San Marino è uno di quegli Stati di cui non avrete mai sentito parlare, fino a pochi anni fa, se non per la sua bellezza, per gli acquisti agevolati e (forse) per il fatto che si picca di essere la più antica Repubblica del pianeta dopo quella romana.
Bene. Per iniziativa di due pazzi – chi vi scrive e il collega Davide Oddone dell’Informazione – San Marino, in Italia e all’interno dei propri confini, dal 2008 ha cominciato ad essere conosciuto al volgo del globo terracqueo non solo per essere un paradiso fiscale (questo la stampa lo aveva già raccontato almeno dagli anni Novanta) ma soprattutto per essere un covo di allegra finanza mafiosa. Oh già, perché la mafia è “finanza, finanza e finanza” come ribadirà un’affascinante imprenditrice ennese, Marina Taglialavore, in un’inchiesta che pubblicherò prossimamente sul Sole-24 Ore.
Nei forzieri di alcune banche e di alcune finanziarie sammarinesi, anche grazie a straordinarie triangolazioni con analoghe strutture di credito in Italia – questo lo raccontò già al sottoscritto il pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti nel mio primo libro “Economia criminale -Storie di capitali sporchi e società inquinate” – dagli anni Novanta entravano e uscivano dai retrobottega delle banche, Tir di soldi mafiosi da riciclare. Soldi sporchi che non hanno però lordato carriere e proscenio di una parte della classe dirigente e politica sammarinese.
Non parlo di me, nonostante i continui attacchi portati anche recentemente dal governo sammarinese che, come sempre, ho gradito perché mi permettono non solo di smentirli con fatti inoppugnabili e di confermare tutto quanto ho già scritto ma di aggiungere sempre nuove notizie che testimoniano il ruolo di forziere mafioso della parte marcia della Serenissima. Parlo del collega Oddone, bravo e coraggioso.
Hanno tentato di zittirlo in ogni modo (comprese minacce di morte e questo, attenzione, accade nel cuore del centro-nord, non a Scampia o a Cirò) ma il modo più utilizzato – grazie ad una prodigiosa legge bavaglio voluta, votata e difesa dal centrosinistra che ha così dimostrato, ancora una volta, di essere uguale in tutto e per tutto al centrodestra – è fare in modo che né lui né il suo giornale pubblichino notizie scomode. Del resto – in Italia come a San Marino e in tutto il mondo – il giornalista deve essere il cane da guardia del potere: sì, però, con il vicino. Da casa mia, fora di bal come direbbe Sua Canottiera Sudata Umberto Bossi.
Accade che il bravo e coraggioso (lo ripeto) collega David Oddone, nei giorni 8, 9, 10 e 11 agosto 2011 anziché pensare al mare di Rimini e alla gnocca che vorticosamente gira a Riccione, abbia pensato bene di scavare in vicende dolorose per quel Paese che, lui italiano, lo ospita (indesiteratamente) come professionista.
Non ha neppure importanza che io racconti di cosa abbia scritto (vicende di finanza e ‘ndrangheta comunque, di cui, io stesso, in quel periodo e per le stesse vicende ho abbondantemente scritto).
Ciò che conta è che il Tribunale commissariale civile e penale della Repubblica di San Marino, il 12 gennaio gli abbia notificato che 16 dipendenti di un Istituto di credito (il quale, personalmente, mi auguro che sia totalmente estraneo a ogni seppur lontana ipotesi di coinvolgimento in azioni delittuose e, comunque, non sta ai giornalisti giudicare) lo hanno querelato per la pubblicazione di atti coperti da segreto istruttorio.
Riflettete con me: la querela non è stata presentata per una presunta diffamazione ma per il solo fatto di avere dato notizia di fatti. Fare informazione: dunque è questo il reato. Anzi il “misfatto” come scrive aulicamente il commissario della legge Manlio Marsili.
Trovo questo fatto aberrante anche se so che è il sogno di tutta la politica e la classe dirigente di ogni Paese: imbavagliare il giornalismo alla fonte, prosciugando le fonti.
Per il giornalista e la testata – che rischiano una sanzione di 12mila euro – sarebbe un colpo tremendo ma – anche qui – vi invito a riflettere sul fatto che ogni voce che si spegne o rischia di spegnersi nell’informazione è una voce della democrazia che muore.
Capisco – come scrive anche oggi Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – che la querela, in sede civile e penale, sia diventato ormai uno sport praticato, in tutto il mondo, per intimorire i giornalisti, ma quello che non capisco è come si possa contestare non una notizia ma il semplice fatto di averla trovata e pubblicata. Anziché – per termine di paragone – preoccuparsi del tumore, ci si preoccupa di dare la caccia al bravo dottore che l’ha diagnosticato.
Spero che l’illuminata classe politica e dirigente sammarinese sappia riflettere su questa vicenda che – come la stessa casa editrice del quotidiano racconta – indipendentemente da come finirà, sarà portata a conoscenza dei più alti consessi di democrazia di questo dannato pianeta nel quale il problema non sono le mani criminali ma le mani dei giornalisti.
Ti abbraccio David e colleghi tutti dell’Informazione
r.galullo@ilsole24ore.com