Anziché sparire per sempre dal proscenio della vita pubblica per manifesta incapacità, i politici calabresi (senza eccezione alcuna e non certo da ieri, anzi, ma da decenni) continuano a parlare. Parlare, sia ben chiaro, perché altro, da decenni, non sanno fare. Del resto la politica in Italia vive di parole. Legittimo. Reale.
DIETRO, AVANTI, SOPRA E SOTTO
E parlano – sia anche questo ben chiaro – perché dietro hanno il vuoto. Vuoto politico, vuoto sociale, vuoto associativo, vuoto formativo, vuoto imprenditoriale, vuoto amministrativo. Vuoto pneumatico.
Sotto, hanno terra da scavare.
Sopra, hanno cieli immensi che neppure Alitalia vuole attraversare.
Davanti, hanno l’infinito. E in quell’infinito parolaio si tuffano.
E così – poche ore dopo la pubblicazione della classifica della qualità della vita 2015 edita dal Sole-24 Ore e la mia ampia inchiesta sulla provincia di Reggio Calabria all’ultimo posto, con tutta la regione indietro anni luce – una cosa di buon senso (a umile e umido avviso di questo umile e umido blog da sempre in trincea contro la politica politicante) l’ha detta Klaus Davi. Delle reazioni che ho potuto leggere, dei politici e della classe dirigente, nulla voglio riportare per carità di Patria e per non offendere l’intelligenza mia (molto modesta e quindi non in gradi di capirle per difetto di fabbrica genetico) e quella dei miei lettori.
LE FAMIGLIE “REALI” NELLE PAROLE DI DAVI
L’opinionista Davi ha infatti dichiarato: «La politica ha le sue responsabilità, ma è facile prendersela con loro. Più difficile prendere di mira quelle multinazionali del crimine che hanno sede ad Archi e filiali a Milano e Torino. Sono stato diffidato solo perché ho osato citofonare a casa di una di queste famiglie “reali”. Si sentono padroni. I calabresi ringrazino in primis loro» .
Davi ha ragione da vendere e – del resto – sono cose che scrivo da decenni: la potentissima ‘ndrangheta reggina – De Stefano, Tegano, Libri, Condello – e della provincia reggina – Nirta, Piromalli, Pesce, Pelle e compagnia mortale – hanno affossato una provincia (una regione e oltre) baciata da Dio e maledetta dagli uomini. E nessuno nella politica che ieri ha avvertito la necessità di vomitare parole anziché tacere, ha minimamente neppure nominato la parola ‘ndrangheta e men che mai la pervasività cittadina e provinciale del poker De Stefano-Tegano-Libri-Condello. Questo si che è coraggio da premiare nelle urne!
Del resto quando, negli anni Settanta, le famiglie mafiose “scarpe-grosse-e-cervello-fino” della provincia reggina si sono ignobilmente arricchite con i sequestri di persona, la politica e la società, anziché guardare la luna, fissavano il dito.
Così, invece che guardare alle imminenti conseguenze sociali ed economiche, tutti (tranne, sia chiaro, gli uomini di ‘ndrangheta, che ben avevano chiaro il fine ultimo) si sono concentrati sulle manette ai polsi dei rapiti.
Volete sapere quali sono state le conseguenze? Ve ne ricordo alcune, quelle più gravi e mortali.
DAI SEQUESTRI AL NARCOTRAFFICO
Prima conseguenza: i soldi dei sequestri sono stati riversati negli anni Ottanta in colossali investimenti nel narcotraffico che, a loro volta, hanno alimentato come in una catena infinita, traffici illeciti miliardari ma, soprattutto, il graduale e invisibile ingresso nel capitalismo e nei salotti buoni dello stesso. In tutto il mondo, sia ben chiaro, altro che i miseri confini aspromontani!
LA PALESTRA DELLE TRATTATIVE
Seconda conseguenza: i sequestri di persona hanno rappresentato la “palestra” delle trattative tra Stato deviato e mafia. Gli impervi terreni aspromontani hanno rappresentato un soffice manto per apparati deviati delle Istituzioni e ‘ndranghetisti, che hanno cementato patti indicibili ma, soprattutto, forieri di drammatiche evoluzioni ai danni della democrazia. «Negli anni 70 i sequestri di persona nella Locride sono serviti a intavolare delle trattative tra la ‘ndrangheta e lo Stato, ed esistono le prove processuali di questo – ribadì a luglio 2014 il sostituto procuratore di Reggio Calabria, il pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, intervenuto al dibattito organizzato a Palermo, nella facoltà di Giurisprudenza, da “Antimafia duemila”, intitolato “Un Paese senza verità” – . Con il sequestro Moro lo Stato ha detto che non avrebbe trattato con nessuno per non creare pericolosi precedenti, perché allora, mi chiedo, la trattativa c’è stata in Calabria e in Sicilia?».
LO STATO GRANDE ASSENTE
Terza conseguenza: lo Stato ha capito – qui ancor più che nel resto del Sud – che doveva restare fuori dai giochi interni all’evoluzione della ‘ndrangheta e così oggi la Calabria è una regione senza Stato, salvo pochissime eccezioni rappresentate spesso da un pugno di magistrati che navigano controcorrente e un pugno di investigatori. Oggi dunque il popolo calabrese è privo di punti di riferimento credibili, affidabili, onesti, coraggiosi e incorruttibili nelle Istituzioni.
LE COSCHE PARASSITE
Quarta conseguenza: a investire nel privato sono state (e sono) soprattutto le cosche arricchitesi come parassiti. Da fuori (fuori regione e fuori dai confini nazionali) non è venuto nessuno se non per predare i fondi pubblici (do you remember 488/92?) con la complicità della cupola al governo di questa terra. Commercio, turismo, terziario, edilizia: solo i pidocchi “ripuliti” delle cosche reggine (e regioali, ovviamente) hanno effettuato investimenti domestici e creato, di conseguenza, necessità. Sì, la necessità di ricorrere ai loro immondi quaquaraqua per avere un posto di lavoro o un’occasione. Il diritto scambiato per favore, con la complicità di una classe politica e di una nuova classe dirigente (anche i figli dei montanari aspromontani criminali studiano e spesso con maggior profitto dei loro colleghi borghesi) che li hanno accompagnati passo passo.
UNA CLASSE FORGIATA
Quinta conseguenza: il pubblico – inteso come settore economico e inteso come comparto politico/amministrativo – si è forgiato sotto la violenza delle cosche che hanno fatto incetta di lavori pubblici a costi folli per la collettività amministrata e hanno alimentato un corto circuito di clientes/votanti, appecoronati alle esigenze degli eletti, molti dei quali erano e sono diretta espressione di quel cortocircuito mafioso/massonico deviato.
E commette un errore imperdonabile chi ritiene che l’impossibilità di esprimere la preferenza alle elezioni politiche penalizzi le mafie. Ho sempre pensato che non è affatto vero che la cancellazione del voto di preferenza indebolisce le mafie nel momento del voto alle elezioni politiche. Che il voto di preferenza gli agevoli il compito è indubbio ma che la cancellazione della preferenza li faccia disperare beh, proprio no.
Ho sempre pensato, infatti, che le mafie allevino come polli da batteria i politici o, viceversa, puntino su alcuni di loro, tra i tanti che bussano alle loro porte. Questi si che si chiamano “investimenti”! Se questo è vero (ed è vero, credetemi) le mafie sono pronte a seguire i propri “cavalli in erba” dalla culla alla tomba. In altre parole: dalle comunali su per li rami alle elezioni provinciali, regionali e infine politiche, con un ricambio necessario e vitale non solo per le cosche (che avrebbero in questo modo sempre più leve riconoscenti da manovrare in ogni Palazzo che conta) ma per le stesse aspirazioni di chi si vende o si fa comprare.
Liberi di non credermi (tanto non cambio idea) ma vi chiedo di soffermarvi su alcuni interessantissimi dialoghi captati il 14 marzo 2010 a casa di Giuseppe Pelle, nel corso dei quali “gambazza” figliolo classe ‘60, introduce la necessità che la ‘ndrangheta si proponga di agire in maniera unitaria in occasione delle consultazioni elettorali future, sostenendo un ristretto numero di candidati, al dichiarato fine di non disperdere voti.
“Gambazza” introduce il discorso così: «ogni paese chi ne ha due, chi ne ha tre, chi ne ha quattro .. o per me è una cosa che non la condivido, sapete perché? Perché poi ognuno ha le sue, voi avete le vostre, quello ha le sue, l’altro ha le sue e questi voti compare si disperdono tutti…Perché se voi portate, voi dovete stabilire, che portiamo due, tre persone l’anno prossimo nella Provincia, che si può o…due, tre e c’è la possibilità, c’è una possibilità che si va, ma se qua c’è tutta sta…».
STRATEGIE RAFFINATISSIME
Sesta conseguenza: lo straordinario potere economico e politico creato dagli anni Settanta in avanti – con la cecità o il colpevole voltarsi dall’altra parte dello Stato e della cosiddetta società civile reggina e calabrese – ha permesso non solo lo scavalcamento di Cosa nostra ma, soprattutto, la messa a punto di raffinatissime strategie politico/imprenditoriali che pesano come iceberg abissati e abissali di cui la superficie l’opinione pubblica vede solo la punta. Strategie che si sono sposate e sono state alimentate in logge occulte e deviate che da sempre forniscono l’humus ideale nel quale allevare le classi dirigenti predatorie.
UN POPOLO IN FUGA
Settima (drammatica) conseguenza che spegne il futuro di questa regione e di gran parte del Sud: un’intera generazione di nuove leve intellettuali – nate all’alba dei sequestri e/o cresciute all’ombra dello strapotere ‘ndranghetistico/massonico-deviato – ha preferito emigrare e lasciare per sempre la Calabria. Un’emorragia di cervelli e menti che non solo non si è mai arrestata ma è continuata inarrestabile. Oggi più di ieri.
LUCI SPENTE
Ottava conseguenza: la fuga dell’intelligenza calabrese dalla Calabria (salvo eccezioni che rappresentano isolati e spesso delegittimati profili di eroismo) ha spento per sempre le luci della speranza.
Un coma irreversibile, un’agonia venduta per speranza, una morte venduta per vita.
Si, è proprio così: se i reggini e i calabresi sono in coda a tutte le classifiche, ringrazino le cosche foraggiate (fino a diventare evoluti e sconfinati sistemi criminali) da silenzi e indifferenze, nel nome di un senso di appartenenza che non ha mai permesso ad un popolo di diventare parte integrante di uno Stato democratico che si sta “archizzando”.
Lo strapotere delle cosche di Archi, cuore marcio della ‘ndrangheta che ha “studiato” politica durante i moti di Reggio del ‘70, sta infatti invadendo, da decenni, su per li rami nazioni e continenti, nell’altrettanto colpevole (e per questo autodistruttivo) mutismo dei popoli del nord.
r.galullo@ilsole24ore.com
si veda anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/12/23/qualita-della-vita-lalbergo-miramare-di-reggio-calabria-e-la-sua-esemplare-storia-di-infiniti-scontri-politici/