Cosenza, ex provincia babba in mano alla ‘ndrangheta che vuole uccidere i pm che toccano i fili della politica

Vincenzo Luberto è il magistrato della Dda di Catanzaro che la cosca Abbruzzese (ma non solo quella) avrebbe voluto vedere volentieri morto. Dodici presunti affiliati alla cosca, come hanno riportato le sole cronache locali, sono state arrestate il 10 giugno proprio mentre erano, secondo i Carabinieri di Cosenza, alle fasi finali in vista dell’omicidio.

Gli Abbruzzese, recentemente colpiti dall'arresto del latitante Nicola Abbruzzese e dalla condanna all’ergastolo del fratello Francesco, si sarebbero voluti vendicare dei numerosi arresti subiti a seguito delle inchieste coordinate da Luberto, tra le quali Lauro, Sibaris e Timpone rosso.

Luberto aveva già subito minacce ed intimidazioni. Nel 2007 qualcuno è entrato nel garage di casa e gli ha rubato l’auto danneggiando tutto ciò che ha trovato ed imbrattando le mura con scritte minacciose. Nel 2009 la casa del magistrato è stata visitata da qualcuno che si è impossessato di gioielli della moglie. L’ipotesi di un semplice furto fu scartata quasi immediatamente.

La cosca Abbruzzese è il cosiddetto gruppo degli “zingari” (legato al “crimine” di Cirò) che detta la propria legge a Cassano allo Jonio, nella Sibaritide, a Rossano e a Corigliano Calabro.

Tenete in mente cari lettori quest’ultimo paese: Corigliano Calabro – il sesto per dimensione in regione – perchè attualmente nell’equilibrio economico, politico e criminale della regione, riveste un ruolo vitale. Ci tornerò prossimamente con un post dedicato in cui non mancheranno le sorprese. Per il momento vale solo la pena sottolineare che il Comune il 12 giugno è stato sciolto per mafia anche se il sindaco, Pasqualina Straface, ha fatto ricorso al Tar.

LA POLITICA

Nel Comune, recita il comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri, ”sono state riscontrate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata”. Per questo il ministro dell’Interno Roberto Maroni l’ha sciolto.

Bene. Anzi: male.

Il sindaco (ex?) Pasqualina Straface fu coinvolta nell’operazione antimafia “Santa Tecla”, che ha portato il 21 luglio 2010 alla convalida di 67 ordinanze di custodia cautelare in carcere (con le accuse di associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti). Agli arresti, in regime di 41bis, finirono anche Mario e Franco Straface, fratelli del sindaco.

Il 2 giugno, durante l'udienza preliminare del processo “Ultimo Atto” scaturito dal blitz del 13 ottobre 2010, il pm Vincenzo Luberto ha depositato il primo verbale con le dichiarazioni da pentito di Tonino Forastefano, ex membro della cosca dominante nel Cassanese e nell’Alto Jonio cosentino.

Le dichiarazioni di Forastefano tirano in ballo anche Corigliano. Il magistrato, quel giorno, consegnò al Gip solo un verbale riassuntivo. Il rapporto con la politica, verosimilmente, verrà fuori in corso di dibattimento.

Ricapitolando: l'operazione Santa Tecla coordinata dal procuratore Vincenzo Lombardo, dal suo aggiunto Giuseppe Borrelli e dal sostituto Vincenzo Luberto, si lega all’inchiesta “Ultimo Atto” in cui Luberto è ancora protagonista. E gli aspetti – a mio giudizio – più interessanti, non potranno non venire dagli approfondimenti che gli inquirenti faranno proprio sulla faccia sporca della politica.

VENDETTA

Al netto delle ipotesi sull’omicidio studiato dalla cosca Abbruzzese (la vendetta per i duri colpi inferti da questo pm) non posso non notare come queste due inchieste – Santa Tecla e Ultimo Atto che vedono Luberto protagonista – segnano, senza che probabilmente ci sia ancora consapevolezza piena nella pubblica opinione peraltro in Calabria ormai cloroformizzata, un momento di passaggio nelle analisi della criminalità organizzata nella ex provincia babba di Cosenza (come si diceva una volta in Sicilia delle province lontane dalle dinamiche mafiose). Una provincia che ha sempre dettato equilibri politici nell’intera regione ed è dunque impensabile che sia scevra da condizionamenti sempre più pesanti della ‘ndrangheta.

Qui le cosche – a mio giudizio – si sono ormai da anni cementate con ampi strati della politica sia nel versante tirrenico (che comprende comuni come Praia a mare, Diamante, Cetraro, Paola, Amantea e via dicendo) che nel versante jonico (da Cassano in giù, fino a toccare la provincia di Catanzaro). Senza dimenticare il capoluogo Cosenza che ha una capacità straordinaria: fornire decine di professionisti al soldo delle cosche non solo della provincia ma di tutta la regione.

La conferma arriva dalle tante inchieste della magistratura sui due versanti che provano (talvolta ancora timidamente) a toccare sempre più i fili della politica (non dimentichiamo, a esempio, l’inchiesta Nepetia ad Amantea).

Proviamo a fare un calcolo della ragnatela ‘ndranghetista oggi in questa provincia.

Cosenza città “è caratterizzata da gruppi criminali di etnia Rom che, abbandonati i tradizionali settori di operatività nell’ambito della microcriminalità – scrive il sostituto procuratore nazionale antimafia Maria Vittoria De Simone nella relazione di fine 2010 della Dna –  hanno finito per costituirsi in vere e proprie organizzazioni di tipo mafioso”.

A Cosenza operano la cosca Chirillo (Pateno), Lanzino-Cicero-Patitucci (compresa Rende), collegata con la cosca Gentile di Amantea, la cosca Bruni e la cosca Presta (presente anche a Tarsia).

Insomma l’(ex) salotto buono e massonico della regione Calabria deve fare sempre più i conti con “zingari” evoluti a cui interessa solo una cosa: fare affari e la politica marcia è un ottimo ingrediente.

La provincia non sta meglio. Direi di partire dalla cosca Muto, da anni l’unica autorizzata a sedere al tavolo del gotha mafioso reggino e con enormi ramificazioni al centro (Roma) e Nord (Lombardia). La cosca Muto, per anni sottovalutatissima, fa il bello e il cattivo tempo a Cetraro (dove nasce e dove non si muove foglia che loro non vogliano), Diamante, Belvedere e Scalea, dove oltretutto la camorra da anni fa affari con la ‘ndrangheta. Ma persino in buco di paese come Bonifati, dimenticato da Dio e abbandonato dagli uomini, disteso su una collina a forma di sella di cavallo, sono arrivate le orme della cosca Muto.

A Cassano c’è anche la famiglia Portoraro
, a Paola le famiglie Scofano-Martello, Serpa e Gentile-Besaldo-Africano. A Castrovillari le famiglie Recchia e Impieri, a San Lucido i gruppi Calvano e Carbone, a Rossano il gruppo Acri mentre a Rende (nota per ospitare l’Università dell’Arcavacata) operano anche le famiglie Ciancio-Aiello-Oliva-Luciano.

Ma prima di lasciarvi e a tutti coloro che mostreranno ingiustificato scettiscismo ricordo un'ultima cosa: a Mendicino, sconosciuto paesino del cosentino, il 20 gennaio di quest'anno sono stati sequestrati beni mobili e immobili di fiancheggiatori riconducibili al superlatitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro.

Insomma: Cosenza non è più una provincia babba ed entra sempre più a pieno titolo nel disgustoso intreccio politica-massoneria-ndrangheta che domina l’intera regione. Se un magistrato antimafia – Luberto ma come non pensare, a esempio, al lavoro straordinario di Borrelli – mette il naso in questo intreccio rischia la vita. Nell’indifferenza della politica che l’unica cosa che sa fare è invadere le agenzie di stampa e i giornali locali con inutili e spesso falsi attestati di solidarietà.

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica alle 0.15 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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