La morte-giallo del dottor Attilio Manca, la clinica laziale e il lapsus di Piero Grasso sulla cattura di Provenzano (malato)

Eravamo nel novembre 2005 e Provenzano verrà catturato nel marzo 2006”: un lapsus. Sicuramente solo un lapsus.

Non può essere letto altrimenti quello reso dal Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso nel corso dell’audizione resa il 14 dicembre 2011 dalle 14.30 in poi davanti al Csm riunito in prima Commissione per cominciare a decidere le sorti del suo vice, Alberto Cisterna, accusato di corruzione in atti giudiziari per una brutta storia studiata da menti raffinatissime, che ora lo spingeranno a lasciare (anzi: ad essere cacciato) la Direzione nazionale antimafia (Dna).

Provenzano, infatti, fu arrestato l’11 aprile 2006 senza opporre la minima resistenza (sulla sua cattura e sulla presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra si vedano in archivio i miei articoli del 24, 25, 26 e 27 aprile).

Coincidenza – solo mera coincidenza – il fatto che il 31 marzo 2006 (e siamo ancora a marzo, una manciata di giorni prima dell’arresto di Binnu u tratturi) in un’intervista del collega di Repubblica, Attilio Bolzoni, il legale di Provenzano, Salvatore Traina, dice che lo stesso Provenzano poteva essere morto. Come morto? Cosa voleva dire morto? La cattura dimostrerà che era vivo e vegeto. Ma forse morto voleva significare ben altra cosa: spacciato, arreso. Finito per sempre.

Coincidenza – solo un’altra coincidenza – che l’ex Procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, il 23 aprile, in un’intervista alla collega dell’Unità Claudia Fusani concluderà così la sua intervista: “Mi colpì molto che 10 giorni prima dell’arresto l’avvocato di Provenzano ci annunciò che Provenzano era morto. Mi dissi: bellina questa. E per chi è morto? Per l’organizzazione?”

Maledette idi di marzo! Curioso che Vigna si sia fatto le domande che mi sono posto anche io. Delle due l’una: o è bene farsele o siamo entrambi “rimba”.

Ebbene, alla luce di queste mere coincidenze – ad Agatha Christie sarebbero bastate per risolvere un giallo – vorrei sottoporvi, amati lettori di questo umido e umile blog, un’altra serie di curiose coincidenze che – di giallo in giallo – rendono la cattura e tutto quel che ruota intorno al “caso Provenzano” sempre più nebuloso. Il rischio, vero, è che sia stata scritta un’altra pagina oscura della democrazia italiana, nella quale – tanto per cambiare – si inseriscono faccendieri, depistatori, pezzi deviati dello Stato e, immancabilmente, cappucci e grembiuli all’ombra ei quali è più facile ordire trame.

MARSIGLIA E VITERBO

Torniamo, dunque, all’audizione di Grasso ricordando che, come il 22 aprile aveva dichiarato al collega dell’Unità, Rocco Vazzana, l’attuale Procuratore generale di Ancona Enzo Macrì (all’epoca sostituto in Dna) che tutto ebbe inizio nel novembre  2003, in Dna, quando la Guardia di finanza portò un uomo, un informatore di cui la polizia giudiziaria si è servita in altre circostanze, che sostiene di parlare per conto di Provenzano.

Costui chiede una-cosa-una: non vuole avere a che fare con magistrati palermitani. Ed allora l’allora procuratore capo, Piero Luigi Vigna, delega appunto i sostituti Enzo Macrì e Alberto Cisterna (entrambi calabresi) a seguire il caso con lui.

Ora: da dove proviene questo informatore ragioniere-commercialista? Non è palermitano: è laziale.

E cosa dirà Grasso nell’audizione al Csm di cui sopra? Quanto segue: “… mi si prospettò, da parte della Guardia di Finanza  questo signore che diceva addirittura di avere dei contatti con il latitante Provenzano, il quale si doveva trovare in località naturalmente non precisata ma comunque nel Lazio. Ricordo che siccome precedentemente, quando ero procuratore a Palermo, avevamo fatto un'indagine sulla presenza di Provenzano a Marsiglia: eravamo riusciti a ottenere un frammento di un reperto medico/sanitario relativo alla sua operazione a una spalla e alla prostata, che ci aveva consentito di trarne il Dna. Insomma, non potendo catturare tutto il latitante ne avevamo catturato un pezzetto, però era utile per evitare che potessero magari far trovare un corpo spacciandolo per il latitante, perché già si parlava che era morto. Quindi essendo in possesso di quel reperto, a colui che diceva di essere in contatto con il latitante Provenzano, dissi di farci avere qualcosa – un fazzoletto, un bicchiere, un qualcosa – per poter confrontare il Dna prima di procedere a qualsiasi ulteriore passo verso quelle che erano le richieste. Perché veniva quasi come un "messaggero" di Provenzano. Insomma qualcosa che non convinceva. Fra l'altro io conoscevo le indagini, perché avevo appena lasciato il territorio di Palermo e non c'era assolutamente nessuna possibilità di qualche collegamento. Quindi a me sembrava più un truffatore che altro. Infatti feci questo colloquio investigativo ma poi nel tempo scoprii che altri due in precedenza erano stati fatti da Vigna e dai sostituti Cisterna e Macrì”.

Avete appuntato bene? L’”informatore-messaggero”, laziale, che per Grasso è un truffatore e che per Macrì è invece affidabile, dice che Provenzano – e siamo nel 2003 – può essere dove? Nel Lazio.

La Procura nazionale antimafia tronca lì, ufficialmente, la vicenda.

Però, però….

Però – sarà una coincidenza anche questa – tra l’11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo (e siccome in geografia avevo 10 so che è nel Lazio) verrà trovato morto in circostanze davvero incredibili e che dovrebbero portare ad escludere il suicidio (avverrà invece il contrario) un urologo, in servizio presso l’ospedale di Viterbo. Chi è costui? Si chiama Attilio Manca e, pur essendo nato nel Veneto, lui e tutta la famiglia sono originari di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.

Attilio Manca, nel 2003, viaggia nel sud della Francia, per assistere a un intervento chirurgico, come disse lui stesso ai genitori. Nel 2005 nell’inchiesta che porta alla maxi operazione antimafia denominata Grande Mandamento emerge che Bernardo Provenzano è stato a Marsiglia, che fino a parola contraria è in Francia: una prima volta dal 7 al 10 luglio 2003 per sottoporsi a radiografie e ad esami di laboratorio e in un secondo momento proprio nel mese di ottobre dello stesso anno per subire l’operazione alla prostata.

Guarda tu che coincidenza: l’urologo Manca e il boss “cacio e cicoria” Provenzano sono – nello stesso periodo – in Francia. E, guarda tu che altra coincidenza, il
secondo è il malato e il primo è il chirurgo (bravo, esperto, affidabile, siciliano) che può alleviarli le pene.

Manca potrebbe essere stato l’urologo che opera (costretto verrebbe da pensare) Provenzano appunto in Francia. Di questo ormai sono convinti molti investigatori, molti inquirenti e – da questo punto di vista – è del 24 aprile di quest’anno la notizia, pubblicata sul sito www.attiliomanca.it, che i Ris dei Carabinieri, almeno indirettamente, confermano ciò che la famiglia sostiene da sempre: vale a dire che Attilio Manca è stato ucciso. Insomma, è stato “suicidato” da menti poi non tanto raffinate perché le cose strambe in quel “suicidamento” sono tante quante le spine in una rosa.

Ora avrete notato che Grasso – espressamente – nel corso dell’audizione al Csm cita Marsiglia come località nella quale Provenzano certamente è stato e il “pezzetto” del Dna di Provenzano permetteva di dire che non era morto, “perché già si parlava che era morto”.

Facciamo un passo avanti. Nel novembre 2003, ricordiamolo, l’informatore (laziale) si presenta – accompagnato da alti papaveri della Gdf e non dal sergente “Vito Laqualunque”- in Dna e dice che Provenzano potrebbe essere nel Lazio. Ma – come sono in grado di rilevare qui per la prima volta – l’informatore-messaggero non solo avrebbe detto che Provenzano era vivo ma anche che era molto malato. Ne avrebbe dato insomma la conferma. Era la prima volta che una circostanza del genere veniva fuori, a saperlo davvero erano solo un pugno di uomini. Dove? A Palermo.

Ora: dove operava Manca? Nel Lazio. A Viterbo. Secondo voi: se Provenzano avesse lasciato la Francia, essendo malato di prostata ed essendo, verosimilmente operato da Manca, da chi si sarebbe fatto curare? Ma da Manca stesso, parbleu!

Oltretutto è strano che – anziché rifugiarsi in Sicilia, il suo regno, la sua fortezza – secondo quanto dice “l’informatore-messaggero-truffatore-affidabile” Provenzano se ne va nel Lazio. E’ li che si trova l’uomo che lo aiuta a vivere. Quel giovane chirurgo ma già preparatissimo, siciliano, di cui si fida. E che lo ha già operato alla prostata.

E secondo voi, se questo filo logico regge – e, come dichiarato a questo umile e umido blog da ben 4 rappresentanti della Commissione parlamentare antimafia, sarebbe doveroso che la Commissione stessa approfondisse il caso, come richiesto al presidente Beppe Pisanu dall’onorevole Angela NapoliProvenzano si sarebbe fatto clinicamente seguire a Viterbo? Secondo me no. Fossi stato io Provenzano avrei fatto girare Manca come un cagnolino. Molto meno rischioso, oltretutto. Lo avrei – ovviamente – costretto a curarmi. Dove? Voi dove andreste? In un ospedale pubblico? Magari di Viterbo. Io no, signori, e neppure voi suppongo. In una clinica privata, oh yes! Magari romana, in quella Capitale dei vizi e delle virtù enorme, città eterna, città dove Provenzano aveva appoggi a fottere. Ovunque. Anche nel campo clinico. Anche in quello massonico. Ai più alti livelli.

Per ora mi fermo qui. Ma domani ritorno. Non è una minaccia. E’ un caldo invito a seguire un’altra puntata del “caso Provenzano”.

r.galullo@ilsole24ore.com

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