ESCLUSIVO/1 Le verità nascoste dell’omicidio di Fortugno, “battezzato” dalle cosche Libri e De Stefano

Quando leggerà le carte che le trasmetto non mi chieda perché, non c’è una ragione precisa, è solo la voglia di fare chiarezza e liberarmi da un peso di anni. Non penso che ci siano in carcere innocenti per l’omicidio Fortugno…penso però che qualcuno sin dall’inizio delle indagini abbia voluto nascondere un pezzo della verità…”: comincia così la lettera che mi sono ritrovato in redazione quattro giorni fa al ritorno dal mio viaggio tra Caltanissetta e Catania.

La lettera anonima era accompagnata da una fotocopia. Dieci pagine della Squadra mobile, sezione criminalità organizzata, della Questura di Reggio Calabria. Data. 1° dicembre 2005. Firma: Salvatore Arena, primo dirigente. Una curiosità: forse la busta è stata portata direttamente al giornale a Milano perché sul francobollo mancava il timbro postale. Strano no?

Si tratta – verosimilmente – della stessa lettera e della stessa informativa che ha ricevuto il collega Enrico Fierro. Come lo immagino? Semplice: lui l’ha sparata subito sul Fatto Quotidiano. Io non potevo farlo: ero in Sicilia.

Perché l’abbiamo ricevuta? Per me lo spiega l’anonimo: “conosco bene la sua serietà e la sua capacità di raccontare ogni storia senza paura alcuna”. Vero.

L’informativa – ammesso e non concesso che sia vera ma il collega non ha ricevuto alcuna smentita ed è bollata e firmata – è straordinariamente interessante perché apre uno squarcio di “ovvietà” sull’omicidio di Francesco Fortugno, vice presidente del consiglio regionale calabrese, ucciso davanti a un seggio di Locri il 16 ottobre 2005.

L’ovvietà consiste nel fatto che l’omicidio non poteva non essere stato deciso ad altissimi livelli e il movente va – a mio modesto avviso ma lo scrivo da sempre – cercato a Locri e più esattamente nel mondo politico e nei suoi intrecci con la sanità.

TUTTI SAPEVANO

Tutti sapevano, Forze dell’ordine e magistrati inquirenti, persino a Roma e tutti hanno insabbiato”: ecco come prosegue la lettera dell’anonimo, prima di lasciare spazio alle 10 pagine dell’informativa della Squadra mobile.

Ricordiamo che per l’omicidio di Fortugno sono stati condannati anche in appello Alessandro Marcianò e suo figlio Giuseppe come mandanti e Salvatore Ritorto e Domenico Audino come esecutori materiali.

Chiunque abbia letto – come io ho fatto, e in attesa delle motivazioni dell’appello – la sentenza di primo grado sa che è oltremodo ridicolo pensare che questi quattro tizi, senza arte ne parte, potessero inventare, gestire ed eseguire un tale e clamoroso omicidio eccellente.

Ed in effetti l’informativa non fa che confermarlo. Nel 2005 gli investigatori intercettano ambientalmente a Prato, in via Guasti 55, dove sconta i domiciliari, Mico Libri, capo indiscusso dell’omonima cosca.

Non solo. Il 13 ottobre  – tre giorni prima dell’omicidio – due fedelissimi di Don Mico parlano con il fratello di quest’ultimo, Pasquale. E vengono intercettati. Cosa dicono i due a Pasquale? Che il 16 ottobre alle 10 si incontreranno con esponenti delle ‘ndrine federate De Stefano-Tegano. Certamente un incontro al vertice: De Stefano-Libri, come a dire chi comanda in provincia di Reggio e chi custodisce le tavole delle leggi di mafia calabrese. Uno di quegli eventi che non avvengono per parlare di calcio ma di morti o di affari. Che poi in Calabria sono spesso la stessa cosa.

LA TELEFONATA DEL 13 OTTOBRE

Il 13 ottobre alle 21.52.48 i due fedelissimi (Salvatore Tuscano e Antonino Sinicropi) dicono testualmente a Don Mico: “…da lunedì in poi ridiamo…”.

Lunedì 17 ottobre, dunque, il giorno dopo l’omicidio.

Lo stupore di Don Mico – annota la Squadra mobile – affiorava al punto che, all’oscuro di quanto sarebbe avvenuto dopo qualche giorno, chiedeva spiegazioni…La risposta evidenziava come in un luogo non meglio indicato, verosimilmente riferendosi al comprensorio della Locride, ci si comportasse al di fuori delle regole di ‘ndrangheta…

Strano che Don Mico, tre giorni prima, non sapesse una beata fava di un omicidio che – ne sono certo – sarà stato definitivamente “liberato” appena 45 giorni prima a Polsi. Secondo: Don Mico dice testualmente: “Lì si fa tutto tranne il bene”, riferendosi alla Locride. Beh, non è proprio come dire che ci si comporta fuori dalle regole di ‘ndrangheta, perché la Locride “è” la ‘ndrangheta rurale e cafona e non me lo vedo Don Mico come un intellettuale in grado di sposare le fini ed eccellentissime strategie della ‘ndrangheta borghese che alligna nei salotti buoni di Reggio Calabria. Ma comunque può darsi che si riferisse all’ormai conclamata inaffidabilità delle cosche Cordì e Cataldo. Amen, andiamo avanti.

Successivamente Don Mico sentenzia e dice ad uno dei due: “…Una sola cosa ti dico, tu devi stare attento…che non succeda qualche cazzata, per il resto fate quello che volete…

La squadra mobile – che spedisce l’informativa al sostituto procuratore Roberta Nunnari, ora a Milano – è sicura: “appare fondatamente ipotizzabile – scrive il dirigente Arenache i colloquianti stessero discutendo, seppur implicitamente, dell’imminente omicidio del vicepresidente del consiglio regionale della Calabria Fortugno Francesco e delle conseguenze che avrebbe determinato anche in seno agli assetti e agli equilibri delle ‘ndrine operanti nella provincia”.

Ma c’è di più. “…appare altrettanto fondatamente ipotizzabile che la decisione di attentare alla vita del Fortugno Francesco – continua l’informativa – ormai in via di definitiva assunzione ai massimi livelli decisionali delle strutture criminali reggine, fosse stata sottoposta al vaglio del boss Libri Domenico attraverso i suoi più fidi luogotenenti…”.

Bene. Per ora fermiamoci qui. Domani proseguiremo con la seconda parte dell’informativa della Squadra mobile di Reggio Calabria che conferma come la strada da battere dovesse continuare ad essere quella del delitto eccellente deciso a livelli altissimi.

1 – to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com

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