Nitto Palma a Reggio/2 I “fetentoni”, la zona grigia di Reggio Calabria, dorme sogni tranquilli. Prima no

Ho letto su www.scirocconews.it l’intervista che il giornalista reggino Mario Meliadò il 29 agosto ha fatto all’ex sindaco di Reggio Calabria e politico per dinastia, Agatino detto Titti Licandro. Quello delle “fioriere d’oro”, per intenderci.

Dopo una burrascosa vicenda giudiziaria che i media battezzarono “Tangentopoli reggina”, dalla quale uscì pulito, si è ritirato dalla scena nazionale e oggi vive più o meno serenamente nel Lazio.

Dell’intervista – autoassolutoria, snobisticamente autocelebrativa e per molti versi reticente – mi ha colpito un passaggio. Illuminate. Lui, pur coinvolto in vicende spinose, a proposito della Tangentopoli calabrese dice “che Catanzaro si salvò, Cosenza vide i magistrati attivarsi solo in un secondo tempo… e Reggio invece si mosse fin dall’inizio, forse anche per la determinazione di valenti magistrati come Pennisi e Verzera”. Rispetto per la magistratura e riconoscimento del valore: un vero signore. Chapeau!

La mente è poi volata al libro che proprio Licandro scrisse nel 1993 con il bravo collega Aldo Varano, “La città dolente”, dal quale nel ‘ 99 il regista Alessandro di Robilant trasse il film “I fetentoni”.

Ma soprattutto la mente è volata a quei due nomi – Roberto Pennisi e Giuseppe Verzera – nei giorni, potrei dire nelle ore, in cui c’è chi tenta di far passare l’idea che la Procura di Reggio Calabria sia solo ora diventata un avamposto della lotta alla borghesia mafiosa e alla classe dirigente collusa.

In maniera inarrivabile Pennisi – in una lunga intervista rilasciata quest’estate al Corriere della Calabria, irriverente settimanale che si prefigge, e ci riesce benissimo, di rompere gli zebedei  al potere calabrese – ha ricordato che tutto ciò non è vero. D’accordo, una difesa di parte. Avete mai sentito dire da un oste che il suo vino non è buono?

E allora da ieri ho cominciato prima nella mia mente e poi su questo umile blog a mettere in fila quel che è accaduto a Reggio Calabria negli ultimi 20 anni per vedere se Pennisi (e con lui Salvo Boemi) ha fumato erba e dunque è allucinato. Oppure no.

Una lunga stagione che per due anni ha visto protagonista anche l’attuale ministro alla Giustizia Nitto Palma, che oggi sarebbe dovuto sbarcare negli uffici giudiziari reggini per un tentativo estremo di bonificare una Procura sull’orlo dell’esplosione per la gioia Suprema della (vera) ‘ndrangheta. La visita sembra (il condizionale è d'obbligo) rimandata al 26.

Una stagione, quella – si badi bene – piena di veleni che, incredibilmente e nonostante le divisioni interne alla magistratura, ha messo il sale sulla coda della politica e della classe dirigente. Insomma è impossibile non riconoscere quanto meno il tentativo di aggredire e dare la caccia proprio a quella zona grigia che – con un vuoto di memoria che ha dell’incredibile – oggi più di uno tenta di spacciare come una novità.

I risultati giudiziari talvolta ci sono stati, talaltra no ma – ripeto – è innegabile che la stagione di magistrati come Pennisi, Cisterna, Macrì, Mollace, Boemi, Gratteri, Verzera e compagnia cantando, molti dei quali additati ora di essere i peggio mafiosi der monno, ha fatto ballare il tango a molti. Senza contare che il Tribunale di Palmi, il 25 marzo ’96 osò l’inosabile, condannando Giacomo Mancini per concorso esterno in associazione mafiosa (sentenza annullata dalla Corte di Appello di Catanzaro il 24 giugno 1997 per incompetenza territoriale), prima che arrivasse il 19 novembre 1999 l’assoluzione da parte del giudice per l’udienza preliminare, Vincenzo Calderazzo, che dichiarò estinto per prescrizione il reato di associazione per delinquere, mentre per quello di concorso esterno in associazione mafiosa, Mancini venne assolto perché il fatto non sussisteva. Se non erro, il processo d'appello, fissato a fine giugno 2000 venne rinviato a nuovo ruolo e non ha mai avuto inizio.

LA LUNGA CATENA 

Nel ‘ 92 un enfant prodige della politica (ancora una volta cosentina), Riccardo Misasi, fu accusato dalla Procura di Reggio di associazione a delinquere di stampo mafioso, ma la Camera, con il solo voto contrario del Msi, negò l’autorizzazione all’arresto e l’inchiesta fu, successivamente, di stralcio in stralcio, archiviata.

L’elenco dei politici incappati nelle maglie di inchieste e processi è lunghissimo in quegli anni: da Giuseppe Tursi Prato (consigliere regionale del Psi dal ’90 al 95 condannato in via definitiva a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione) a Francesco Quattrone, figlio di Giuseppe, sindaco di Reggio Calabria dal 1961 al 1963. Arrestato, gli furono contestati gravi reati, compreso l'omicidio di Lodovico Ligato. Scagionato con sentenza della Cassazione nel 1993 per l'omicidio Ligato, rimase in regime di carcerazione preventiva per le altre accuse rivoltegli.

Subì in totale tredici mesi di carcerazione preventiva, 7 rinvii a giudizio e 17 processi nei vari gradi, durati quasi dieci anni. Fu assolto in tutti con la formula più ampia ed ha ottenuto un risarcimento dallo Stato per la detenzione subita.

L’elenco è incredibilmente lungo e contiene decine e decine di politici – compresi parlamentari – a cui anni fa la magistratura reggina ha dato la caccia convinta di dovergliela dare, senza dimenticare che la scorsa consiliatura regionale, quella guidata da Loiero Agazio si distinse per il record di indagati da parte delle Procure (in primis) di Reggio e Catanzaro.

Quell'Agazio Loiero per il quale nel 1994 la Procura antimafia di Reggio Calabria ottenne il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, insieme a quello di un centinaio di esponenti del clan Piromalli-Molè di Gioia Tauro (processo Tirreno). Loiero – secondo l’accusa- avrebbe offerto <<in campo politico-istituzionale, ove poteva operare nella sua veste di deputato, favori, raccomandazioni e vantaggi economici nel settore delle opere pubbliche finanziate dallo Stato o da altri enti pubblici che interessavano l’associazione mafiosa, in cambio anche dell’appoggio in occasione delle competizioni elettorali>>.
Fra l’altro, il pm antimafia Roberto Pennisi sostenne che Loiero si era incontrato col mafioso Salvatore Filippone (uomo del clan Piromalli e condannato poi a 20 anni di carcere) per contrattare i voti delle cosche di Gioia Tauro. A casa del mafioso Salvatore Filippone, infatti, i carabinieri trovarono migliaia di fac-simili e
lettorali di Loiero. Anche il killer pentito del clan Piromalli-Molè, Annunziato Raso di Rosarno, confermò in aula di aver raccolto voti per Loiero perchè così ordinatogli dai boss Piromalli e Molè.

Il 25 novembre 1997, però, Loiero è stato assolto. E’ stato lo stesso Pennisi – e di questo Loiero va giustamente fiero – a chiedere l’assoluzione, sostenendo che il tentativo del clan Piromalli <<di impadronirsi del senatore Loiero per utilizzarlo per i propri fini connessi alla costruzione della centrale Enel di Gioia Tauro non era andato a buon fine, visto che Loiero alla fine a quella centrale si era opposto>>.

Insomma – e mi sono limitato a qualche esempio – la Procura di Reggio ha fatto il proprio mestiere incassando sconfitte, vittorie e pareggi. Come è doveroso e giusto nelle aule di giustizia.

E negli ultimi anni che cosa è accaduto? Vediamo, con la premessa è che la magistratura ce la mette tutta ma la capacità camaleontica della borghesia mafiosa è oggo molto più abile di un tempo.

Vediamo chi è caduto, tra i politici e la classe dirigente, nelle maglie della giustizia in attesa ovviamente degli sviluppi giudiari, visto che fino a sentenza passata in giudicato sono tutti da ritenere innocenti (se me dimentico qualcuno vi prego di segnalarmelo perché ho una certa età e la memoria fa difetto). Il 3 maggio di quest’anno Rocco Femia, sindaco di Gioiosa Jonica, insieme a 3 assessori. Il 14 dicembre 2010 l’ex sindaco di Siderno Alessandro Figliomeni.

Sotto Natale 2010 il consigliere regionale Santi Zappalà.

E prima? L’operazione scivolata il 13 luglio 2010 sull’asse Milano-Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di centinaia di affiliati alla ‘ndrangheta militare di tutta Italia. ‘Ndrangheta militare che in questi anni – e questo va riconosciuto senza se e senza ma – ha sofferto colpi durissimi da parte della Procura anche se si sa che, arrestato un boss, ce ne sono 10 in erba pronti a prenderne prima o poi il posto.

In quell’operazione se borghesi mafiosi (ma ancora molto deve essere provato nelle aule giudiziarie) sono caduti nella rete della magistratura, ebbene, quelli sono tutti in Lombardia. In Calabria è caduto un anziano signore che vendeva frutta e verdura con la sua Motoape nella Piana di Gioia Tauro!….Infatti da allora la ‘ndrangheta è sparita e la Calabria ha più richieste di asilo politico dalla Svezia e dalla Svizzera che gli Stati Uniti da Cuba.

 

2 – to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata il 18 settembre)

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • galullo |

    Caro e codardo Francesco (Francesco chi?)
    probabilmente lei è un lettore occasionale.
    Mi auguro che lei resti tale.
    Non ho infatti bisogno di lettori (ne ho fortunatamente a migliaia su questoblog e centinaia di migliaia in Radio) che non conoscono la mia storia e che non conoscono le decine e decine di articoli che ho scritto tutti – e dico tutti – reperibili sull’archivio di questo blog oltre che sul Sole-24 Ore.
    Se li leggesse – e sono anni che ne scrivo – si renderebbe conto che io non ho mai condotto e non condurrò mai alcuna battaglia a difesa di tizio o caio.
    Primo: perchè non me ne fotte nulla di alcun magistrato, politico o anche solo semplice meccanico o farmacista
    Secondo: perchè non è il ruolo di un buon giornalista prendere parte a contese
    Terzo: perchè eventualmente i magistrati non hanno bisogno di essere difesi da me
    In tutti i miei articoli – svincolandomi da ogni campana e so che le sembrerà merce rara e infatti lo è – guardo solo e unicamente ai fatti e ragiono solo e unicamente con la mia testa esercitando il mio sacrosanto diritto di critica e di pensiero. Ergo: scrivo quello che la coscienza detta nel rispetto dei fatti. Chiaro stu fattu?
    E veniamo a Pignatone. Di lui me ne pò fregà personalmente quanto degli altri magistrati. Vale a dire: zero.
    Capisco che lei sia abituato a una stampa che si schiera aprioristicamente o per mode o per simpatie ma con me sbaglia strada.Io non guardo in faccia a nessuno: se ne faccia una ragione e poi ripassi.
    Vede, la mia non è una critica velata a Pignatone: è una critica e basta. E come tale è il sale della democrazia.
    Da mesi scrivo che l’iscrizione nel registro degli indagati di Cisterna è incredibile e che la gestione del pentito Lo Giudice non è convincente.
    Lei – lettore improvvisato – se ne accorge adesso.
    Vede io non uso la sua tattica, vale a dire criticare nascondendosi vigliaccamente dietro un anonimo “francesco”. Io sono mesi che sto criticando l’operato della Procura di Reggio Calabria con decine di articoli (se li legga e poi riscrivca, forse l’aiuteranno a mettere in dubbio il suo mondo dei sogni). Le è chiaro stu fattu?
    Poi posso sbagliare o posso aver ragione ma sempre in perfetta buona fede, nel rispetto di me stesso, della mia coscienza e dei lettori e senza mandanti: nè occulti nè palesi, come è invece proprio di decine di miei colleghi “giornalai” che ragionano per veline o sotto dettatura. Le piace la verità a senso unico? Bravo, la cerchi altrove.
    E veniamo ai giornali e ai giornalisti locali. Se lei non fosse – quale è – un lettore improvvisato e profondamente ignorante (nella parte relativa a ciò che scrivo da anni) saprebbe che ho scritto articoli di fuoco e riflessioni sferzanti sulla stampa calabrese con la quale non ho – e ripeto: non ho – e non voglio avere alcun rapporto.
    Ma questo non glielo dico perchè debbo giustificarmi con lei, anonimo e ignorante lettore, ma perchè è il mio stile di vita.
    Non mi filo e non mi fido di nessuno e non voglio avere contatti con alcun giornalista: nè calabrese nè cingalese. Le è chiaro stu fattu?
    Dimenticavo una cosa: a differenza sua sono educato. Ergo: saluti
    Roberto Galullo

  • pasquale montilla |

    La lezione di Livatino giudice ragazzino ammazzato 21 anni fà dalla mafia massonica su politica e Giustizia:
    “Il magistrato altro non e’che un dipendente dello Stato al quale e’ affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi.Egli e’ un semplice riflesso della legge che e’chiamato ad applicare”.
    La partita tra il bene e il male in Calabria si gioca sul senso della responsabilita’ personale da insegnare alle generazioni future.
    Pasquale Montilla

  • francesco |

    Nella campagna che Lei sta conducendo negli ultimi giorni a difesa di taluni magistrati in precedenza applicati presso la DDA reggina e nell’attacco all’operazione Milano-Reggio del 2010 mi sembra di leggere un velato attacco all’attuale Procura e in particolare a Pignatone. Sarebbe bene che lo facesse indicando ai lettori elementi concreti, anzichè usare la tecnica del non-nominare-per-colpire-per-sottrazione. La mia sensazione è si sia affidato con troppa fiducia a giornalisti locali: attenzione, non si adagi su posizioni altrui, perchè la strumentalizzazione per chissa quali fini è dietro l’angolo.

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