.

5- to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 4, 5, 6 e 7 marzo).

r.galullo@ilsole24ore.com

  • bartolo |

    condivido il commento di lucia.
    non sono più i tempi di falcone e borsellino. loro avevano visto chiaro già allora quello che oggi stentano a vedere i “presuntuosi”. cioè, le mafie erano parte dello stato. e quest’ultimo, quando a causa della degenerazione delle prime, implose al loro interno sotto la forza devastatrice sprigionata dalle nuove leve che avevano deciso d’infischiarsene delle arcaiche regole sei-ottocentesche di servilismo al potere politico, decise d’intervenire, utilizzò gli unici strumenti che aveva a disposizione il nostro stato di diritto: le leggi straordinarie. a questo punto(con le nuove mafie in difficoltà sotto i colpi di bazooka della nuova legislazione antimafia, ma vincenti rispetto a quelle arcaiche) prese vita l’ibrido “nuovo soggetto-cancro” che, rinnovando l’alleanza con lo stato, ha consentito a quest’ultimo di procedere in direzione di una legislazione che ha blindato il pentimento dei mafiosi secondo ferrei protocolli, scrivendo la storia dell’infausto connubio in maniera unilaterale, secondo il nuovo proposito canceroso, appunto. ecco perché sono morti falcone e borsellino: avrebbero immediatamente smascherato la nuova alleanza, anticipando così di venti anni, l’attualità che ci sta svelando il processo di palermo sulla trattativa.

  • pasquale montilla |

    Funziona cosi.La mafia e’ il cancro della società e lo stato diventa un ospite con le massonerie metastasi attive.Entrambi si nutrono della linfa vitale fino a sfinire e scheletrizzzare la povera vittima.La logica del crimine parassitario.Non esistono stanze della compensazione ma solo un esercito di delinquenti spietati .Non sono legati con il cemento ma semplicemente dei pirati con lo stesso codice genetico.Criminali con l’acido muriatico da fare ingoiare e porci con la giacca e cravatta che la pensano allo stesso modo.E’il solito modello Reggio tra cricche di ogni razza,professionisti della politica collusi,magistratura in difficolta e delegittimata e massoneria aristocratica putrida .Queste inchieste sono ad un bivio o si vince o e’preferibile smantellare lo stato e consegnarci al nemico sconfitti.Io sto con il procuratore Lombardo e i calabresi che subiscono in silenzio ma non bisogna lasciare piu’nessuno solo in questa battaglia.Falcone e Borsellino insegnano.
    Pasquale Montilla

  • lucia |

    Sa qual’è la verità,dr.Galullo,è che non ne possiamo davvero più!A Reggio,in Calabria,in Sicilia,in tutto il Sud non c’è famiglia che non sia stata rovinata,distrutta da questa cappa asfissiante,ammorbante fatta dall’intreccio inestricabile ormai di confraternite criminali.Mazzini,Lamarmora,Garibaldi MA BASTA!BASTA!BASTA!Gente che è vissuta ormai 2 secoli fa!Spero che tutti i mafiosi che sono detenuti parlino!Tutti devono parlare perchè la gente comune non ne può VERAMENTE PIU’! Prima o poi qualcuno dovra’ scriverla nero su bianco la vera storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi e dovranno insegnarla e dovrà essere studiata nelle scuole anche se è una storia che fa paura;una storia che mette i brividi più di un film horror.

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