Su questo blog, sabato, ho toccato il tema della visita pastorale di Papa Benedetto XVI ieri a Lamezia Terme e Serra San Bruno (si veda post in archivio).
Nei miei auspici c’era l’aspettativa per un forte richiamo alla legalità in questa regione – visitata per la prima volta dal Pontefice tedesco – dove l’illegalità è la norma.
Auspicavo lo stesso forte richiamo che Papa Giovanni Paolo II, Carol Wojtyla, il 9 maggio ‘93 ad Agrigento, durante una visita pastorale in Sicilia, scagliò contro la mafia: "Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l'uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. […] Nel nome di Cristo […], mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!".
Dai giornali, il giorno dopo, venne raccontato come l’anatema contro Cosa nostra.
Ebbene mi sarei aspettato lo stesso dal Papa tedesco e ortodosso nel proteggere i valori fondanti della Chiesa: un’occasione – forse – più unica che rara in una città, Lamezia, che è l’essenza stessa della Calabria: capitale mancata dello sviluppo regionale, epicentro di una ‘ndrangheta violenta e di una politica tutta chiacchiere e distintivo, calamita della massoneria deviata e della Chiesa per lungo tempo distratta.
Che delusione! La parola legalità – nell’omelia – non una sola volta è stata pronunciata e dire che – a modesto avviso di un credente peccatore come chi scrive – doveva essere la parola chiave della stessa omelia. Perché la parola legalità è una parola che – nel Vangelo di tutti i giorni – in Calabria è (sarebbe) rivoluzionaria.
E invece nulla e il sospetto è che il discorso del Papa – come del resto è logico che sia – sia stato il compromesso di una serie di riflessioni alle quali la Chiesa locale (come è doveroso che sia) ha apportato il proprio contributo. Giusto ma c’è da chiedersi perché questa mediazione legittima e reale non abbia portato a evidenziare la parola legalità come architrave dell’omelia.
Il passaggio – sarebbe stato scandaloso il contrario – sulla mafia e sull’illegalità c’è stato. Eccolo: “So che anche a Lamezia Terme, come in tutta la Calabria, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni. Se osserviamo questa bella regione, riconosciamo in essa una terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terra, cioè, dove i problemi si presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza. All’emergenza, voi calabresi avete saputo rispondere con una prontezza e una disponibilità sorprendenti, con una straordinaria capacità di adattamento al disagio.
Sono certo che saprete superare le difficoltà di oggi per preparare un futuro migliore. Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi.
Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico, custodite l’abito nuziale dell’amore; perseverate nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione”.
Una terra “ferita” dalla criminalità. A parte il fatto che neppure il Papa pronuncia la parola ‘ndrangheta, come se fosse un tabù insuperabile o uno shock dialettico insopportabile, la Calabria viene definita una terra “ferita”.
Ferita? No Santo Padre. Piegata, martoriata, umiliata, dissacrata. Moribonda se non morta. Errabonda se non persa.
Questo avrei voluto sentir dire. Sì, con una forza insospettabile ma credibile, credibilissima in chi, come Lei, ha conosciuto il nazismo, che come tutte le violenze sorde, cieche e ingiustificabili regge – e come per Dio – il confronto con le mafie.
E poi “emergenza”. Emergenza? No Santo Padre. L’emergenza è uno stato – naturale o dell’anima – che ha un inizio e una fine. In Calabria è ormai quotidiana rassegnazione. Così si scuotono le coscienze dei cristiani e li si invitano alla ribellione? Con le parole “ferita” ed “emergenza”?
Stendo un velo di pietas cristiana, infine, sulla capacità del popolo calabrese “di rispondere con prontezza e disponibilità sorprendenti”.
E dire che la liturgia di domenica proponeva una parabola che parla di un banchetto di nozze a cui molti sono invitati. “La prima lettura, tratta dal libro di Isaia, prepara questo tema – ha detto Papa Ratzinger di fronte alla folla – perché parla del banchetto di Dio. È un’immagine – quella del banchetto – usata spesso nelle Scritture per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni del Signore, e lascia intuire qualcosa della festa di Dio con l’umanità, come descrive Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande… di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6). Il profeta aggiunge che l’intenzione di Dio è di porre fine alla tristezza e alla vergogna; vuole che tutti gli uomini vivano felici nell’amore verso di Lui e nella comunione reciproca; il suo progetto allora è di eliminare la morte per sempre, di asciugare le lacrime su ogni volto, di far scomparire la condizione disonorevole del suo popolo, come abbiamo ascoltato (vv. 7-8)”.
Ecco, Santo Padre, con il massimo rispetto, credo che lacrime e morte ancora a lungo scorreranno in Calabria e sull’Italia intera.
Un Papa dialetticamente più coraggioso – come quello che calpestò il verde violentato dall’uomo della Valle dei Templi 18 anni fa – aiuterebbe a fermare lacrime e morte. Cristo solo sa quanto aiuterebbe.
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