Incomprensibile terra la Calabria: trascura i martiri di mafia e riabilita (a piè sospinto) i condannati. Oggi – 9 agosto – per questa regione è un giorno particolare. Il 9 agosto 1991 venne ucciso senza alcuna pietà il giudice Antonino Scopelliti, nato a Campo Calabro. Fu finito con un colpo di P38 alla tempia a due passi dal suo paese natale, dove si rifugiava nel corso delle vacanze estive. Come fanno (quasi) tutti i calabresi emigrati, attaccati oltremisura a questa terra benedetta da Dio e maledetta dagli uomini. Era un giudice eccezionale e, cosa incredibile al giorno d’oggi, un Uomo incorruttibile. Mettetevi bene in testa questa parola: incorruttibile. Lui, che stava preparando il rigetto dei ricorsi per Cassazione avanzati dai più pericolosi mafiosi condannati nel maxiprocesso a Cosa Nostra, aveva rifiutato cinque miliardi (2,5 milioni di euro circa) da chi lo voleva corrompere. Alla faccia di chi dice che tutti gli uomini hanno un prezzo. E alla faccia spudorata degli “ammazzasentenze”. Per uccidere uno così si mossero ‘ndrangheta e Cosa Nostra all’unisono. Con quell’omicidio, però, non venne ucciso solo un Uomo ma anche una delle ultime speranze di questa regione. La figlia Rosanna – impegnata nella fondazione in memoria del padre, www.fondazionescopelliti.it – scrive oggi su un giornale locale che con quella morte gli è stata “negata la normalità”. Non solo a lei – aggiungo io – ma anche ai calabresi onesti che, però, sono sempre più soggiogati dall’indifferenza e dal silenzio che uccidono più della ‘ndrangheta. Il giudice Scopelliti è pianto dagli onesti che non versano lacrime ma soffrono dentro. Spesso invece, nelle commemorazioni con le quali i politici calabresi si sciacquano in questi giorni le coscienze, gli amministratori e la classe dirigente locale versano lacrime di coccodrillo. In questi giorni ho visto seduti allo stesso tavolo nel corso di alcuni dibattiti sulla legalità, uomini di valori e principi e persone che non toccherei neppure con una canna da pesca (come dice mia suocera). Persone pronte a parlare di una Calabria che affonda come se la colpa non fosse (anche) loro. Anzi: nelle loro mani è riposto il futuro. E questa commistione lascia sconcertati in Calabria. Prendete Enzo Sculco, a esempio. Direte: e chi è? Io lo ricordo 20 anni fa – ero giovane cronista a Roma presso il quotidiano sindacale della Cisl, che non merita nemmeno di essere nominato dal momento che teneva molti redattori in “nero” al punto che dovetti far causa per farmi riconoscere i diritti e questo non merita ulteriori commenti – quando si presentava alle riunioni romane sindacali che seguivo per il giornale. Era un leader calabrese che incuteva timore. Ricordo che la gente, i suoi stessi colleghi, lo trattavano con timore e sospettoso rispetto. Voi direte: embè? Per carità, non voglio dubitare e neppure scomodare Lombroso e le sue teorie, anche se pure la faccia e il fisico incutevano timore. Fatto sta che difficilmente qualcuno lo contraddiceva nelle riunioni nelle quali si imponeva con una forza invisibile, soprattutto perché contava (e faceva pesare) le tessere, al punto da essere eletto segretario generale della Cisl calabrese nel 1987 e membro della segreteria nazionale. Fatto sta che 20 anni dopo me lo ritrovo – ma soprattutto se lo ritrovano i calabresi – con una condanna in primo grado a 7 anni di reclusione per truffa, turbata libertà degli incanti, corruzione e concussione nell’ambito dell’inchiesta sulla Provincia di Crotone di cui era vicepresidente. Il galantuomo – fino a sentenza passata in giudicato lo è – è stato anche presidente del gruppo consiliare della Margherita, essendo diventato quotatissimo consigliere regionale, eletto con ben 7.209 voti. Ebbene voi direte: uno così starà in galera come ha decretato la sentenza. In galera ci andate voi se rubate una mela o io se passerà il disegno di legge contro la libertà di stampa proposto dal Governo dell’Unto dal Signore (ma il precedente Esecutivo guidato dal prof bolognese con la faccia da prevosto di campagna sarebbe più o meno giunto, temo, alle stesse conclusioni). Sculco, dopo la sospensione decretata dal consiglio regionale nell’aprile 2007, è tornato vispo e allegro tra gli scranni regionali, già screditati oltremisura. Il Governatore Agazio Loiero è tra i 30 e passa inquisiti e da anni rimpasta la sua giunta come mia nonna paterna faceva con le orecchiette, pur di restare abbarbicato alla poltrona. Visto che si è perso il conto degli indagati e degli inquisiti, a Sculco che è tornato dichiarando il 7 agosto che a volerlo “sono stati migliaia di cittadini calabresi”, ha dato il benvenuto il capogruppo del Pd, Nicola Adamo, ex vicepresidente della Giunta (prima di uno dei memorabili rimpasti di Loiero “mani di fata”). Adamo, inquisito e sposato con un’imprenditrice pesantemente coinvolta nella vicenda Why Not nonché padre di un figlio avuto dall’ex sindaco di Cosenza Eva Catizone, cosa poteva provare? Imbarazzo? Ma no. Sorpresa? Suvvia. Freddezza? Allora fate gli spiritosi. “Il rientro di Sculco – ha dichiarato fiero Adamo tra le altre ovvietà – è un fatto che merita rispetto”. Per carità di Dio, il rispetto ognuno decide di tributarlo a chi crede. Per conto mio mi sento di doverlo alla memoria di Scopelliti e mi sento “algido” di fronte a Sculco. Anche se tutti sono innocenti fino a sentenza passata in giudicato, non mi farei mai rappresentare da uno così e dai tanti come lui che siedono in consiglio regionale calabrese e nei tanti consigli comunali e provinciali. Quantomeno per una questione morale dovrebbero farsi da parte. Per il bene della Calabria sull’orlo della disfatta morale senza più neppure un Uomo come Antonino Scopelliti a rappresentarne la parte sana nelle Istituzioni.