Operazione Blue Call/3 Il gip Gennari racconta la storia del discepolo che vuole imparare dal boss: ma siamo a Lecco, non a San Luca!

Cari amici di blog, su questo umile e umido blog sto raccontando alcuni particolari dell’indagine con la quale la Procura di Milano e quella di Reggio Calabria hanno posto fine alla scalata della cosca mafiosa Bellocco di Rosarno ad alcune aziende  in Lombardia. Tra queste la società di call center “Blue Call srl”. Nei post (che trovate in archivio nei giorni 29 e 30 novembre) ho descritto molti particolari. Altri ne racconterò tra qualche ora.

Oggi voglio soffermarmi su un aspetto che è stato semplicemente “sorvolato” dai media. E’ un aspetto invece vitale perché testimonia due cose terribili e speculari: 1) la cultura criminale sta diventando patrimonio del Nord; 2) il fallimento della società nell’impermeabilizzazione dei giovani da quella cultura.

E’ la storia di quello che il gip di Milano chiama il “discepolo”. Un giovane – di cui ometto nome e cognome per un semplice motivo: pur essendo indagato e arrestato nell’ambito dell’operazione, stiamo parlando di un ragazzo che spero dimostri la sua innocenza – che si fa trascinare da un vortice assurdo.

Il giovane è un ventenne di origine calabrese anche se è nato, cresciuto e pasciuto a Lecco, quindi nella Lombardia bella ed opulenta.

Nonostante la giovane età – si legge testualmente nell’ordinanza firmata dal Gip di Milano Giuseppe Gennari…OMISSIS…segue ammirato le gesta di Nocera, che accompagna durante la sua latitanza. Significativo del ruolo di discepolo è l’episodio della tentata estorsione a Suisio, dove Nocera istruisce …OMISSIS….e lo “manda” a farsi le ossa. Le conversazioni di …OMISSIS… in compagnia di Nocera costituiscono la migliore espressione della totale condivisione, da parte del primo, delle scelte delittuose del secondo. …OMISSIS…è senza dubbio soggetto che ha già compiuto la sua scelta in favore della cosca, scelta senza dubbio condivisa e sostenuta dal padre…” (anche lui indagato e arrestato ndr).

La parola “discepolo” non è dunque la mia, ma espressione diretta di quanto scrive testualmente il giudice.

Vale la pena di spiegare chi sono quei nomi a cui fa riferimento il Gip.

Francesco Nocera, nato a Cinquefrondi (Rc) 30 anni fa, è detenuto per altra causa presso la casa circondariale di Potenza ma è stato raggiunto in questa occasione da un nuovo mandato di arresto. La Procura generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria ha emesso ordine di esecuzione nei suoi confronti, per scontare un residuo pena di 3 anni, 2 mesi 2 e 28 giorni, come risulta dalla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 18 novembre 2010 che aveva condannato Nocera alla pena complessiva di 6 anni e 8 mesi di reclusione per rapina e associazione per delinquere finalizzata alla rapina.

Il titolo esecutivo è rimasto lettera morta per un semplice motivo: Nocera si è reso latitante. Fino alle ore 15 del 3 febbraio 2012, quando venne arrestato a Cisano Bergamasco a bordo di un auto in compagnia del giovane “discepolo”.

Nocera, si legge a pagina 7 dell’ordinanza, viene definito “esponente di spicco dell’associazione mafiosa facente capo alla famiglia Bellocco di Rosarno”.

Forse, proseguendo in questa allegoria disegnata dal giudice Gennari, il giovane “discepolo” non poteva che essere affascinato dai profili criminali visto che il padre, si legge sempre testualmente nell’ordinanza, “si mette a disposizione di Nocera per ogni necessità. Dice Nocera che per lui le porte di casa sua sono sempre aperte. E infatti è così. La conversazione dimostra chiaramente come il padre non sia un collaboratore occasionale magari coinvolto per soldi, ma un soggetto che conosce direttamente la famiglia NoceraBellocco e ne condivide metodi e finalità”.

Ahimè, verrebbe da dire, tale padre tale figlio e questo non fa onore a nessuno e spero che non sia così. In una conversazione intercettata il 31 gennaio 2102 si sente il latitante che dice: “Là busso e sono il padrone… come se lui viene a casa mia è il padrone…”.

Il giovane “discepolo” ha scarrozzato il latitante negli spostamenti sul territorio lombardo. In  particolare – si legge nell’ordinanza – il 31 gennaio 2012 con Nocera è andato a Suisio per intimidire un malcapitato. Il giovane, si legge a pagina 357, dell’ordinanza, “è senza dubbio soggetto che ha già compiuto la sua scelta in favore della cosca, scelta senza dubbio condivisa e sostenuta dal padre”.

Gli indagati – si legge ancora testualmente nell’ordinanza – con le reciproche condotte autonome e coordinate, hanno fattivamente contribuito a consentire a Nocera Francesco di sottrarsi alla esecuzione della pena per un periodo di circa un mese. Periodo, lo si ribadisce ancora una volta perché rilevante anche ai fini della gravità oggettiva del reato contestato, trascorso da Nocera non chiuso in una casa al buio, ma a curare proficuamente gli affari di famiglia. Nessun dubbio ricorre in ordine alla piena consapevolezza dello stato di latitante di Nocera, in capo agli indagati…I due …OMISSIS…(padre e figlio ndr)  rivelano in modo eclatante la piena consapevolezza dell’aiuto prestato al momento dell’arresto di Nocera, quando padre e figlio cercano di concordare una versione di comodo per evitare di finire nei guai…Per il padre Francesco Nocera è un Vip, non un criminale. E quanto al figlio …OMISSIS…basta leggere le conversazioni in cui si parla di droga con Nocera e la vicenda della tentata estorsione, per comprendere che non solo sapeva con chi aveva a che fare, ma certo aspirava ad avere Nocera come maestro”.

Nocera non è un compare qualsiasi facilmente sostituibile con altri – si infine nell’ordinanza – . Nocera è un membro della famiglia Bellocco. Le attività illecite in cui lo stesso è impegnato – appunto anche durante la latitanza – sono dirette al beneficio della intera organizzazione. Quindi mantenerlo in libertà vuole dire consentire allo stesso di lavorare indisturbato a vantaggio della intera cosca”.

A lunedì con una nuova puntata. Sperando che questa faccia riflettere tutti.

3 – to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 29 e 30 novembre)

r.galullo@ilsole24ore.com

  • bartolo |

    caro galullo,
    secondo me, con un ulteriore sforzo intellettuale in più, il gip avrebbe potuto benissimo applicare agli indagati anziché l’art.416bis, quello meno grave previsto nel 416 (c.p). appare evidente, come si dice in calabria, “figghjiu di jiatta surici pigghjia”. come il figlio del magistrato tende a far vincere al proprio figlio il conconcorso in magistratura, e il pastore a tramandare al figlio il proprio gregge, anche lo ndranghetista fa altrettanto. e, pure il rapinatore. si riservino, i giudici, di applicare quel famigerato art. (degno dei paesi razzisti) per i veri mafiosi, cioè: coloro che da servitori delle istituzioni e/o investiti a vario titolo per l’amministrazione dei beni pubblici, approfittano del proprio incarico per gli intrallazzi criminale e corruttivi.

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