Secessione soft/ Il consigliere regionale Mario Bruno scrive al blog: “Il Governatore Cappellacci ha svenduto anche la bandiera sardista”

Cari lettori, la scorsa settimana – sul Sole-24 Ore online e sul mio blog – ho dato conto dell’ordine del giorno approvato dal consiglio regionale della Sardegna su quella che ho chiamato “secessione soft” e che, più tecnicamente, può invece chiamarsi un punto della situazione – con il contributo del popolo sardo – sulla opportunità di far parte ancora dello Stato italiano.

Indipendentemente dal colore politico (cosa di cui non mi frega assolutamente nulla) ho espresso tutte le mie riserve sull’ordine del giorno ma ho anche fatto presente che non è possibile ignorare il malessere di una regione, come la Sardegna, che sta pagando un prezzo altissimo alla crisi.

In queste situazioni di drammaticità accade che la voglia di “isolarsi” e proclamare la propria autonomia (peggio: indipendenza) contagi i sentimenti e le riflessioni, nella falsa (a mio avviso) credenza che troncare il cordone ombelicale con la madre Patria sia un rimedio peggiore del male che si attraversa.

Mutatis mutandis è la stessa malattia che contagia il pessimo leghismo, quello che beceramente scivola nel secessionismo al grido di una supremazia economica e finanziaria che fa strame dell’unitarietà di sacrifici, valori, principi e ideali sui quali si fonda (e deve poggiare sempre più) la nostra Patria.

Anziché fare delle differenze un punto di forza e di risveglio economico e sociale, le si strumentalizzano per perorare false cause e false nazioni come la Padania (o Sardigna natzione).

Sul Sole-24 Ore online, su questo blog e – so – anche nell’Isola, il dibattito è stato molto acceso: un conto, infatti, è che le notizie vengano “confinate” all’interno della Sardegna, un conto è acquisiscano anche visibilità, chiamiamola, “continentale”. Mi fa piacere perché migliaia di sardi in giro per l’Italia che magari non si documentano con la stampa locale, attraverso il Gruppo 24 Ore hanno potuto informarsi e contribuire al dibattito.

Dibattito sul quale, oggi – e lo ringrazio per l’invio graditissimo di questo articolo – contribuisce il consigliere regionale del Pd Mario Bruno. Ricordo che Pd e Riformatori hanno massicciamente votato contro l’ordine del giorno “para secessionista”. Altri interventi (magari del Governatore Ugo Cappellacci chiamato profondamente in causa) saranno graditi quanto questo.

Buona lettura.

Il contributo di riflessioni di Mario Bruno

 Egregio dottor Galullo,

 la mozione provocatoria sulla verifica della “secessione soft” della Sardegna dalla Repubblica Italiana è arrivata nel Consiglio regionale della Sardegna a tre anni esatti dall’insediamento di Ugo Cappellacci e del centrodestra alla guida della Regione.

La vertenza entrate del 2006, grazie ad un accordo tra Soru e Prodi, aveva prodotto una conquista storica nei diritti dei sardi, con il riconoscimento di circa tre miliardi di euro in più all’anno a valere sulla compartecipazione alle entrate prodotte nell’isola. Due miliardi in più all’anno, per l’esattezza, al netto delle funzioni trasferite: continuità territoriale, trasporto pubblico locale, sanità. Il tutto, nero su bianco, è legge costituzionale, parte integrante dello Statuto Speciale di Autonomia all’articolo 8.

Peccato che quella conquista storica, con i trasferimenti che dovevano andare a regime nel 2010, sia stata contrastata dal Governo Berlusconi, con la complicità del Presidente Cappellacci, attraverso una politica dilatoria che ha prodotto norme di attuazione non necessarie (come recentemente ha affermato anche la Corte dei Conti) e passaggi lunghissimi nell’apposita commissione paritetica.

Risultato: zero risorse per i sardi che invece dovranno pagare da maggio la continuità territoriale, alla faccia della specialità. Non solo, ma i vincoli del patto di stabilità non consentirebbero comunque di spendere le risorse aggiuntive: Cappellacci non ne ha ottenuto la revisione. I fondi Fas destinati al riequilibrio fra le regioni d’Italia non sono arrivati e l’attuale giunta regionale non è andata oltre la rimodulazione del programma attuativo: oltre due miliardi mai pervenuti nell’isola per risolvere i principali nodi strutturali.

I parlamentari sardi del centrodestra che potevano, per la prima volta nella storia, essere determinati nell’accordare o meno la fiducia a un governo nazionale, nello specifico quello di Berlusconi, hanno votato positivamente tutte le finanziarie e gli assestamenti, comprese quelle che non vedevano riconosciute le risorse dovute alla Sardegna.

La Giunta Cappellacci ha dilatato i tempi anche per proporre i ricorsi dovuti per la mancata leale collaborazione. Non una riforma è stata varata: la legge statutaria, per esempio, potevamo approvarla in questi tre anni senza alcun rapporto pattizio con lo Stato, per disciplinare la forma di governo, i rapporti con il sistema delle autonomie e la partecipazione dei cittadini. Un ordine del giorno unitario, sottoscritto da tutti i partiti nel novembre 2010, dava al Consiglio regionale una tabella di marcia ben precisa: nuovo patto costituzionale con lo Stato, anche attraverso la elezione di un’assemblea elettiva con funzione costituente, legge elettorale, legge statutaria, legge di organizzazione della regione.

E’ colpa dello Stato se la maggioranza di Ugo Cappellacci non ha neanche dato vita a una riforma? La riforma della sanità, per esempio, non è mai pervenuta nei banchi del Consiglio; eppure, tra i primi atti di Cappellacci c’è stata proprio la sostituzione dei vecchi direttori generali con commissari amici che dovevano proporre la riforma del servizio sanitario regionale. Il deficit è aumentato, insieme alle liste d’attesa.

E’ crollato l’apparato industriale, senza un briciolo di proposta del governo regionale sulle prospettive di sviluppo alternativo. Perfino l’insularità, nelle sette schede prodotte dalla Regione e allegate al decreto del Governo che istituisce i tavoli sulla vertenza Sardegna, dovrebbe essere “riconosciuta” dallo Stato.

Mai la nostra Isola è stata rappresentata così debolmente.

Può allora il Presidente Cappellacci dare un parere positivo, come è stato fatto qualche giorno fa, su una mozione che tende a verificare l’opportunità della permanenza della Sardegna nella Repubblica Italiana? Può farlo senza essere accusato, come noi abbiamo fatto, di voler mascherare la propria incapacità politica e sviare l’attenzione verso un tema così delicato per la nostra Isola?

Direi di no. Perché di sovranità diffusa, di autodeterminazione, di essere davvero alla pari con lo Stato, in un rapporto di profonda interdipendenza, c’è davvero bisogno. C’è bi
sogno di un nuovo patto con lo Stato che  garantisca i nostri diritti più profondi, che ci renda uguali agli altri cittadini italiani nei trasporti, nella scuola, nella sanità, nella reciprocità politica, nello sviluppo economico.

Abbiamo subito in questi anni, senza esserne stati protagonisti – come avremmo invece meritato – la fase di revisione in senso federale dello Stato. La Sardegna, nell’era Cappellacci è rimasta senza voce.

Perfino la bandiera sardista è stata consegnata in campagna elettorale ai vertici romani.

Personalmente, non credo che la risposta sia la secessione, credo invece, come segno dei tempi, nell’interdipendenza, nell’ambito della Repubblica e della sua Costituzione. Mi sento profondamente sardo e profondamente italiano. E comunque, prima di parlare di secessione, è bene che quella bandiera ritorni nell’Isola.

Cordiali saluti

Mario Bruno (Pd)

Vice Presidente del Consiglio Regionale della Sardegna

 

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • luca |

    Caro dott. Galullo Indipendenza non significa isolarsi, questa è una idea vecchia che i centralisti vogliono diffondere ogni volta che si parla di autodeterminazioni delle nazioni senza stato, quale è la Sardegna. Indipendenza significa affrontare le nuove sfide decidendo il proprio futuro secondo le proprie capacità, i propri bisogni senza andare con il cappello in mano dal governante di turno. Indipendenza significa aprirsi all’Europa, al mondo da Stato libero, Indipendenza non significa odiare L’Italia, anzi, significa instaurare nuovi rapporti ma da pari e non da colonia e colonizzatore.Gli indipendentisti non possono tagliare il cordone ombelicale con la madre patria perchè l’Italia non è la nostra patria, ma la conseguenza di un’unità strategica e politica che nulla ha a che fare con la volontà del popolo sardo.é normale che in Sardegna tanti si sentano italiani a seguito di una colonizzazione culturale, mediatica, economica, ma i Sardi esistevano ancora prima con la loro cultura, lingua, strutture sociali e solo studiando la storia si capirà che mai siamo stati italiani e lotteremo per non esserlo definitivamente. Adiosu.

  • mirko |

    Bravissimo Onorevole Bruno.

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