Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, da martedì sto scrivendo dell’indagine Mammasantissima della Procura di Reggio Calabria (ma molto ne ho già scritto sul Sole-24 Ore).
Come spiegavo nei giorni scorsi (rimando al link a fondo pagina) per capire a fondo questa indagine e tutte le sue variegate sfaccettature, una più importante dell’altra, bisogna riannodare il filo della storia e ripartire dal 4 dicembre 1992 e da una storica deposizione in Commissione parlamentare antimafia del pentito di San Cataldo (Caltanissetta) Leonardo Messina.
Messina in quella storica audizione, parlerà del gioco a incastri – anche nelle posizioni, cangianti e mutevoli, di alleanze, dominio e predominio – tra le mafie mondiali. Vale a dire 24 anni fa parlò di cose che oggi appaiono scandagliabili ma che, con una più attenta regia interistituzionale, avrebbero potuto essere immediatamente perseguite.
«Da chi ha saputo dell’esistenza della commissione nazionale e di quella mondiale?» chiederà Violante e Messina risponderà così: «Che Cosa nostra apparteneva al livello mondiale l’ho saputo sin dal 1980; che noi siamo oggi i rappresentanti lo so da novembre di quest’anno».
In realtà, poi si correggerà, era il novembre ’91, ma leggiamo come prosegue: «Una sera ero a Pietraperzia, in provincia di Enna, e c’erano tantissimi pacchi di scarpe. Ho chiesto: cosa c’è, una festa? Mi hanno risposto: no, devi essere contento perché il tuo principale è stato eletto sottocapo mondiale. Da ieri la rappresentanza mondiale di tutte le organizzazioni è di Salvatore Riina e Giuseppe Madonia». «E le scatole di scarpe?» chiede Violante. Messina risponde: «Hanno fatto regali a tutti: mi ero meravigliato proprio per tutte quelle scarpe di valore».
Vi sembra cretino o inverosimile l’episodio delle scarpe? Errate, anche se vedrete che ci saranno i soliti burattini che la butteranno sul ridere (anzi: sulle sganasciate dal ridere) e sulla Spectre di bondiana memoria.
Le scarpe, cari lettori, nella raffinata tradizione mafiosa portano con sè un messaggio inequivocabile: voi camminate, popolino suddito, perché noi, putride mafie, ve lo permettiamo. Senza le scarpe mafiose il sud non cammina. Ricordate quanto disse il reggino De Stefano al pm Lombardo nel corso di un interrogatorio? No? Ve lo rammento allora.
Lombardo nel maggio 2011 interrogò (una delle diverse volte) Giuseppe De Stefano che gli raccontò l’episodio del padre, Paolo, ucciso ad Archi il 13 ottobre 1985. L’episodio è di inizio anni Ottanta. Gli disse: «Usciamo a comprare un paio di scarpe e a pagare i debiti che ho con i calzaturifici di Reggio Calabria. I De Stefano non lasciano mai debiti e conti aperti».
Giuseppe De Stefano era un patito per le scarpe, ne aveva una collezione e in quegli anni – parliamo dell’82/83 – un buon paio di scarpe costava in media 20mila lire.
Quando tornò dall’acquisto disse al figlio: «Sai quanto ho pagato un paio di scarpe? 60 milioni (equivalenti a circa 30mila paia di scarpe, nda,). Dottore Lombardo, Reggio cammina sulle scarpe che gli abbiamo messo noi. Cammina sulle nostre scarpe». E pensate voi che non sia così anche nell’anno domini 2016 o 2017?
Ora mi fermo e la prossima settimana riparto con un’altra serie di approfondimenti sull’indagine Mammasantissima. Siamo solo all’inizio!
r.galullo@ilsole24ore.com
4 – to be continued
(si leggano
E ANCHE
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/?from=13/07/2016&to=13/07/2016
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