Don, “don” e il Santuario che piace alla ‘ndrangheta

Religione e criminalità organizzata non vanno a braccetto. Bella forza – direte voi – come potrebbe la Chiesa cattolica offrire indulgenza a mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti? Quali principi e valori possono condividere cattolici e mafiosi, oltre la scenografia di un santino che brucia in mano ad un affiliato di Cosa Nostra o una Bibbia sul tavolino di Bernardo Provenzano? Pietà cristiana sì, quella si può e si deve capire. Magari va bene anche l’assoluzione dei peccati in punto di morte. In privato, doverosamente. E sempre che il pentimento – ma vatti a fidare – sia autentico.

Meglio sarebbe la scomunica nei confronti dei criminali che hanno la vigliaccheria di sciogliere un bambino di 11 anni nell’acido, penserete voi con me, ma – sapete com è – la secolarizzazione dei costumi colpisce anche preti e suore ai quali non ha mai fatto difetto una certa prudenza. Uomini di mondo, insomma, che talvolta fanno “cheese” di fronte ai fotografi di Chiesa quando celebrano matrimoni di mafiosi, battezzano figli di camorristi latitanti, impongono estreme unzioni a capibastone o celebrano la comunione di ‘ndranghetisti pluriomicidi.

Uomini di mondo che chiudono un occhio sapendo che alla festa del Santo patrono i mafiosi latitanti sfilano nascosti tra la folla (mi sono trovato in questa situazione molti anni fa a Mammola, paese aspromontano dove la ‘ndrangheta cresce come i capperi tra le fessure delle case di Pantelleria).

Vale la pena chiuderlo un occhio. L’altro deve rimanere ben aperto per contare i soldi che dai clan vengono versati ai comitati patronali o per la ristrutturazione della facciata della parrocchia. Se Gesù ha assolto dai peccati un ladrone sulla croce volete che il Don di turno non possa essere tollerante verso un boss, “don” anche lui? 

Miei cari amici di blog, per carità di Dio – è il caso di dire – lungi da me l’idea di mancare di rispetto a chi rappresenta Nostro Signore in Terra. Sono cattolico, apostolico e doverosamente peccatore perché so resistere a tutto tranne che alle tentazioni.

So anche, però, di dovere alla cultura cattolica – quella vera e autentica – la mia intolleranza nei confronti dell’illegalità. Quella cultura che mi è stata infusa da ragazzo, a Roma, oltre che dalla  mia famiglia, da Padre Antonio Fusilli. Un prete abruzzese coraggioso, che fu trasferito a Milano dove – a fine anni Settanta – organizzò tra le siringhe le prime fiaccolate contro la droga. Passò i guai anche per questo ma andò avanti senza paura.

E’ per questo che quando si avvicina la Festa della Madonna della Montagna mi deprimo. Quest’anno poi, non ne parliamo. Ma procediamo con ordine.

In Aspromonte, ogni anno, si celebra questa festa che presso il Santuario di Polsi richiama – dal 24 agosto al 2 settembre e oltre – migliaia e migliaia di persone e fedeli da tutta la Calabria. In particolare dalla provincia di Reggio. Ebbene anche le pietre sanno che, per decenni, in occasione della Festa, i capi della ‘ndrangheta si sono dati appuntamento per decidere strategie, pianificare omicidi, fare affari, stringere alleanze o dichiarare guerre. Un rito pagano che per anni ha accompagnato la Festa cristiana. Questo sembra – figurarsi se si hanno le prove – sia accaduto anche tre anni fa, prima dell’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese, Francesco Fortugno. Questo, sembra, sia accaduto anche dopo la strage tedesca di Duisburg del Ferragosto 2007. Leggete questa intercettazione raccolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio il 13 settembre 2007, un mese dopo la strage che lasciò sul campo sei persone (una era stata appena “punciuta”, cioè affiliata, con un santino che bruciava in mano).

Antonino Gioffrè, figlio del boss, rivolgendosi ad una amico dice ”abbiamo sistemato a San Luca, tutto bene tutti chiusi…capito? Non si spara più se tutto va bene”. Dall’ordinanza non e’ chiaro il ruolo della Chiesa quando un altro dei figli del boss, Domenico, parlando con un amico dice : ”Poi ieri e’ uscito Don Pino il prete…e il vescovo brigantino benvenuto – gli ha detto – ad un grande uomo di Seminara il nostro – ha detto – amico Rocco Gioffrè e ci teniamo – ha detto – a dare questa soddisfazione per la pace quando gli ha detto (…) poi il prete ha detto la cosa nella chiesa: ha detto ringrazio sull’anima di mio padre – ha detto – tutta Seminara – e un grande uomo di Seminara Shalom – ha detto Don Pino – Shalom a Seminara e a tutto il mondo intero”. Il tutto peraltro attribuito agli stessi uomini dei Gioffrè che si vantavano di avere ottenuto le benemerenze della chiesa.

Dalla Curia di Locri, dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e dai magistrati della Dda, sono partite smentite a un servizio della ‘Stampa’ in cui si parlava della presenza al summit di Monsignor Giancarlo Bregantini, il Vescovo che ha speso una vita contro la ‘ndrangheta che a gennaio 2008 è stato trasferito a Campobasso perché altrimenti, come dichiarò Don Antonio Riboldi sfidando l’ipocrisia dei vertici ecclesiastici, “sarebbe stato ammazzato dalle cosche”.

L’onorevole Angela Napoli di An all’epoca dichiarò: “Non posso nascondere la mia preoccupazione nell’apprendere la notizia del summit mafioso svoltosi a Polsi nello scorso mese di settembre, in occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna. Anche una parte dei rappresentanti della Chiesa di quel territorio aveva tranquillizzato tutti coloro che sono attenti ai fenomeni mafiosi, ed in particolare dopo la strage avvenuta a Duisburg nello scorso mese di agosto, che Polsi non rappresentava più l’antico ‘sito’ dei summit mafiosi. Siamo, purtroppo, costretti ad apprendere che la ‘ndrangheta, pur avendo cambiato in parte le sue strategie, continua a ricorrere alle abitudini ed alle protezioni di sempre”.

E siamo ai giorni nostri e alla mia tristezza che spero – amici di blog – voi condividiate. Io non so se quel “bregantino” dell’intercettazione sia Monsignor Bregantini e se veramente abbia doverosamente interceduto per far giungere ad una pace (temporanea) le famiglie Pelle-Vottari e Nirto-Strangio che si stavano trucidando. Non so neppure se quel “Don Pino” dell’intercettazione sia il parroco di San Luca e rettore del Santuario di Polsi, Don Pino Strangio.

So solo che Monsignor Bregantini – che ha strappato ettari e ettari di campi alle cosche impiantando al loro posto cooperative agricole odiate dai boss – non c’è più. E so che Don Pino Strangio ha dichiarato a chi scrive – nel corso di una puntata della mia trasmissione su Radio 24 “Guardie o ladri” andata in onda sabato 9 agosto e che può essere riascoltata sul sito www.radio24.it – che a Polsi i boss non si sono mai dati appuntamento. Leggende metropolitane, insomma. Sfidando il ridicolo oltre che le evidenze investigative, le dichiarazioni dei politici e la realtà, Don Pino Strangio ha negato che quel Santuario sia un richiamo irresistibile per la ‘ndrangheta oltre che per i fedeli. Lo stesso Don Strangio che – raccontano le cronache dei giornali locali  i bene informati – non ha certo pianto quando Monsignor Bregantini ha avuto l’”onore” – mai chiesto e anzi osteggiato – di andare a Campobasso.

Insomma, mentre io scrivo e voi leggete – potete giurarci – Polsi sarà ancora un richiamo irresistibile per i capi della ‘ndrangheta. Ho motivo per essere triste? Ah, padre Antonio Fusilli, tu che da se anni sei tornato tra le braccia del Padre, dimmi: ma perche la Chiesa non ha sempre e soltanto il volto di Cristo sulla Croce che muore per i nostri peccati?

roberto.galullo@ilsole24ore.com

  • Antonino Monteleone |

    Ecco chi manda fiori alla Madonna di Polsi
    http://www.antoninomonteleone.it/2008/09/02/rose-rosse-per-te/
    il boss Giuseppe Pesce!? Forse un omonimo. Troppo piccolo il mondo!
    am

  • Emilio Fabio Torsello |

    E che dire invece degli esempi positivi come don Peppe Diana o don Puglisi? Quella è la vera chiesa che vive e respira umanità. Ed è l’esempio più vero di solidarietà e spirito cristiano.
    E poi ci sono i giornalisti. Quanti tacciono? Quanti editori censurano…? Come i sacerdoti coraggiosi, così anche i giornalisti disposti a fare i nomi si contano sulle dita di una mano…anche perché questa nostra Italia passa sotto silenzio gran parte dell’informazione vera e concreta. Di contro l’opinione pubblica è dormiente e ormai abituata alle stragi e alle mafie. Non chiede verità ma si accontenta di un pacchetto di informazioni omologato e sempre uguale. Per certi aspetti il nostro sistema civile mi ricorda l’elettorato russo.
    Il giornalista de Il Mattino, Gigi Di Fiore, nel suo ultimo libro sui casalesi scrive a proposito delle notizie negate:”Un silenzio e un oscuramento perenne che hanno segnato il destino e la fortuna della criminalità organizzata”. E se per “fortuna” vogliamo ostinatamente considerare asetticamente la “sorte”, allora diciamo che fin qui è stata per le mafie quasi sempre una “buona sorte”.
    a presto!
    Emilio

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