Reggio Calabria: di ritorno da una città dove chi indaga ha paura di essere ripreso, seguito e intercettato

Sono di ritorno da una full immersion a Reggio Calabria. Ogni volta che vado cerco di mantenere il più assoluto riserbo ma ora più che mai Reggio Calabria ha occhi e orecchie dappertutto.

Prendiamo gli uffici giudiziari della Procura e della Procura generale. Li frequento da anni e so che anche le mura hanno occhi e orecchie. Mai mi sarei aspettato, però, di trovarmi di fronte a persone che, lungo il percorso esterno ed interno, mi pregavano, a segni, di tacere. “Qui leggono anche i labiali attraverso le telecamere” mi intima una persona che tra l’altro conosco per la prima volta nella mia vita, incredibilmente girata per dare le spalle alle riprese video. “Ci sono microspie dove neppure immagineresti” mi dice un altro. “Sali in questa macchina che l’ho bonificata personalmente” mi dice un terzo. “Embè” risponderò a tutti, anche perché non so e non mi interessa sapere la quota parte di leggenda che fa comodo alimentare.

Di fatto – però – in questo clima percepito da Stato di polizia, sono stato costretto a incontrare molte persone fuori dai luoghi in cui avrei voluto incontrarli. Sono un giornalista da strada (e non “di” strada come molti) e mi piace annusare, vedere, respirare i luoghi che appartengono alle storie che racconto. Quando non posso farlo è un violenza alla mia professionalità oltre che una spia che qualcosa, in questa democrazia, non funziona. Sei hai paura di incontrare un giornalista siamo alla frutta. Accade in Cecenia e qualche altro Stato. Forse.

Io faccio il mio mestiere fatto di incontri e racconti trasparenti come acqua sorgiva. Il resto appartiene a chi ha la coscienza sporca. La prossima volta farò ciao ciao con la manina alle telecamere o sparerò un “buon ascolto maresciallo!”. Questa volta chi vorrà gustarsi le riprese o i racconti dovrà accontentarsi di vedere o sentire a volte un giornalista sfiancato dai ritmi di lavoro, altre graziato dai raggi di sole di una Reggio illuminata.

Nessuno sa più a Reggio quante siano gli occhi e le orecchie, che si alimentano non solo di intercettazioni telefoniche e ambientali e ordinarie ma anche di intercettazioni antimafia preventive. C’è chi dice tante. C’è chi dice tantissime. C’è chi mi fa un numero: 200. C’è chi non si spiega il motivo di queste intercettazioni preventive e c’è chi non sa se siano “antimafia” o “antialtro”.

Ma prendiamo anche le forze investigative. Dire che l’ho trovate inquiete è un eufemismo. La Squadra mobile avrebbe 32 uomini (circa il 30% della forza attuale) pronta a sollecitare o promuovere domanda di trasferimento. Molti li ha già persi per strada, senza contare che la Squadra mobile è alle prese con incontri – di cui si attende di conoscere il giudizio – in quel del carcere di Santa Maria Capua Vetere e con un’informativa sul caso Fortugno del quale persino la Commissione parlamentare si sta occupando. E il fatto che la Procura ora comunichi che il boss don Mico Libri il 13 ottobre 2006 intercettato in quel di Prato in realtà non si stesse interessando di quell’omicidio eccellente non chiuderà certo la partita. Solo i tordi o gli storditi possono credere che il vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno sia stato ucciso per mandato di un caposala.

E la Direzione investigativa antimafia? Un suo uomo – il capitano Saverio Spadaro Tracuzzi che è accusato di mille e datati misfatti di cui nella Reggio “occhiuta e orecchiuta” nessuno si era mai accorto prima di un anno fa – è nel carcere militare di  Santa Maria Capua Vetere da dove (anche lui) frantuma il castello di accuse contro il numero due della Procura nazionale antimafia Alberto Cisterna.

La Dia ha un nuovo capo centro da settembre, ha metà degli organici scoperti e ha appena visto il trasferimento, sembra ordinato da Roma, di due uomini che da tempo operavano in città. Perché? C’è chi giura per rivoluzionare il corso statico della storia recente e c’è chi giura per punire – in un caso – chi voleva ficcare il naso in storie che dovevano restare solo storie.

Di certo una cosa so: troppi calabresi (di nascita o di antica stanza) nella Dia reggina. E questo è un lusso che Reggio non può permettersi. Ma non se lo può permettere nessuna Direzione investigativa antimafia del Sud: per quel che mi riguarda vieterei agli indigeni di prestare servizio in casa. Fuori e da fuori: questo deve essere il criterio di ingresso nelle Direzioni investigative antimafia ammesso e concesso che abbiano un futuro visto che il Governo ha deciso di tagliare le indennità e lo Stato ha deciso da anni di bloccare le assunzioni, non dare attuazione piena ad un organismo lasciato in mezzo al guado e non svolgere più concorsi.

E i Ros dei Carabinieri? Guai a nominare il nome del vecchio capo, il colonnello Valerio Giardina, passato (o fatto passare) a miglior (o a inoffensiva) vita professionale. Anche solo chiedere di incontrarlo – mi consigliano in molti – equivale a un reato di lesa maestà nei confronti di chi (attualmente) conta perché appare. Anche se vale zero. Colonnello Giardina questa volta non ho avuto il tempo di cercarla ma giuro che la prossima volta la contatto. Io sono un uomo libero di incontrare chi vuole e non chi mi chiedono di incontrare o evitare. Lei?

E prendiamo i magistrati. L’un contro l’altro armati in una lotta senza esclusione di colpi. La sapete l’ultima? Un magistrato di lunghissimo corso, per interposta persona, è stato diffidato, pochi giorni fa, dal continuare a fare domande in aula ad un pentito con il quale cerca di approfondire la chiave politico-mafiosa. Eh già: forzare quella toppa può significare infrangere i patti. Vecchi e nuovi.

E nuovissimi. Talmente nuovi che puzzano di vecchio. Indovinate infatti cosa si affaccia con forza negli sviluppi di alcune indagini della Procura sui rapporti tra ‘ndrangheta e politica? Il ruolo della massoneria. Ma va là che sorpresa….

A domani. Ne leggerete ancora di belle, ma anche di “balle” e di “bolle”.

P.S. Nuntio vobis gaudium magnum che il 15 novembre 2011 nelle edicole di tutta Italia, in allegato al quotidiano il Sole-24 Ore, al prezzo di 12,90 euro, uscirà il mio nuovo libro “VICINI DI MAFIA – Storie di società ed economie criminali della porta accanto”. Richiedetelo agli edicolanti e acquistatelo e fate girare la voce: la parola scritta è quel che più temono le mafie!

p.p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.08 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

  • Antonio |

    Sugli indigeni non sono d’accordo con Galullo. Potrei spiegargli la ragione. Cattura Morabito, Barbaro, Bellocco, ecc.ecc. senza indigeni non sarebbero avvenute.

  • Paola |

    Mi chiedo..ma tutte queste microspie ed intercettazioni, sempre se risponde al vero che sn presenti in ogni dove a RC ed in numero rilevante, come mai non sn ancora servite x spazzare via la ‘ndrangheta? Non sarebbe meglio x magistratura e forze dell’Ordine “spiare” di meno o “spiare” in maniera più attenta e ragionare un po’ di più x collegare fatti, sospetti ed intercettazioni intellegibili? nn vorrei che il mio pensiero risultasse troppo semplicistico pero’ a volte la semplicità fa rima cn verità. Prendiamo ad es. Il caso del dott Cisterna, che nn conosco, ma vi pare che il n2 della DNA si mette a dialogare cn un mafioso? Se fosse vero sarebbe da tso a prescindere dal resto e nn mi sembra, da quello che leggo sui giornali che il detto magistrato sia pazzo. La soluzione più semplice e’ che il Logiudice fosse un suo informatore. Se si vogliono pescare i pesci grossi e’ normale avere informatori all’interno della malavita locale, nn sempre sn sufficienti le investigazioni..questo lo capisce persino un bambino. Magari mi sbaglio..x carità..conosco infatti solo i fatti pubblicati sui giornali e su questo blog pero’ in questo caso la soluzione più semplice potrebbe essere la più verosimile.

  • bartolo |

    forza galullo!!!
    le sono molto solidale … altro che aspromonte, luogo fantastico, magnifico e meraviglioso fatto passare negli anni quale habitat naturale della ndrangheta … il vero pericolo, a reggio calabria, è girare con le persone “sbagliate” per i corridoi delle procure e uffici tutti del tribunale.
    con stima e solidarietà
    bartolo iamonte

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