Giornali antimafia: “penne” minacciate da criminalità organizzata e sortite di politici e pm

Non si può certo dire che gli ultimi giorni siano stati tranquilli per i colleghi e per i media che denunciano gli affari sporchi della criminalità organizzata.

Secondo quanto ha scritto tre giorni fa Rosa Parchi su www.pignatoronews.myblog.it il giornalista di Pignataro Maggiore (Caserta) Enzo Palmesano (Corriere di Caserta) doveva essere ucciso. Il 30 settembre 2011 lo avrebbe detto il collaboratore di giustizia Giuseppe Pettrone, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel corso processo a carico di Francesco Cascella, accusato di violenza privata con l'aggravante camorristica. Davanti alla seconda sezione penale collegio C (presidente Maria Francica, giudici Elena Di Bartolomeo e Chiara Di Benedetto), rispondendo alle domande del pm della Dda di Napoli, Giovanni Conzo, il collaboratore di giustizia avrebbe affermato tra l'altro che il boss Pietro Ligatovoleva uccidere Enzo Palmesano” per i suoi articoli che “davano fastidio alla camorra” e in particolare al clan Lubrano-Ligato.

Per quanto riguarda la caccia all’uomo contro il giornalista Enzo Palmesano – scrive ancora sul sito Rosa Parchi – “nonostante Giuseppe Pettrone abbia riferito fatti già noti e peraltro cristallizzati nell'Operazione Caleno del 23 febbraio 2009 della Dda, con una serie impressionante di intercettazioni telefoniche e ambientali, nell'aula di udienza al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere stretta in una non usuale morsa di misure di sicurezza – si sono vissuti momenti da far venire i brividi. Giuseppe Pettrone ha confermato che l'ordine dei boss era perentorio: Fare il vuoto intorno al giornalista Enzo Palmesano, perché attaccava la camorra ed era un personaggio simbolo della lotta ai clan”. Una campagna camorristica di annientamento (ivi compresa la espressa volontà del boss Pietro Ligato di uccidere il giornalista) che non ha risparmiato nemmeno i familiari di Enzo Palmesano, colpevoli unicamente di essere appunto familiari. Io e Pietro Ligato – ha ricordato l'attuale collaboratore di giustizia – ci recammo da un imprenditore edile, che stava effettuando lavori in via Mannesi, a Pignataro Maggiore, e lo costringemmo a licenziare un figlio di Enzo Palmesano, Massimiliano. Non demmo alcuna spiegazione all'imprenditore, il figlio del giornalista doveva essere licenziato e basta. E naturalmente il figlio di Palmesano fu licenziato”. Caccia all'uomo, minacce. Pietro Ligato – ha aggiunto Pettrone – minacciò di morte Enzo Palmesano spedendogli una busta dall'ufficio postale di Vitulazio con un proiettile e un messaggio scritto con lettere ritagliate da un giornale. Pietro Ligato fu processato e assolto per quelle minacce, ma era stato davvero lui  a inviare la busta”.

Ovviamente sono tutte dichiarazioni di una sola parte, che dovranno trovare riscontri giudiziari. Altrimenti sono solo sparate (e dunque ancor più dannose).
Il 1° ottobre a Castellammare di Stabia l’episodio – l’unico a dire il vero riportato da numerose testate giornalistiche – ha riguardato l’intimidazione alla redazione del quotidiano Metropolis che aveva per primo dato la notizia del pentimento del presunto boss di camorra Salvatore Belviso. “Questo giornale non dovete venderlo, buttatelo nella spazzatura, distruggetelo ” ha poi aggiunto un gruppo di persone capitanate dai familiari di Belviso anche agli edicolanti che esponevano e vendevano il quotidiano campano. “Questa intimidazione è gravissima. E' evidente – ha dichiarato il direttore Giuseppe Del Gaudioche così si limita la libertà di stampa. Noi non abbiamo fatto altro che pubblicare una notizia di fonte giudiziaria. Abbiamo raccontato i fatti del nostro territorio, come abbiamo sempre fatto. Questo gesto ci preoccupa, ma non fermerà il nostro lavoro di cronisti”.

Per Arnaldo Capezzuto, che ha seguito per Ossigeno anche i precedenti attacchi alla redazione di Metropolis, c’è un salto di qualità nella tecniche utilizzate dalla camorra per condizionare l’informazione. “Si è trattato – ha detto – di un attacco forte, strutturato e organizzato quasi militarmente che ha preso di mira la redazione e contemporaneamente le edicole di un’area decisamente vasta”.

Il 3 ottobre Telejato, la combattiva tv palermitana di Partinico diretta da Pino Maniaci è stata oggetto per l’ennesima volta di minacce mafiose. Telejato nel frattempo cerca di sfuggire alla chiusura imposta dal digitale terrestre alle emittenti comunitarie.

Lo stesso giorno Fabiola Foti, direttore del giornale free press Sud di Catania ha ricevuto una lettera di minacce. Il fatto è stato denunciato ai Carabinieri. Nella missiva anonima è scritto, tra l’altro, «smettila di scrivere o ti rompiamo le mani». Ne ha dato notizia il presidente della società editrice, Pierluigi Di Rosa,che ha incoraggiato la giornalista ha continuare il suo lavoro, aggiungendo che «Sud continuerà nel proprio impegno teso a far conoscere ai lettori quanto insopportabile sia diventato il livello di complicità istituzionale a Catania e in Sicilia in un intreccio politico-affaristico-mafioso che mortifica quotidianamente le persone oneste e capaci».

Ad Agropoli, comune di 21mila abitanti del Cilento a 40 chilometri da Pollica, dove il 5 settembre fu ucciso da mani mafiose il sindaco Angelo Vassallo, il mensile Trasparenza e Legalità, autofinanziato e realizzato da sette redattori, ha fatto arrabbiare due sindaci: quello della città e quello di un comune vicino, ed ora rischia di cessare le pubblicazioni a causa delle querele dei due amministratori locali. Il sindaco di Agropoli, Franco Alfieri, e il vicesindaco del vicino comune di Torchiara, Massimo Farro, hanno infatti querelato il caporedattore del giornale, Carmine Parisi.

Alfieri l’ha fatto a causa di un articolo sulla vicenda di alcune compravendite di immobili del centro di Agropoli stipulate in contemporanea con l’acquisto del castello medievale da parte del Comune. Farro, invece, ha citato il giornale dopo la diffusione della notizia di un doppio incarico pubblico dello stesso Farro. La testata ha un sito web (www.trasparenzaelegalita.net).

Con questi ultimi episodi il contatore di Ossigeno, che registra i casi di minacce e gravi abusi dal 1 gennaio 2011 a oggi, sale a 55 episodi, e il numero dei giornalisti coinvolti raggiunge quota 167.

E quando non ci pensano le mafie o non si mettono di mezzo gli amministratori pubblici, ci pensano i mag
istrati a mettere in difficoltà i giornalisti e le testate.

La Procura di Caltanissetta ha infatti ordinato l’oscuramento di alcune pagine del sito di Repubblica.it che contenevano ampi stralci di due verbali di interrogatorio inediti del boss Toto Riina, uno di luglio 2009 e l’altro di luglio 2010 insieme all’articolo di Attilio Bolzoni di venerdì 30 settembre “Così parlò Totò Riina”.

La Procura ha emanato un "decreto di sequestro preventivo" e indaga sui giornalisti Attilio Bolzoni (Repubblica) e Lirio Abbate (L'Espresso) per violazione del segreto istruttorio in concorso con "pubblici ufficiali da individuare".

Scontato dire che a tutti i colleghi che ho nominato va, per quel che vale, la mia solidarietà

Ci mancavano solo i magistrati a tentare di chiudere la bocca ai giornalisti….

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.12 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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