Cosa nostra e quel capannone a Carpi per nascondere droga – Il giallo della morte dell’imprenditore Bruno Gerardi

E’ di qualche giorno fa la notizia dell’arresto – a seguito di un’indagine della Procura distrettuale antimafia di Palermo battezzatta con il nome di “Operazione Monterrey “– di un manipolo di persone di cui diverse, secondo l'accusa, legate a Cosa nostra e accusate di narcotraffico. Storia già vista. Roba già vecchia verrebbe da dire e scrivere.

Però tra coloro che avrebbero – secondo l’accusa – organizzato e coordinato l’importazione della cocaina dal Messico ci sono anche due imprenditori emiliani: Bruno ed Elio Gerardi, nati entrambi a Modena.

LA DEA AMERICANA

L’indagine nasce da una segnalazione di 6 anni fa della Dea (il Dipartimento antidroga statunitense) alla Direzione centrale per i servizi antidroga del Viminale. Gli americani segnalarono un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico e al riciclaggio, che operava in Italia, Usa, Venezuela e Colombia.

I referenti italini sarebbero stati secondo americani ed accusa italiana, Bruno Gerardi, residente in Messico a Monterrey (da cui il nome dell’operazione) e suo fratello Elio, produttori di forni siderurgici per ceramica.

Nel giugno 2006 dal Messico parte, appunto, un forno per metalli. I fratelli Gerardi vengono intercettati mentre parlano della necessità di distruggere il forno una volta arrivato e nei giorni precedenti parlano, sempre secondo gli inquirenti, in “codice” per nascondere un’operazione molto sospetta. Droga? Per il momento è solo un sospetto di coloro i quali con cuffia a resgistraore ascoltano i dialoghi. I due fratelli parlano anche della necessità di affittare un capannone a Carpi dove portare il forno per ceramica (lì nei pressi c’è un distretto che è tra i vanti del made in Italy). Sì proprio nell’area oggi terremotata. Il forno – forse per errore – era però stato dirottato in un primo momento ad Anversa (Belgio).

Il forno “smarrito” viene “recuperato” e il 26 luglio 2006 – sempre grazie alle intercettazioni telefoniche – si vengono a sapere la modalità di trasporto del forno in Italia, il nome del conducente e il numero di targa del mezzo.

Perfetto: scatta l’operazione perché gli inquirenti americani e italiani sono convinti che, nascosto in quel forno industriale, ci sia proprio un (ennesimo?)carico di droga.

Il giorno dopo – mentre l’autista schiaccia un pisolino in un autogrill sull’autostrada Milano-Napoli – viene sequestrato l’automezzo con il forno industriale al cui interno (una volta rimosse le intercapedini), gli investigatori trovano 424 kg di cocaina. Guarda tu le coincidenze!

IL FRATELLO SCOMPARSO

Le successive attività di indagine – si legge nell’ordinanza a pagina 13 – permettono di scoprire che, a seguito del sequestro, Bruno Gerardi risulta irreperibile, tanto è vero che i suoi più stretti congiunti si adoperano, preoccupati, di rintracciarlo.

E qui le cose si complicano perché si legge nell’ordinanza che “è ragionevole ritenere che il Gerardi sia stato vittima di un regolamento di  conti in territorio messicano in quanto ritenuto responsabile del fallimento dell’operazione”. I presunti complici, nel frattempo, intercettati, se ne fottevano allegramente pianficando una nuova trattativa di importazione di droga.

E a pagina 50 della  stessa ordinanza gli inquirenti ricostruiscono la scomparsa di Bruno Gerardi attraverso la fitta rete di telefonate tra i fratelli Elio e Antonio Gerardi (non indagato) e la moglie di Bruno, Diana Martinez (non indagata). Gli inquienti scoprono così che ad un certo punto viene interpellata un’agenzia di investigazioni sudamericana (versomilmente “Alfa”) con il compito di cercare Bruno Gerardi.

Ricerche verosimilmente inutili perchè a pagina 51 dell’ordinanza si legge la ricostruzione dello scenario che la Procura di Palermo fa attraverso le intercettazioni a raffica dell’agosto 2006 e “…viene contemplata, con quasi assoluta certezza, la possibilità che il corpo di Bruno Gerardi, certamente esanime, non sarebbe mai più stato ritrovato, vista la consuetudine di quelle organizzazioni criminali di cementare i corpi delle proprie vittime in appositi bidoni”.

Il 29 settembre 2006 i fratelli Antonio ed Elio Gerardi ricostruiscono gli ultimi istanti di “memoria visiva” del fratello Bruno, visto salire volontariamente a bordo di un camioncino e da allora sparito.

A pagina 52 gli inquirenti infine scrivono che Bruno Gerardiaveva trovato la propria presumibile morte nel contesto relativo al mercato illegale della cocaina…” e ipotizzano che “…la determinazione (di ucciderlo ndr) era maturata per l’inaffidabilità di Bruno, come denominatore nelle occasioni di sequestri o, più verosimilmente, per i debiti contratti nei confronti dei cartelli colombiani per l’approvvigionamento della cocaina e mai onorati”.

La domanda è: qualcuno è in grado di dire alla famiglia che fine ha fatto questo imprenditore?

r.galullo@ilsole24ore.com

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