ESCLUSIVO/ La relazione della Prefettura di Palermo alla Commissione antimafia dà ragione a Grasso e Granata

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso è tornato a paventare il rischio di attentati o comunque azioni clamorose delle mafie in questo periodo di tensione politica (e morale no?).

Ho già scritto su questo blog del rischio che mafie e baluginazione leghista si cementino inconsapevolmente per raggiungere con due monete diverse lo stesso obiettivo: la secessione dell’inesistente Padania che fa gola tanto agli uni quanto agli altri (si veda articolo in archivio del  27 luglio).

Oggi torno sul tema raccontandovi in esclusiva cosa racconta la relazione che la Prefettura di Palermo ha consegnato alla Commissione parlamentare antimafia il 13 luglio 2010.

Forse anche da questa lettura si è levato il grido d’allarme tanto di Grasso quanto del vicepresidente della Commissione antimafia Fabio Granata uno dei pochi, a dire il vero, se non l’unico, che si ricorda che oggi il compito primario della altrimenti inutile Commissione parlamentare antimafia è proprio quello di portare alla luce i rapporti continui e perversi tra mafia e politica. A partire da Sicilia, Campania e soprattutto Calabria, dove una abile regia in questi ultimi anni è riuscita a portare in gran parte dei posti di governo della cosa pubblica grembiuli sporchi indossati da politici collusi con la ‘ndrangheta. Se c’è un posto in cui il voto di scambio è prassi e in cui i candidati alle elezioni vengono scelti nelle logge coperte frequentate da politici, mafiosi, infiltrati dei servizi e pezzi dello Stato deviati, quella è la Calabria, una terra in cui il voto libero è una chimera. Oggi decine di amministratori vengono decisi dopo summit di questa miscela esplosiva, senza dimenticare i collegamenti con le cosche all’estero, che finanziano e foraggiano, a partire da quelle in Canada.

 

LA MAFIA SI RIGENERA COME LA CODA DELLE LUCERTOLE

 

Intanto, verrebbe da dire, lasciate ogni speranze o voi che credete che il fenomeno mafioso siciliano (cattura del donnaiolo Matteo Messina Denaro o meno) sia prossimo alla sconfitta. Balle.

Ecco cosa scrive l’ex Prefetto Giancarlo Trevisone (sostituito il 22 luglio da Giuseppe Caruso) nelle premesse del suo ragionamento (si badi bene: premesse): “…il fenomeno mafioso è investito da un continuo processo di rinnovamento, essendo capace di evolversi e svilupparsi, reagendo così alle azioni di contrasto poste in essere dallo Stato nel corso degli anni”.

Nessun dubbio che i colpi dello Stato siano stati avvertiti ma il processo di rigenerazione, anche in ambito imprenditoriale (dove ringraziando Iddio l’opera di Confindustria Sicilia e nazionale sul fronte della legalità è incessante) è continuo. Come le code delle lucertole: tu tagli e quelle ricrescono.

La grande distribuzione e gli appalti continuano a essere preda delle cosche mafiose e anche le più recenti operazioni di polizia giudiziaria confermano (scrive il prefetto, non io) “l’attualità delle storiche teorie espresse sul tema dei rapporti tra mafia e imprenditoria, connotati da profonda ambiguità tra estorsione e protezione”. Come evidenziava lo storico Leopoldo Franchetti nel 1876 e un secolo dopo il giudice Cesare Terranova (trucidato dalla mafia nel ‘79), a proposito dei rapporti tra un imprenditore e un mafioso, “non si riesce a stabilire se esso si stato vittima o manutengolo dei mafiosi o piuttosto l’uno o l’altro a seconda delle convenienze”.

Insomma il lavoro che stanno portando avanti Ivan Lo Bello, Antonello Montante e tutto il vertice confindustriale palermitano, siciliano e nazionale è impressionante ma la strada da macinare è ancora molto. E l’invito è a capire quanto straordinario sia il loro impegno e quanto essi stessi possano essere obiettivi sensibilissimi per gli indegni cani di Cosa Nostra.

Insomma le famiglie mafiose hanno bisogno di ristrutturarsi ma al tempo stesso continuano l’opera di destrutturazione dello Stato e, ripeto, le ali stragiste non abbandonano la folle idea secessionista che permetterebbe di meglio governare le regioni del Sud in accordo con le altre mafie e agire con onnipotenza anche al Nord dove ormai si stanno facendo Stato grazie ai contatti sempre più ravvicinati con la smandruppata politica locale e nazionale.

Secondo la Dia di Palermo “la condizione attuale delle famiglie, impegnate nei nuovi assetti, non permette un’agevole lettura dei nuovi organigrammi e dei territori di influenza, anche in considerazione degli sconvolgimenti susseguenti alle recenti e numerose catture”.

Recenti analisi hanno confermato che personaggi di nessuna o quasi nessuna storia criminale, perlopiù rapinatori o spacciatori, vengono utilizzati ad esempio per imporre il pizzo. Secondo la questura di Palermo  il rinnovato interesse delle famiglie per i traffici di droga, che costantemente fa capolino, non appare tanto una scelta strategica quanto una conseguenza della “specializzazione delinquenziale” di gran parte delle risorse umane di cui oggi dispongono le cosche.

D’altra parte, come rileva la Guardia di Finanza, i cosiddetti “scappati” (gli esuli in Usa a seguito della guerra di maia degli anni 80 e ora tornati) approfittando del vuoto di potere venutosi a creare dopo la cattura di Bernardo Provenzano e dei boss emergenti di Palermo, tentano di tornare in auge, intessendo nuovi affari nel narcotraffico.

Ma attenzione: la Dia di Palermo prefigura anche la possibilità che “i boss scarcerati, forti di un prestigio consolidato all’interno dell’organizzazione, potrebbero reclamare una posizione di vertice”.

Insomma una posizione magmatica nella lotta di potere interna a Cosa Nostra e di nuove alleanze politico-massonico deviate. In questo incandescente magma il lapillo che può incendiare le trame stragiste e accendere inconsapevolmente una nuova stagione politica nazionale dalle conseguenze imprevedibili (con la Lega pronta a cavalcare la secessione pur di portare a casa voti e illusorie garanzie di sconfitte del fenomeno mafioso in casa propria) è dietro l’angolo. Per questi motivi e per fermare la verità sulle stragi degli anni Novanta e sulle trame politiche, massonico deviate e di pezzi putridi dello Stato che stavano dietro quelle stragi, oggi il rischio di attentati torna altissimo. Per questo Grasso alza il tiro. Per questo la politica sporca ha interesse a non seguirlo e lasciarlo abbaiare alla luna.

Anche per questi motivi Granata (che seguirà anche i suoi interessi di bottega, essendo un finiano doc e dunque in rotta con Sua Prestanza-Psico-Fisica) è uno dei pochissimi a gridare lucidamente che in questo magma, che vomita lapilli e malapolitica da anni, le mafie si sono comodamente accomodate nelle liste e nei partiti. Del Sud senza dubbio ma invito Granata a guardare anche cosa accade in molte liste del Centro-Nord. Alcuni esempi? Lazio, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte e Lombardia sono regioni in cui le mafie si trovano a proprio agio come Rocco Siffredi in un set pornografico e le sorti di molti amministratori e di buona parte della classe dirigente da loro dipendono. Chiedere conferme alla magistratura.

r.galullo@ilsole24ore.com

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