La capitale della ‘ndrangheta del basso Piemonte che non ti aspetti è Novi Ligure, che nonostante le suggestioni del nome è in provincia di Alessandria. Secondo i magistrati il suo capo è Bruno Francesco Pronestì, nato a Cinquefrondi (Reggio Calabria) il 19 febbraio 1949 e residente a Bosco Marengo (Alessandria).
Quest’uomo – raggiunto da ordine di custodia cautelare il 15 giugno 2011 nell’ambito dell’operazione Maglio* della Procura di Torino – è preoccupato che gli “astigiani” vogliano fargli le scarpe e combatte con i denti per non farsi portare via la leadership che gli consente di dialogare con i boss della madre-patria calabrese.
Chi conosce usi (e abusi) malavitosi sa che funerali e matrimoni sono occasioni non per piangere il morto o celebrare gli sposi ma per fare affari, rompere amicizie, rinsaldarne di nuove, compiere svolte, decidere strategie, condannare a morte o condannare alla vita (criminale).
VENGO ANCH’IO AL FUNERALE
Proprio un funerale e un matrimonio sono le occasioni nelle quali le Forze dell’ordine e la magistratura intercettano, monitorano e braccano i supposti affiliati alla ‘ndrangheta del basso Piemonte.
Una prima discussione è il funerale di una persona morta il 29 maggio 2010. Le esequie avrebbero dovuto svolgersi il 31 maggio a Diano Marina (Imperia) e nella conversazione del 30 maggio gli indagati affrontano il tema della partecipazione alla cerimonia funebre.
La scelta di partecipare alla cerimonia non trova fondamento in esigenze di condivisione del dolore e di vicinanza al defunto e ai suoi cari ma è determinata da una ben precisa regola associativa che impegna il locale e il singolo: la presenza dell’affiliato al rito funebre diventa pertanto un dovere per il locale di appartenenza, quindi, non uti singuli, ma come membri di un gruppo.
Il fatto che tale discussione avvenga durante un pranzo svoltosi a casa di Pronestì, che dunque in questo modo tratteggia il suo indiscusso ruolo di riferimento per l’organizzazione, evidenzia come tutti gli intervenuti a tale riunione, interpellati sulla loro disponibilità a partecipare al rito funebre come rappresentanti del locale di appartenenza, siano interessati al tema della partecipazione alla cerimonia funebre.
IL MATRIMONIO
Un altro evento ha formato oggetto di discussione e di richiesta di partecipazione dei componenti del “locale”: le (allora) imminenti nozze (19 giugno 2010) di Antonio Maiolo, che espressamente manifestava il desiderio di vedere una partecipazione massiccia e plebiscitaria di tutti gli appartenenti al locale : “allora…io da 42 anni che convivo con la mia signora…no? …ora ho deciso che mi sposo …e mi farebbe piacere se avete piacere che del locale di qua venite tutti!”.
Tale espressione, annota il giudice Giuseppe Salerno a pagina 41 dell’ordinanza, “da un lato, rende esplicito che tutti gli astanti, senza esclusione alcuna, siano affiliati ad un locale di ‘ndrangheta e, dall’altro, conferma che l’articolazione del sodalizio è insediata proprio nel luogo di svolgimento della riunione, ovvero la residenza di Pronestì, situata nei pressi della città di Novi Ligure”.
Antonio Maiolo, anch’egli arrestato, è nato ad Oppido Mamertina (Reggio Calabria) il 2 gennaio 1940 ma risiede a Sale (Alessandria) e con Pronestì è culo e camicia.
LE RIVALITA’
Proprio nel post di ieri abbiamo visto che gli “astigiani” – capeggiati secondo la Procura da Rocco Zangrà nato a Rizziconi (Reggio Calabria) il 9 gennaio 1972 ma residente ad Alba (Cuneo) – avrebbero voluto staccarsi dall’organizzazione del basso Piemonte per dar vita ad una cellula autonoma.
Zangrà è un tipo franco e ostile nei confronti di Pronestì e non vuole proprio dare vita a una “società minore” come potete leggere voi stessi: “io non vengo perché io vi ho detto come la vedo, per me non è una cosa giusta…io vi dico quello che pe…lo dico davanti a tutti per me non è una cosa giusta che lo facciamo la ed io non vengo.”
Pronestì è costretto a chiedergli spiegazioni circa il suo comportamento che, si intuisce, era dettato dalla sua chiara intenzione di creare un nuovo locale di ‘ndrangheta indipendente, sull’esempio di altri esistenti nelle località vicine.
In particolare, Pronestì pensava che non esisteva alcuna controindicazione a riunirsi e che ciò era conforme alle regole della “società minore” la quale si sarebbe formata alle dipendenze del locale da lui presieduto. A Zangrà che ribadiva rispettosamente il suo pensiero, dichiarando anche il suo senso di “solitudine” considerata la distanza che separa gli affiliati di Alba dal locale di Novi Ligure (“io vi sto dicendo che, di come la penso io…sto solo li come una capra”), in modo categorico Pronestì confermava la costituzione della “società minore” a Sommariva del Bosco (Cuneo) e, sicuro di sé, si riservava di fornire le dovute spiegazioni qualora i rappresentanti di “società” confinanti avessero sollevato lamentele (“se poi qualcuno di questi di la…che ha una società si lamenta…che vengano a parlare con noi e noi gli rispondiamo”).
Pronestì può finalmente affermare di fronte a Domenico Persico, nato a Seminara (Reggio Calabria) il 16 marzo 1949 ma residente a Sale (Alessandria) e anch’egli arrestato: “Compare Mico…il basso Piemonte risponde a noi… quindi se c’erano problemi per noi – frase incomprensibile -…per noi altri… quindi non c’è nessuno – incomprensibile -…lo dice in questo locale”.
GUAI A CHI SGARRA
Pronestì può molto se non tutto nel territorio di cui si sente padrone.
Decide, a esempio, di sospendere in via “cautelare”, dalle attività del locale di ‘ndrangheta, alcuni affiliati che, pur essendo stati accolti nel locale di Novi Ligure, erano concordi con Zangrà nell’aprire un locale autonomo e distinto da quello guidato dallo stesso Pronestì. : (“..quelli che non si sono comportati bene stanno a casa, si vanno a trovare il pane dove vogliono (…) Perché questi pellegrini, li ho abbracciati qua a tutti, e poi mi danno le pugnalate dietro la schiena (…) Ora gli ho detto, provvisoriamente..così…”).
Ecco dunque la conferma del ruolo apicale di Pronestì, che ha la possibilità di decidere l’esistenza o meno di qualsiasi attività del locale (“Ho detto che non c’è più niente qua! E basta!”), aiutato in questo dallo stesso Persico.
Dallo stesso Persico arriva la conferma che i furbac
chioni che volevano staccarsi verranno accusati di aver violato le regole sociali interne al sodalizio (“Lo sanno che hanno trascurato…”). In particolare, il dovere di lealtà e onestà, ovvero non aver riferito al responsabile del locale le reali intenzioni di Zangrà, dando così un implicito assenso all’operazione.
Per il momento mi fermo qui.
Torno domani con una nuove ed interessantissima puntata sull’affiliazione in Piemonte e i suoi “misteri”.
2 – to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata ieri 11 luglio)
* ANSA 9 NOVEMBRE 2012 Sono stati assolti i dieci calabresi imputati nel processo con rito abbreviato scaturito dall'inchiesta dei carabinieri del Ros sulle infiltrazioni delle 'ndrine calabresi in Liguria denominata Maglio 3. La sentenza e' stata pronunciata dal gup Silvia Carpanini. Appresa la notizia, i parenti degli imputati, che attendevano fuori dall'aula hanno applaudito a lungo.
Nella requisitoria di metà ottobre, i pubblici ministeri Vincenzo Scolastico e Alberto Lari avevano chiesto 12 anni di carcere per Onofrio Garcea, 10 anni e 8 mesi per Benito Pepé, 9 anni per Rocco Bruzzaniti, 8 anni per Fortunato e Francesco Barilaro, Michele Ciricosta e Antonio Romeo e 6 anni per Antonino Multari, Raffaele Battista e Lorenzo Nucera: secondo i magistrati, Bruzzaniti, Battista, Multari e Lorenzo Nucera avrebbero avuto il ruolo di “partecipi” dell’associazione, mentre gli altri sarebbero stati “promotori”.
Secolo XIX Genova 10 novembre – «Le sentenze non si commentano, se non si è d’accordo si appellano, personalmente ho vissuto un’esperienza simile nel 1996 quando in primo grado sono stati assolti tutti i clan siciliani dal 416 bis poi il tutto è stato capovolto dalla Corte d’appello, e confermato in Cassazione». Così ha detto la vice presidente dell’Anm Anna Canepa la sentenza del gup di Genova
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