Why not: da quanto tempo non ne sentivamo parlare? Beh in questo umile e umido blog ne ho trattato anche recentemente (si vedano da ultimo i post del 30 settembre 2011 e del 9 novembre 2010) ma nell’immaginario collettivo, soprattutto per colpa di una certa pubblicistica ammazza pm e schierata viscerlamente a destra, l’inchiesta – scatenata dalla fervida frenesia di Giginiello ‘o sciantoso, al secolo Luigi De Magistris – si sarebbe risolta in un nulla di fatto. Un flop clamoroso. Un disastro. Uno sperpero di denaro pubblico. Un teorema. Tra mille difficoltà e porcherie quell'indagine, sminuzzata tra più filoni, cammina e porta frutti (certo non la messe copiosa che prometteva Giginiello re di Napoli).
Chi legge questo blog (che, appunto, aggiorna sugli sviluppi e che negli anni precedenti ha dato conto minuziosamente delle mosse sullo scacchiere) sa come la penso. Quella di Giginiello ‘o sciantoso è stata l’unica indagine che negli ultimi 10 anni in Calabria ha puntato (davvero ma con enormi limiti) dritto al cuore della zona grigia che infesta questa regione. Prima di lui le indagini sulla zona grigia si debbono (in buona parte) ai tre muchachos maldidos: Alberto Cisterna, Roberto Pennisi e Enzo Macrì, non a caso oggi nel mirino del vendicatore-giustiziere Nino-nano Lo Giudice, il pentito più veloce della Calabristan. Il “pistolero” Lo Giudice è solo un utile schermo. Dietro c’è la cupola mafiosa che preferirebbe perdere una gamba piuttosto che vedere uno dei tre muchachos tornare a Reggio per buttare all’aria la pax politico-mafioso-istituzionale raggiunta negli anni con tanti sacrifici! E che si buttano all’aria così i sacrifici e gli investimenti politico-istituzionali di una vita? Suvvia! Bisogna rispettare le persone oneste che delinquono!
Giginiello ‘o sciantoso scrivevo. Bene, nel suo delirio di onnipotenza – supportato anche da una minima parte della società civile calabrese che quando si muove fa più danni di un elefante in una cristalleria – si è attizzato come un diciottenne in calore, ha gettato le reti e ha tirato su di tutto: parlamentari, ex parlamentari, politici locali, ex politici, dirigenti regionali, mezze calzette, professionisti, imprenditori, ex piduisti, preti, mezzi preti, uomini dei servizi, uomini d’affari, e chi più ne ha più ne metta. In mezzo alle maglie – seppur larghe di quella rete – ha maledettamente pescato anche un numero enorme di grembiulini, compassi, cappucci e tessere dei poteri forti che si sono ricompattati e hanno elevato uno scudo tale da mandare a gambe all’aria in un men che non si dica il povero Giginiello.
Solo una cosa non ha pescato ‘o sciantoso e non ci si è imbattuto neppure per sbaglio: il potere delle cosche. E questo la deve dire lunga su una indagine che alla ‘ndrangheta piaceva da pazzi: Why Not spezzava quel legame innaturale e perverso che si era venuto a creare tra società di intermediazione del lavoro e la politica. Ma come osa questo prode Saladino* (Antonio) rompere quel legame atavico e ancestrale che qui avvinghia le cosche alla politica marcia calabrese? Come si permette l’impavido Saladino* di interrompere la catena voto-lavoro che da sempre lega le cosche alla politica marcia di questa regione marcia?
Vada dunque avanti Giginiello che a noi (cosche calabresi) ce viè da ride!Che tu riesca nel tuo intento o che ti fermino, caro capopopolo napoletano atterrato in terra di Calabria, in ogni caso tutto ritornerà come prima. Anzi. Meglio di prima: i politici verranno a noi come anime in pena e imploreranno i nostri voti. Darli loro è cosa buona e giusta ma che non vi venga mai più in testa, scellerati politicanti, di cercare altro ufficio di collocamento al di fuori della ‘ndrangheta, signora dea vostra.
Ma quella maleodorante cupola che Giginiello ‘o sciantoso cercava di scoperchiare esiste. Oh se esiste! Solo che non poteva essere lui a tirare le fila. Non ci riuscì, prima di lui, un tipo tostissimo come Agostino Cordova a Palmi, successivamente annichilito e massacrato, figuriamoci se ci sarebbe riuscito Giginiello!
Tra ricorsi, contro ricorsi, ispezioni, contro ispezioni, ricusazioni, memoriali, denunce, controdenunce, sdoppiamenti di indagini, nuove assegnazioni, rinvi e ogni altra diavoleria che il nostro codice di procedura penale consente, i filoni generati dalla casa madre Why Not sono andati avanti e, appena la scorsa settimana, la Corte d’appello di Catanzaro ha emesso la sentenza del processo d’appello Why Not. Lo sapevate? Se vivete in Calabria sì ma fuori dai confini calabri? Non credo proprio. Eppure quell'indagine appassionò gli italiani più delle cosce di Belen o del culetto tosto tosto di Gabriel Garko. Persino Sancta Santoro – che ben si tiene come tutti i media nazionali alla larga da inchieste su grembiuli e compassi – ne fece un cavallo di battaglia muscolosissimo.
Ebbene, il dispositivo della sentenza prevede per l’ex presidente della Regione Calabria Loiero Agazio* la condanna* a un anno di reclusione per abuso d’ufficio. Condannato* anche il suo capo di gabinetto Nicola Durante* nell’appalto sul censimento del patrimonio immobiliare della Regione. I giudici, riconoscendo le attenuanti generiche, li hanno condannati a un anno oltre alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. La condanna, comunque, è stata sospesa.
Peggio è andata ad Antonio Saladino* condannato a 3 anni e 10 mesi di reclusione (in primo grado gli erano stati inflitti 2 anni). L’ex leader calabrese della Compagnia delle opere è stato ritenuto colpevole di associazione per delinquere (ipotesi da cui era stato assolto in primo grado) insieme a Giuseppe Antonio Maria Lillo*, condannato a due anni (in primo grado aveva avuto 1 anno e 10 mesi). Per Saladino* è stata disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione legale per la durata della pena. Inoltre gli è stato revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
È stata diminuita di un mese la condanna per Antonio La Chimia* che dovrà quindi scontare un anno e 9 mesi. Per l’ex presidente della giunta calabrese Giuseppe Chiaravalloti* è intervenuta santa-prescrizione per il capo d’accusa relativo al progetto “Ipnosi” (i sostituti procuratori Massimo Lia ed Eugenio Facciolla avevano chiesto una condanna a un anno e 6 mesi). Assolti Pietro Macrì e Vincenzo Morabito che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a 9 mesi e a 6 mesi. Confermate le condanne in primo grado nei confronti di Francesco Saladino* (4 mesi) e Rinaldo Scopelliti* (1 anno). Assolti anche in appello l’ex assessore regionale Gianfranco Luzzo, Tommaso Loiero (fratello di) , Franco Nicola Cumino, Pasquale Anastasi, Giuseppe Fragomeni ed Enza Bruno Bossio (si veda per tutti nota a piè di articolo aggiornato il 4 ottobre 2013).
«L'impianto accusatorio è stato confermato. Siamo pienamen
te soddisfatti per la sentenza, anche perché è stato riconosciuto il reato associativo per alcuni degli imputati, così come avevamo chiesto nel nostro appello. I giudici hanno aggiunto altre condanne a quelle di primo grado e questo riteniamo che dimostri come la tesi dell'accusa è stata sostanzialmente accolta»: il sostituto procuratore generale Massimo Lia, ha commentato così il dispositivo della sentenza.
DI GRAN CARRIERA
La solita premessa è d’obbligo: le sentenze vanno rispettate e nessuno è colpevole fino a che la stessa sentenza non è passata in giudicato (suppongo che in questo caso ci sarà chi farà ricorso in Cassazione ma sarà dura alla luce di condanne in appello*).
Fatta questa doverosa premessa, vediamo a che punto sono le carriere dei tre principali condannati dal Tribunale di Catanzaro*.
L'ex governatore e attuale consigliere regionale Agazio Loiero davanti alla sentenza si è detto «davvero esterrefatto». Non solo: pur rispettando la sentenza e dichiarando di non aver mai compiuto un solo atto illegittimo, ha urlato che «la verità è che siamo in presenza di un’inchiesta nella quale si è assistito ad uno scontro mai visto tra Procure…Mi chiedo se alla fine un cittadino possa davvero sentirsi comunque appagato da un verdetto, specie se di condanna, o piuttosto non sia vittima di un contesto di scontro giudiziario che spaventa i cittadini inermi». Io veramente ne ho viste di peggiori e lui, che in Calabria c’è nato, cresciuto e pasciuto, dovrebbe ricordarne parecchie di battaglie tra magistrati. E se vogliamo rimanere al presente c’è n’è una in corso drammatica.
Loiero Agazio*, dopo aver perso la riconferma a candidato Governatore per il centro-sinistra (unico caso nella recente storia e un perché ci sarà), sentitosi abbandonato da quella coalizione che comunque lo ha portato in consiglio, oggi (dopo essere passato da Dc, Ccd, Udr, Margherita, Pdm, che ha fondato) è in “Autonomia e diritti” ed è coordinatore nazionale dell’Mpa. Insomma è lanciatissimo. Mi domando se l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, pur in presenza della sospensione della pena, valga. In caso affermativo dovrebbe lasciare il consiglio. Sono certo che un atto di generosità non mancherà. O no?
E Nicola Durante* direte voi? Chi è costui?
Per tener fede al cognome, prima, “durante” e dopo l’iter processuale, ha mantenuto – unico tra i gran commis regionali – un profilo altissimo, purissimo, levissimo. E soprattutto, inchiodatissimo alla poltrona: è stato l’unico a non essere rimosso con lo spoyl sistem al sapor di soppressata. Un motivo, anche qui, ci sarà. Prima di essere ingaggiato da Ciccio Peppe Scopelliti, costui è stato infatti vicino-vicino al Governatore Loiero Agazio*, del quale è stato capo dell’ufficio legislativo. Talmente vicino da perdersi con lui in un reato – Corte d’appello di Catanzaro dixit – che trovo personalmente odioso e tremendamente sottovalutato nella gerarchia dei reati: l’abuso d’ufficio che, ricordo per gli ignoranti quale io sono, è dipinto così dal codice penale: “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazioni di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. (si veda nota a piè di articolo)
Non è ovviamente questo il caso ma sapeste quante volte ho sentito dire agli amministratori e alla classe dirigente: “Eh, capirai, ma chi oggi non viene indagato per abuso d’ufficio quando si trova alle prese con l’amministrazione della cosa pubblica!!”.
Fatto sta che Durante* da poche settimane è (sulla carta) segretario generale del consiglio regionale. Non dimentichiamo che Durante* è (stato) consigliere del Tar Calabria. Nicola Lopez, che fino al 31 dicembre scorso aveva ricoperto l’incarico oggi affidato a Durante*, è diventato direttore generale.
Insomma le poltrone sono magicamente raddoppiate e Durante* ne ha occupata una e suppongo che non essendo la condanna passata in giudicato ed essendo stata sospesa la pena, rimarrà al suo posto. Però…Però non ha ancora preso servizio e allora provo a immaginare che (anche) lui compia un gesto nobile e non si presenti a occupare la poltrona per non scatenare ulteriori polemiche. O no?
E il prode Saladino*, per il quale provo una simpatia viscerale (so che la ricambia) e che mi convinco sempre di più che è stato stritolato proprio nel momento in cui ha pensato di essere diventato più importante del Papa?
Beh Saladino* continua a fare l’imprenditore – con “I Can srl” – tra Lamezia Terme e Milano. E’ tornato ai suoi antichi amori, come quando fondò la Silagum: i dolci. Perchè no (why not)?
PER DOVERE DI CRONACA, ETICA E DI CORRETTEZZA PROFESSIONALE AGGIORNO IL PEZZO (E IL TITOLO) CON DEGLI ASTERISCHI CHE RIMANDANO AL PEZZO IN CALCE. TITOLO E PEZZO VANNO DUNQUE LETTi E INTEGRATI ALLA LUCE DELLA DECISIONE DELLA CASSAZIONE DEL 3 OTTOBRE 2013 CHE SMONTA TUTTE LE ACCUSE
TUTTI ASSOLTI
TRATTO DA WWW.CORRIEREDELLACALABRIA.IT DEL 3 OTTOBRE 20I3
La Cassazione ha assolto stasera dall'accusa di abuso d'ufficio gli ex presidenti della Regione Calabria Agazio Loiero del centrosinistra e Giuseppe Chiaravalloti del centrodestra nell'ambito del filone principale del processo "Why not"
del quale ben poco è rimasto in piedi dopo questo verdetto. L'indagine nata nel 2006 e condotta dall'allora pm Luigi De Magistris oggi sindaco di Napoli portò alla caduta del secondo governo di Romano Prodi.
In particolare la Sesta sezione penale della Cassazione – discostandosi dalle richieste della Procura che aveva chiesto la conferma del verdetto della Corte di Appello di Catanzaro del 27 gennaio 2012 – ha annullato del tutto la condanna a un anno di reclusione per Loiero (assolto in primo grado) e il suo braccio destro Nicola Durante con la formula "per non aver commesso il fatto". Per quanto riguarda Chiaravalloti (assolto in primo grado), i supremi giudici hanno annullato senza rinvio la prescrizione pronunciata in appello quando la Procura per lui aveva chiesto la condanna a un anno e sei mesi.
Per la Cassazione era "inammissibile" l'appello proposto dal pm contro l'assoluzione di Chiaravalloti. Per quanto riguarda Antonio Saladino, imprenditore ed ex presidente della Compagnia delle opere della Calabria, la Cassazione ha disposto, anche nei confronti di Giuseppe Lillo, l'annullamento con rinvio della condanna per associazione a delinquere e l'annullamento senza rinvio in relazione ad alcuni capi d'accusa dichiarati estinti per prescrizione. Saladino e Lillo avevano le condanne più pesanti, rispettivamente tre anni e dieci mesi, e due anni. La Cassazione, inoltre, ha assolto Francesco Saladino con la formula "perché il fatto non sussiste", in appello gli erano stati inflitti 4 mesi di reclusione. Per Antonio La Chinia i supremi giudici hanno dichiarato l'annullamento senza rinvio per non aver commesso il fatto in relazione a un capo di imputazione (il numero 6), e hanno rinviato per la rideterminazione della pena in relazione ai capi 3, 7 e 6. Nel resto il suo ricorso è stato rigettato, quindi una parte della condanna (pari a un anno e 9 mesi) è stata confermata ma è da ricalcolare nell'entità. Con riferimento alla condanna a un anno per Rinaldo Scopelliti, la Cassazione l'ha confermata disponendo solo l'esclusione dal verdetto di primo grado dell'accusa di peculato
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