Cari lettori, sul Sole 24 Ore online di ieri sono stati pubblicati questi due pezzi che fondo in uno per i lettori del blog che ieri non avessero avuto occasione di leggerli.
Retrocessa dopo un passato glorioso, travolta dalle indagini giudiziarie: anche la pallacanestro a Reggio Calabria non trova pace.
Tra i beni sequestrati ai due imprenditori reggini Pasquale Rappoccio e Pietro Siclari legati alla ‘ndrangheta secondo i pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino che hanno coordinato le indagini condotte dai finanzieri del Gico, dalla Dia e dai Carabinieri, c’è anche l’89% delle quote della “Nuovo Basket Viola Reggio 98”.
Quella percentuale, pari a 534mila euro della società fallita il 17 agosto 2008, era nelle mani di Rappoccio (attualmente detenuto a Palmi), così come nella sua proprietà era il 10% della Polisportiva Piero Viola Spa, anch’esso sequestrato.
Il 15 ottobre Kate Tassone, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, ha depositato in cancelleria 93 pagine di decreto, dando così seguito alla richiesta di sequestro della Procura antimafia.
Il decreto firmato 8 giorni farà scuola perché, complessivamente, il patrimonio mobiliare, immobiliare e azionario sequestrato ai due imprenditori o comunque a loro riconducibile anche attraverso alcuni familiari, supera i 230 milioni.
Non è solo lo sport reggino a uscire umiliato da questa operazione – oggi oggetto di una conferenza stampa della Procura reggina – condotta anche mettendo a confronto l’indiscutibile sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato ed i redditi dichiarati, tale da non giustificarne la legittima provenienza. A uscirne umiliate sono infatti l’imprenditoria sana e la società civile, che oggi si sono risvegliate sotto shock.
A Pietro Siclari – attualmente recluso a Reggio Calabria e fin dal 1994 oggetto di investigazioni per reati di mafia – sono stati sequestrati 39 appartamenti, 26 autorimesse, 23 terreni, il 50% della Welcome Investments Italia srl (con relativa quota spettante del patrimonio aziendale tra cui l’80% del capitale sociale della Jonio Blu srl che gestisce il Villaggio Jonio Blu di Bianco), il 33% della Gruppo Gestione sanitarie srl che opera nelle case di cura e il 24,77% della Gesam spa, che opera nel settore alberghiero (con relativa quota spettante del patrimonio aziendale, tra cui il Grand Hotel De La Ville), il 28,85% della Piccolo Hotel srl e il 15% della Otto Srl, che opera nell’immobiliare.
Nel recente passato, affermano gli inquirenti, le investigazioni avevano anche evidenziato il coinvolgimento di Siclari in un’operazione immobiliare che, tramite la fittizia intestazione in favore di compiacenti prestanome, aveva consentito al boss Domenico Condello di accaparrarsi la gestione del locale “Il Limoneto”, discoteca e luogo di ritrovo ala moda dei giovani reggini.
Se Siclari sembra avere la passione per gli investimenti nei settori immobiliari, turistici e alberghieri, Rappoccio sembra amare in particolar modo sanità e sport.
Già presidente e proprietario della squadra di pallavolo femminile reggina “Medinex”, militante nella massima serie (A1), nonché membro della compagine sociale della “Piero Viola”, che vanta decenni di presenza e successi nel massimo campionato di basket italiano, Rappoccio, più volte in affari con Siclari (come ad esempio nella Welcome Investments Italia), è emerso nell'ambito di inchieste condotte dalla Dda quale soggetto in rapporti d'interesse con diverse potenti cosche di ‘ndrangheta reggine.
Sport e turismo a parte, la grande passione era la sanità che in Calabria porta benefici milionari se esercitata in maniera criminale. A Rappoccio sono state infatti sequestrate la Medinex di Raffa Rosalia Maria sas, che opera nel settore delle forniture e delle attrezzature sanitarie, la Medinex srl e l’Ar Medica srl, che operano nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti medicali e ortopedici.
Quasi inutile dire che sono state fornitrici privilegiate di Asl e presidi sanitari calabresi.
DOPO IL BLITZ DELLA DIA
C’è qualcosa di nuovo oggi a Reggio Calabria, anzi di antico. Sia concessa la parafrasi dell’Aquilone dei Primi Poemetti di Giovanni Pascoli leggendo il decreto con il quale il Tribunale di Reggio Calabria ha disposto il sequestro.
Il decreto di sequestro è un altro pugno nello stomaco se paragonato a quello con il quale, appena pochi giorni fa, il Governo ha deciso lo scioglimento per contiguità mafiosa del Comune di Reggio Calabria alla cui base, tra le altre cose, c’è la facilità con la quale le ditte in qualche modo vicine alla ‘ndrangheta si infilano negli appalti pubblici.
Nella relazione della Commissione prefettizia di indagine, la cui sintesi è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 20 ottobre n.246, si legge che il Comune di Reggio Calabria nel settore di lavori pubblici non ha adottato protocolli di legalità (salvo che per la costruzione del Palazzo di Giustizia) e non ha aderito alla stazione unica appaltante e si legge ancora, con riferimento alle 31 ditte ritenute dalla Commissione di indagine in qualche modo contigue alle cosche e che si aggiudicavano buona parte degli appalti, che «è appena il caso di osservare come il sistematico affidamento alle medesime imprese di lavori, forniture e servizi abbia determinato naturalmente l'estromissione di fatto di altri operatori economici, assicurando alle stesse un ruolo di riferimento esclusivo nel reclutamento della manodopera, nell' acquisto di materiali, nel noleggio di mezzi e all'acquisto di servizi vari».
A leggere già la seconda pagina del decreto con il quale sono stati sequestrati i 230 milioni, sembrerebbe che nulla è cambiato negli ultimi 20 anni: infiltrazioni c’erano allora, infiltrazioni ci sono oggi. Comitati di affari c’erano allora (ma anche prima, sia chiaro), comitati di affari ci sono oggi.
Uno dei due imprenditori ai quali sono stati sequestrati i beni è infatti Pietro Siclari, per il quale già nel 1992, si legge testualmente, emergeva «l’esistenza di un comitato di affari che dominava la gestione degli appalti pubblici nella città e nell’hinterland di Reggio Calabria e al cui interno il Siclari rivestiva un ruolo di primo piano quale esponente di una lobby di politici, imprenditori e mafiosi in grado di condizionare le scelte sulle opere da finanziarie e sulle aziende da selezionare. Nell’ambito dei suddetti procedimenti al Siclari si contestava più nello specifico di essersi intromesso, quale rappresentante della famiglia Libri, nell’assegnazione di un appalto avente ad oggetto il prolungamento della pista aeroportuale di Reggio Calabria».
All’epoca, sulla base di questo assunto fondato sulle risultanze di due procedimenti penali (17/1992 e 32/1993), l’allora questore di Reggio Calabria chiese la
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nei confronti di Siclari, che però venne rifiutata dal Tribunale perché non erano emerse «modalità caratterizzate da mafiosità». Nel decreto di sequestro del 15 ottobre, a pagina 3, si legge invece che sono emersi «fatti nuovi e diversi da quelli a suo tempo valutati, che consentono di ritenere che Siclari Pietro sia soggetto socialmente pericoloso, in quanto fortemente indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta…Dalla valutazione complessiva delle risultanze del procedimento Entourage è emersa con prepotenza la figura di un imprenditore astuto e senza scrupoli che ha basato la propria fortuna imprenditoriale sullo sfruttamento di stretti vincoli, risalenti nel tempo, con personaggi di spicco di diverse consorterie mafiose, attive sia all’interno del territorio cittadino che nella provincia…».
Scioglimento no (venti anni fa), scioglimento sì (oggi), fatto sta che secondo i due pm Lombardo e Musolino che hanno proposto il sequestro, «già nei primi anni Ottanta, quando il Siclari cominciava ad effettuare i primi investimenti immobiliari, lo stesso poteva contare sull’aiuto di uomini del calibro di Mico Alvaro», storico boss della cosca di Sinopoli (Reggio Calabria).
Insomma, gli anni passano ma Reggio Calabria è sempre la stessa. Questo è il dramma.
r.galullo@ilsole24ore.com