Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, dalla scorsa settimana vi racconto i contenuti del verbale di informazioni assunte l’8 ottobre 2014 dalla Procura di Catanzaro, presso la Dia di Roma, da Gianfranco Donadio, già sostituto procuratore nazionale antimafia nell’ambito di un processo intentato per calunnia dal magistrato contro il pentito calabrese Nino Lo Giudice. Un verbale – acquisito agli atti della Commissione parlamentare antimafia per merito del deputato Davide Mattiello (Pd) – che tratta dei colloqui investigativi dello stesso Donadio, alla ricerca di quell’altra mezza verità sulle stragi mafiose degli anni Novanta. Una ricerca sulla quale si stanno peritando principalmente le Procure di Caltanissetta, Palermo e quella di Reggio Calabria.
La scorsa settimana l’ho conclusa con il richiamo di Donadio ad un filo rosso (non nel senso politico, che semmai è nero) terroristico che legava alcuni degli episodi più drammatici della storia democratica di questo Paese, a partire dalle azioni della banda della Uno Bianca per finire con la strage di Capaci. Un filo rosso che nel colloquio investigativo, il pentito di ‘ndrangheta Consolato Villani aveva accennato e che compare nella strage di Bagnara del ’94 dove perirono trucidati due Carabinieri (rimando per questo ai link a fondo pagina).
quel “tarlo” riaffiora quando Donadio ascolta il “nano” Nino Lo Giudice, l’autore di almeno due memoriali (un altro lo dovrebbe avere consegnato in questo periodo alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria) in cui afferma tutto e il contrario di tutto. Mah! Inutile dilungarmi su questo personaggio che anche le diverse Procure e diversi pm giudicano in un modo e nel suo opposto. L’ho fatto tante volte nel passato pagandone anche un prezzo personale altissimo. Il prezzo che si paga in un’Italia che non tollera e disprezza la totale libertà di chi analizza e scrive con la propria testa. Una libertà di pensiero che resta per me impagabile e senza prezzo. Per questo va dato atto alla Dna guidata da Piero Grasso e di conseguenza a Donadio di aver inserito Lo Giudice in un contesto molto ma molto ampio alla ampio alla ricerca dell’altra “mezza verità” sulle stagioni delle stragi mafiose.
Lo Giudice è uno degli auditi, per l’esattezza il 14 dicembre 2012. Un colloquio investigativo totalmente registrato, senza una minima pausa. In alti termini, secondo quanto ricostruisce il pm con i suoi colleghi di Catanzaro, senza neanche mai spegnere il tasto quando il “nano” andava a pisciare (la scrivo cruda così si capisce bene). Anzi, fa mettere a verbale Donadio, quando l’allora suo collega in Dna Maurizio De Lucia gli chiede se avesse registrato, Donadio rispose, sorpreso, con un sorriso ed un «naturalmente».
MA QUANTI MELONI VENDEVA LO GIUDICE?
E la famiglia Lo Giudice viene così testualmente inquadrata da Donadio (non da me o da altri “disturbatori” della verità unica): «…Dico cosiddetto clan Lo Giudice perché egli stesso lo definisce “cosiddetto clan” in un secondo memoriale, ma anche perché – per quello che la mia esperienza, ormai così lunga in materia di criminalità organizzata mi produce – a me sembra, più che una ‘ndrina, mi sembrava più che una ‘ndrina territorialmente organizzata, secondo quei canoni anche di rapporto con il territorio, con i contesti criminali e quant’altro, una sorta di meta ‘ndrina perché sembrava più organizzata su certe funzioni (il controllo della commercializzazione di taluni prodotti agricoli) anziché sul territorio, quindi sembrava, come dire, una ‘ndrina senza territorio. Questa è una caratteristica anomala tutto sommato che mi faceva anche pensare a modalità diciamo diverse dell’essere soggetto malavitoso. Peraltro, ricordo, questa idea diciamo teorica che ovviamente si era formata nel momento in cui preparavo i materiali per questo colloquio investigativo, mi era stata in qualche modo anche sollecitata da un espressione del Villani che aveva parlato di un ruolo attivo del Lo Giudice in azioni di riciclaggio. Sicché, facendo un po’ i calcoli – come forse qualcuno sa io mi sono sempre occupato di questioni, diciamo sono stato prestato alle tematiche dell’Antimafia, perché io mi sono sempre occupato di criminalità economica – e quindi cercavo un po’ di quantificare il potenziale di Lo Giudice come protagonista di azioni di riciclaggio, che Villani poi in quei colloqui investigativi prima e anche dopo ci aveva indicato non solo posto in essere in Calabria ma anche fuori dalla Calabria, mi pare fece riferimento a Milano. E allora immaginavo: ma quanti meloni diciamo in nero – perché poi sarebbe un riciclaggio da evasione fiscale – può vendere questo soggetto a Reggio Calabria? Quanto pesa il mercato ortofrutticolo di Reggio Calabria? Ammesso che ne abbia poi avuto il controllo integrale, ma lui ne aveva in realtà un controllo assai limitato. Mi sembrava che la parola riciclaggio o avesse enfatizzato l’economia politica dell’area di Lo Giudice o volesse indicare la circostanza che attraverso Lo Giudice, per essere ripulito cioè riciclato, passasse denaro di altra provenienza. Ma questa era, come dire, era l’idea teorica. La cosa migliore da fare per condurre il ragionamento con il Lo Giudice era mettere il Lo Giudice a proprio agio e farmi raccontare da lui la sua storia criminale».
QUESTO VE LO DICO DOPO
Ebbene, dopo oltre un’ora e mezzo di colloquio “a proprio agio”, Lo Giudice afferma di non sapere nulla della strage dei Carabinieri a Bagnara del ’94 perché era in carcere ma dopo dice: «questo ve lo dico dopo».
Lo Giudice vuole andare a “rate” e giustamente Donadio si spazientisce ricordandogli che lui non sta lì a perdere tempo e – dunque – o parla o arrivederci e grazie.
Lo Giudice rinsavisce e con la pazienza di Donadio si avvicina al cuore del colloquio investigativo, vale a dire la esistenza di gruppi di fuoco coperti, di soggetti estranei alle ‘ndrine, di personaggi con una faccia sfigurata.
Ed è allora che Lo Giudice improvvisamente si libera. Così: «…Ho un ricordo di una persona con il volto bruciato e con ciò intendo riferire una persona con il volto chiaramente deturpato sul lato sinistro (…) (…) credo che il personaggio con il volto sfregiato sia un personaggio molto pericoloso (…) (…) E’ un uomo cane…Sto parlando di un uomo fuori dalle regole».
Al che Donadio lo incalza e gli chiede come agisse costui, perché anche lui, Lo Giudice, era coinvolto in fatti gravissimi. «Mi faccia capire che cos è questa straordinaria pericolosità – domanda Donadio – Lei se lo è messo in famiglia? Se lo sarebbe messo in famiglia?» .
E qui la risposta è sublime (sic!): «Io il cane in famiglia? Ma non se ne parla proprio. Quando dico che è pericoloso, questo è un uomo completamente al di fuori delle regole».
Donadio a questo punto legge testualmente quanto gli dichiarò Lo Giudice nel colloquio investigativo: «Quando dico questo è perché ho appreso che questo personaggio era stato coinvolto in eventi stragisti dove sono state colpite anche persone innocenti e questo è contro le regole della ‘ndrangheta» e lo stesso Lo Giudice lo definisce un «terrorista».
I due continuano sul filone e Donadio gli chiede: «Ma si chiama Giovanni Aiello?». Lo Giudice lo chiama confidenzialmente Gianni e dice «che era un portatore di informazioni, vendeva informazioni sulle attività di varie forze di polizia e che in cambio di questo veniva pagato…Questo personaggio parlando con me si vantava di aver ucciso anche un bambino…». Il bambino al quale si fa riferimento, ricostruisce la Dna con Donadio, è l’undicenne Claudio Domino, assassinato a Palermo il 7 ottobre 1986, i cui padre aveva un’impresa di pulizie che si occupava all’epoca dell’aula bunker palermitana.
Dice ancora anche che si accompagnava sempre ad una donna che usava con disinvoltura le armi.
Ma sulla figura della donna – il cui profilo descritto richiama una matrice di addestramento militare pronta a tutto e dunque di impronta terroristica – torniamo con il post di domani non prima di aver ricordato ancora una volta che il 10 ottobre il pm Stefano Luciani, nell’ambito del processo Borsellino-quater a Caltanissetta giunge invece alla conclusione che «non ci sono riscontri nemmeno alle dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice, il quale affermò che a eseguire le stragi del ’92 e gli attentati nel resto d’Italia fu l’ex poliziotto Giovanni Aiello, conosciuto come “faccia da mostro”».
Bel (si fa per dire) labirinto!
A domani.
r.galullo@ilsole24ore.com
- –5 o be continued
(Per le precedenti puntate si leggano
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/11/18/esclusivo4-stragi-mafiose-quella-strane-ricorrenze-terroristiche-tra-capaci-bagnara-e-i-crimini-della-uno-bianca/)