Esclusivo/3 Memoriale del pentito di ‘ndrangheta Di Dieco: il pm Mollace e la faccia persa dalla cosca Lo Giudice

Cari lettori da alcuni giorni vi sto raccontando il mini-memoriale spedito a Roma (Dna) e Reggio Calabria (Dda) a luglio 2011 dal pentito Antonio Di Dieco. Nel suo memoriale raccoglie le confidenze fattegli nel carcere di Rebibbia da Nino Lo Giudice. Sappiamo (si veda il post in archivio di martedì 17 gennaio) che la Procura sta indagando Di Dieco per calunnia nei confronti di Lo Giudice. In altre parole, non crede alle parole Di Dieco e al suo memoriale, par di capire. In tutto? In parte? Non lo so ma presto lo sapremo.

Intanto vi racconto come Di Dieco – attraverso la ricostruzione che gli avrebbe fatto per filo e per segno Nino Lo Giudice – ricostruisce il “peccato originale” che avrebbe scatenato l’inferno della trimurti delle cosche reggine contro il pm antimafia Alberto Cisterna e altri pm antimafia, tra i quali Enzo Macrì e Roberto Pennisi.

Il peccato originale ha un nome e un cognome: Franco Mollace, procuratore regionale aggiunto e per molti anni in Dda a Reggio. Sarebbe stato gettato anche lui nel fango, “ingiustamente accusato”, scrive testualmente Di Dieco, “per motivi di vendetta e rancori personali, per aver convinto, insieme ai magistrati Pennisi e Macrì, il fratello minore, Maurizio, a collaborare le autorità giudiziarie agli inizi degli anni Duemila, creando così, nella cosca Lo Giudice, una macchia d’onore non semplice da ripulire che ne condizionò notevolmente l’ascesa criminale verso i vertici della cupola provinciale della ‘ndrangheta reggina della cosca Lo Giudice. Rancori ed astio ancora oggi esistenti, visto che quando io lo stuzzicai dicendogli che nelle riunione tenutesi nel ’99, 2000 e 2011 in contrada Bosco di Rosarno per la spartizione delle estorsioni sulla Salerno-Reggio Calabria e per gli accordi sul Ponte sullo Stretto i Lo Giudice non furono presenti ma da Reggio Calabria vennero in rappresentanza di tutti i locali di ‘ndrangheta di Reggio Città le famiglie Labate e i Latella. Nino Lo Giudice mi rispose con disprezzo che tutti i Lo Giudice non si sono (erano) dimenticati del danno causato dal dottor Mollace e che, a breve, i conti si sarebbero saldati, dicendomi che anche il dottor Mollace sarebbe stato accusato nel complotto nazionale, insieme ai colleghi”.

Dunque si scrive Lo Giudice Nino (colui il quale sta raccontando tutto e di più, anche se smentito non solo dal cugino Consolato Villani ma anche dall’altro pentito Marco Marino e non ritenuto attendibile – non dimentichiamolo mai – dalla stessa Procura generale di Reggio che pur respingendo la richiesta di altra sede giudiziaria avanzata da Alberto Cisterna, ha detto chiaro e tondo che le dichiarazioni del “nano” valevano quel che valevano) ma si legge trimurti delle cosche reggine. E’ delle cosche Condello, De Stefano e Libri – ne sono personalmente convinto – la regia del complotto nazionale anche se ovviamente non ho le prove. E temo che non le avrà mai nessuno. La vendetta dei Lo Giudice diventa – secondo il filo logico del memoriale Di Dieco ma, ripeto, credo che sarà difficile tirarne fuori le mani – una vendetta a uso e consumo della trimurti che soffoca Reggio, la Calabria e ampie parti d’Italia. La trimurti per togliersi per sempre di mezzo quel magistrato e con lui i muchachos Macrì e Pennisi sarebbe disposta a tutto.

Lo Giudice si lascia (si sarebbe lasciato) andare, secondo quanto si legge nel memoriale ad altre confidenze. Lo Giudice non avrebbe mai avuto rapporti diretti con Pasquale Condello e Pasquale Tegano ma con il nipote e il genero, al fine di girare le informazioni utili per la cattura del “Supremo” alle autorità giudiziarie. Un moto di bontà? Macchè: per togliersi di mezzo colui il quale, con i Tegano e i De Stefano, “aveva supremazia e considerazione totale”.

Confidò (con il solito e obbligatorio condizionale) anche che il bazooka fatto trovare sotto il materasso nei pressi del Cedir era scarico perché “tale Cortese lo aveva provato in contrada Sambetello o Fiumara di Muro, sparando l’unico colpo in dotazione”. Confidò ancora che i debiti con le banche accesi per le attività commerciali della famiglia Lo Giudice erano state accesi appositamente, per dimostrate che non esisteva riciclaggio ma solo linee di credito bancarie regolari.

Ma soprattutto Nino Lo Giudice avrebbe rivelato i prossimi bersagli da colpire. Volete saper chi sono? Leggetemi a ore.

r.galullo@ilsole24ore.com

3 – to be continued (le prime due puntate sono state pubblicate il 23 e il 24 gennaio)

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